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Il cinema scientifico dell’Istituto Luce al tempo del pioniere Roberto Omegna

Intervista al giornalista Simone Sperduto autore del saggio dedicato al pioniere del cinema scientifico ed educativo italiano Roberto Omegna.

Con quale scopo è stato scritto questo libro e utilizzando quale metodo nella ricerca delle fonti?

Questo libro è stato scritto allo scopo di far conoscere un aspetto poco noto dell’Istituto Luce durante il regime fascista. Tuttora la maggiorparte delle persone associa l’ente cinematografico in questione alle pellicole di propaganda e ai discorsi del Duce; ebbene, il cinema del Ventennio è stato anche altro. Diversi autori e registi, come Roberto Omegna, si sono impegnati a limitare le interferenze del regime nel proprio lavoro: ciò è ancor più vero nell’ambito della cinematografia scientifica ed educativa. Per quanto riguarda le fonti, ho consultato gli archivi storici del Cinecittà Luce e ringrazio la Dottoressa Patrizia Cacciani per la disponibilità; inoltre ho condotto le mie ricerche presso la biblioteca “Luigi Chiarini” del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Il ringraziamento maggiore va al Professor Virgilio Tosi, la cui bibliografia è stata fondamentale per la realizzazione di questo volume.

Roberto Omegna è considerato il pioniere del cinema educativo e scientifico in Italia. Quali sono stati i passaggi fondamentali della sua carriera?

In realtà altri prima di Omegna tentano in Italia la via della sperimentazione cinematografica: su tutti viene in mente Filoteo Alberini, che inventa il kinetografo pur senza riuscire a beneficiarne per mancanza di fondi. Quindi a Omegna va dato il merito di aver creduto fino in fondo, malgrado tutto, nel proprio lavoro divenendo un faro e un’icona nel cinema scientifico italiano: da perfetto autodidatta, che costruisce per diletto la strumentazione e persino le lenti degli obiettivi, in pochi anni diviene un moderno producer con spiccate doti tecnico-manageriali in grado di gestire intere troupe in teatro, in laboratorio e in scenari esotici in giro per il mondo.

L’attività di Omegna conosce una svolta importante quando comincia la collaborazione con l’Istituto Luce per il quale realizza circa 150 documentari di contenuto scientifico. Come furono accolti?

La carriera di Omegna è folgorante ed esemplare: essa conosce l’apice quando il cineasta torinese diviene responsabile scientifico dell’Istituto Luce, per il quale realizza appunto circa 150 pellicole grazie al supporto dei due affiatati e fedeli collaboratori Eugenio Bava e Gabriele Gabrielian. I documentari vengono accolti moto bene e non solo in Italia: Omegna riceve i complimenti da parte di Jean Painlevé, fondatore dell’Institut de Cinematographie Scientifique in Francia. Seguono due prestigiosi premi internazionali, conseguiti presso la Mostra del Cinema di Venezia: nel 1936 con la pellicola “Sguardo al fondo marino” e nel 1938 con “Un mondo meraviglioso”.

Un grande innovatore e pioniere del cinema italiano. Qual è il valore aggiunto del suo operato rispetto a chi lo ha preceduto?

E’ difficile trovare dei termini di paragone rispetto ai predecessori semplicemente perché non ce ne sono stati. In Italia la produzione cinematografica dei primi decenni del Novecento è per lo più orientata ai kolossal e alla celebrazione del divismo. L’industria del cinema produce in serie pellicole del calibro di “Cabiria”, “Quo vadis”, “La caduta di Troia” e “Gerusalemme liberata”; il documentario scientifico è ancora un sottobosco di nicchia piuttosto vergine dove Omegna può muoversi da vero pioniere ed esploratore in tutti i sensi. A lui va il merito di aver spalancato le porte dell’industria cinematografica al documentario scientifico.

Interesse e curiosità per la natura, amore per il cinema: è in questo connubio la scintilla iniziale che portò Omegna a lasciare un sicuro lavoro in banca per avventurarsi nella gestione di un cinematografo?

Possiamo dire che Omegna sia stato un pioniere anche nella vita, in quanto artefice del proprio destino. Lasciando il posto da impiegato di banca e scegliendo la via ignota della passione per il cinema ha avuto quel coraggio e quella sana follia da renderlo ancora oggi un esempio per tanti giovani. Comincia con un piccolo cinematografo a Torino, nella sua città natale, dove si diletta a modificare le pellicole dei fratelli Lumiére che lui considera noiose. Il salto di qualità verso il professionismo avviene successivamente all’incontro con il fotografo Arturo Ambrosio che lo avvia definitivamente al mondo del cinema. Siamo nel primo decennio del Novecento e Omegna comincia a effettuare i primi viaggi documentaristici: Africa, India, Birmania, Russia e persino America Latina. Qui nel 1906 realizza “Gran Chaco” che vanta il primato di essere il primo lungometraggio italiano grazie ai suoi seicento metri di pellicola.

Qual è stato il suo rapporto con il Fascismo?

Omegna è un uomo schivo e umile che disdegna i fasti del regime sebbene ne potrebbe approfittare per trarne vantaggi personali, alla maniera opportunistica di altri intellettuali dell’epoca. Omegna ascolta abitualmente dall’interno del suo laboratorio le trasmissioni di “Radio Londra”; inoltre soltanto in una fotografia appare con una semplice spilletta del PNF sulla giacca mentre è alle prese con l’inseparabile cinepresa “Askania”. Da un’analisi testuale delle didascalie di alcune pellicole, sono arrivato a ipotizzare delle manipolazioni o comunque delle forzature esterne al fine di rendere i documentari scientifici di Omegna più appetibili per il regime e per una specifica propaganda: ad esempio per le opere di bonifica delle paludi e per la lotta alla malaria.

Come l’operato di Omegna continua a influenzare il cinema scientifico italiano attuale?

All’ombra di Omegna cresce un’intera generazione di giovani spesso provenienti dai Cineguf: volenterosi di sperimentare le aperture realistiche e la denuncia sociale nei documentari, questi cineasti si distaccano dalle veline di regime. Sono tematiche spesso crude che mettono in risalto gli anni difficili della guerra: esse anticipano di fatto quella corrente artistica conosciuta come Neorealismo. D’Errico, Martelli, Pasinetti, Cerchio e Franchina sono soltanto alcuni dei cineasti che si mettono in luce in quegli anni: appare ormai un ricordo sbiadito l’Italietta delle commediole innocenti e dei telefoni bianchi utilizzate per assopire le masse.

Pioniere del film documentario italiano, del cinema scientifico, ma anche reporter di guerra: a quale aspetto il libro si propone di rendere maggiore tributo o quale analizza più approfonditamente?

Omegna è stato un artista eclettico e completo; purtroppo la nostra conoscenza del suo immenso lavoro è in qualche modo menomata dalla perdita di molte delle pellicole realizzate negli anni della sua gioventù che è assai prolifica: di questa non rimane che qualche frammento fotografico salvatosi per miracolo. Nulla ad esempio è rimasto della corsa automobilistica Susa-Moncenisio del 1904 e discorso analogo vale per l’eruzione del Vesuvio del 1906; abbiamo invece solo qualche scatto fotografico del terribile terremoto di Calabria e Sicilia del 1908, così come delle manovre navali italiane. L’analisi più approfondita è ricaduta necessariamente sulla produzione di Omegna durante il Ventennio, che è invece in buona parte ben conservata e disponibile anche on-line nell’archivio digitale del Cinecittà Luce.

Come è stato accolto il libro?

In primis è stato ben accolto dal mio editore, Roberto Boiardi, che ringrazio per averci creduto fin da subito e dalla collega Emma Moriconi che ha firmato una bellissima prefazione al volume. Devo dire che il testo ha suscitato molta curiosità sia al Cinecittà Luce che al Centro Sperimentale di Cinematografia che hanno voluto organizzare una serata di presentazione presso il cinema Trevi di Roma: in quell’occasione ho avuto il piacere di avere al mio fianco il Professor Virgilio Tosi, che è tuttora il massimo esperto su Roberto Omegna nonché tra i più illustri autori e critici di documentari scientifici in ambito internazionale. Insomma gli ingredienti ci sono, perché questo libro possa nel tempo essere utile a quanti vogliano approcciarsi alla storia del cinema scientifico italiano. Non resta che incrociare le dita.

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