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Storie di galera, galeotti ed evasioni nelle carceri sammarinesi. L’intervista a Giuliano Giardi

Disegno di un detenuto su una parete di una cella nell'800

Carceri, carcerieri e carcerati

SAN MARINO. “Storie di galera, galeotti ed evasioni nelle carceri sammarinesi”, l’ultimo libro di Giuliano Giardi, ricostruisce tante storie, avvenute nel passato, all’interno della Rocca, la principale fortezza della Repubblica. Il volume, nella prima parte, ripercorre il periodo che va dal 1300 al 1959, quando la rocca fu sede principale del carcere sammarinese. Nella seconda, vengono raccontate tante vicende e storie di detenuti, che per diversi motivi hanno frequentato le celle del carcere. Il lavoro del Giardi, frutto di tre anni di accurata ricerca nei documenti giudiziari conservati nell’Archivio di Stato, non è solo uno studio sulla storia del carcere, ma ci fa conoscere anche aspetti sconosciuti di quella che era la vita quotidiana dei sammarinesi: ci svela l’immagine di una comunità povera, analfabeta nella quale molto spesso “i reati” erano strettamente collegati alla difficoltà della sopravvivenza e di una oligarchia sostanzialmente benestante che deteneva il potere .

“Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione” (cit. Voltaire). Dalle sue ricerche emerge un aspetto della nostra storia sconosciuto e forse volutamente rimosso, perché?

La memoria del passato è importante per capire il presente e progettare il futuro. Nel mio lavoro, basato soprattutto sulla consultazione di atti processuali, emergono ovviamente storie legate a reati o a ciò che che nei secoli passati veniva considerato reato. Ricostruire aspetti della storia del paese partendo da fonti giudiziarie ci fa conoscere tante vicende sconosciute e dimenticate che ci mostrano anche aspetti della nostra comunità che non si vorrebbero rievocare, come fa una certa storiografia permeata da retorica adulatoria, intrisa solamente di eventi positivi, ma questo studio lo ritengo importante. Il fatto di obliare le notizie sgradite ha portato addirittura alla scomparsa di molti documenti, dovuto magari anche a noncuranza non solo per dolo. Gli oblii, i silenzi della storia- come sosteneva Jacques Le Goff- possono essere riscoperti e ricostruiti percorrendo queste vie. Dai documenti esaminati si evince anche una notevole discrezionalità nei giudizi, in assenza di norme valide per tutti, con pesanti interferenze del governo, del consiglio e della politica su vicende che non avrebbero essere di loro competenza, ma ciò accadeva anche in tanti stati fuori dei nostri confini, non eravamo una eccezione. I Reggenti, in assenza del commissario di legge, intervenivano con atti investigativi e decidevano autonomamente, potendo anche applicare sanzioni. Il Consiglio dopo l’emanazione della sentenze, sollecitato da “istanze e suppliche” da parte del condannato, poteva intervenire modificando le sentenze, per ridurre la pena, o per una sua commutazione, o per una eventuale grazia o salvacondotto. Insomma, la separazione del potere giudiziario da quello politico era veramente labile. Infatti pur esistendo un tribunale e un commissario della legge, dopo l’emanazione della sentenza, il Consiglio aveva sempre l’ultima parola.

Com’era organizzata la giustizia e da chi era amministrata?

Fino al 1800 il commissario della legge conduceva le indagini assieme al bargello e agli sbirri. Un aspetto poco gradito alla popolazione era quello che gli sbirri, scoperto un reato magari dopo una spiata, bloccavano la scena del crimine. I rei veri o presunti erano fermati così come venivano trovati all’irruzione e, per rafforzare la ricostruzione processuale, venivano chiamati anche dei testimoni, in genere i vicini o i passanti, per far loro constatare il fatto per poi riferire in Tribunale. Tutto questo per portare al magistrato testimonianze le più attendibili possibili. Emblematico è il caso di Domenico Guerra e Antonia Pettina riportato nel capitolo “In galera per fornicazione”. Nel 1776 era ancora considerato un reato l’avere rapporti sessuali fra due adulti anche liberi da vincoli matrimoniali. Gli sfortunati protagonisti della vicenda furono portati in carcere dal bargello dopo essere stati sorpresi in casa di Domenico. Gli sbirri prima erano entrati sfondando la porta, e, come consuetudine, avevano bloccato la scena del presunto crimine, per poi chiamare i passanti, per fargli verificare la scena con la donna seminuda ed il letto ancora caldo.

Dove si trovavano le carceri?

Il luogo di detenzione principale era la Prima Torre, la Guaita: lì si trovavano le celle che erano sei, fra primo e secondo piano, del settore denominato il Carcere. Fredde, sporche, con tavolaccio e pagliericcio, ma non sempre e col bugliolo per le necessità corporali, luogo dove sicuramente, come racconta uno spiritoso detenuto, “i pidocchi si vendevano a poco prezzo”. Nel passato esisteva anche una cella sotterranea scavata in parte nella nella roccia, in quella che era la stanza dei contrappesi dell’orologio, nella quale si accedeva da una botola e che riceveva luce da un piccolo pertugio.Vi era ancora nel 1939: purtroppo è scomparsa dopo i lavori di ristrutturazione effettuati in quel periodo.
Altre celle per la detenzione, in vari periodi del passato, erano state ricavate all’interno della Seconda Torre, nel Palazzo Pubblico e anche in alcuni castelli (come a Serravalle nel XVI secolo).

La dura vita del carceriere: quali erano i doveri, le incombenze e le responsabilità?

La vita del detenuto era molto dura, ma anche quella del carceriere non era affatto facile. Era il Consiglio che annualmente, intorno al primo aprile, esaminava le richieste dei candidati a questo incarico annuale, riconfermabile, e nominava il prescelto che poi giurava e verificava l’inventario della fortezza. Il carceriere e la sua famiglia avevano a disposizione tre stanze al primo piano del settore delle celle. Doveva obbedire ad un regolamento e provvedere alla sorveglianza dei detenuti e fornire loro i pasti che nel passato erano a carico dei carcerati. In caso di evasione, se il fatto era dovuto a mancata osservazione dei regolamenti, il castellano poteva essere sanzionato perdendo anche l’incarico sino a passare da carceriere a carcerato.

Qual è la storia più curiosa dei carcerati?

Ve ne sono molte, fra le tante quella dei cosiddetti ” Frati spioni”: cinque frati del convento dei Cappuccini vennero incarcerati nel 1915, durante la prima guerra mondiale, con l’accusa, risultata poi falsa, di spionaggio a favore degli austriaci.

I personaggi che vengono citati nel libro non hanno fatto la storia: sono perlopiù persone analfabete e con scarse risorse economiche che rubavano per fuggire alla miseria più nera. Quali erano le colpe di cui si macchiava più spesso questa povera gente? Qual pene erano comminate con maggior frequenza?

L’agricoltura erano povera, con rese molto scarse; periodicamente poi si verificarono una serie di carestie, come quella del 1590 che causò la morte per fame e malattie di un terzo della popolazione delle notre zone. Va da sé che la maggior parte dei reati commessi era dovuta, nella stragrande maggioranza dei casi, alla miseria e alla necessità di sopravvivere. Ed i furti, la violazione della proprietà, erano sanzionati pesantemente colpendo ovviamente le categorie più deboli della popolazione. I più frequenti erano quelli dei prodotti della terra, gli animali e la legna, unica fonte di energia per cucinare e scaldarsi. Sino al XVII la legge permetteva anche di ammazzare i ladri colti in flagrante.

I reati erano puniti con una serie di sanzioni con una loro gradualità, da quelle lievi a quelle più severe. Oltre alle sanzioni pecuniarie, all’esilio, al carcere, vi erano anche le pene corporali. Negli inventari del carcere erano descritti anche i ceppi per immobilizzare i detenuti, ma poi erano previste la berlina, la fustigazione, il cavalletto, la mitria, i tratti di corda ed infine “l’ultimo supplizio” , la pena capitale eseguita in genere per impiccagione, ma nella Rocca erano custoditi sino al XVIII secolo anche il “ceppo e la manara per tagliare la testa”. La tortura fu abolita nel 1821 e la pena capitale nel 1854. Le pene corporali comminate con una discreta frequenza erano la fustigazione, i “tratti di corda” e la “berlina”. Quest’ultima, in uso fino al 1821, consisteva nell’esporre il colpevole al ludibrio pubblico su di un palco, in mezzo a una piazza (soprattutto in Borgo, nei giorni di mercato) o su una carretta portata in giro per le strade.

La detenzione di donne è documentata con le motivazioni più varie: quali sono i principali capi d’accusa?

La condizione della donna a San Marino, nei secoli scorsi, era tragica. Trascorreva la vita passando dalla stato di soggezione al padre a quella del marito e di figli: nel diritto sammarinese la sua posizione era equiparata a quella del minorenne, non poteva partecipare alla vita pubblica e disporre dei propri beni, neanche della dote. L’analfabetismo e lo stato di soggezione la rendevano molto fragile ed una gravidanza fuori del matrimonio era una tragedia. Negli inventari del carcere era descritta anche una cella riservata alle donne, che potevano essere accudite dalla moglie del custode. La prima causa di morte di una donna in età fertile, nel passato, era dovuta a malattie legate alla gravidanza ed al parto.

La gravidanza al di fuori del matrimonio era foriera di serie difficoltà alla madre e al bambino. Infatti spesso i neonati venivano abbandonati e portati in brefotrofio a Rimini dove, per i piccoli sotto l’anno di età, dopo un anno, la mortalità era elevatissima sino ad oltre il 90/95%. Nel libro si cita il caso di Domenica Antonia raccontato da Augusto Palombarini nel suo Saggio “Marginalità e devianza femminile nelle fonti criminali sammarinesi secoli XVIII-XIX”. Resa gravida da un cugino, lo denuncia per avere giustizia ma viene accusata di incesto e quindi incarcerata e torturata con il “tormento degli zufoli”. Alla scarcerazione le sue possibilità di sopravvivenza erano molto scarse nell’ambiente sammarinese. Il cugino non risulterà inquisito.

Quale metodo ha usato nelle descrizione delle storie? Il suo essere medico quanto ha influito nell’analisi delle situazioni di disagio, malattia e povertà?

Osservare gli eventi storici con l’occhio del medico è importante . Tanti eventi sono stati condizionati da malattie, denutrizione, ignoranza e vedere anche come la medicina veniva esercitata, quando non era basata sull’evidenza ma su vecchie e false teorie medioevali, ci fa capire molte cose. Fino al 1880 ogni 100 persone che morivano 50 erano bambini da 0 a 3 anni. . Frequenti erano le malattie legate a malnutrizione da carenze vitaminiche, come la pellagra. Le malattie infettive erano frequenti: nell’epidemia di colera del 1855 su 250 persone ammalate, ne morirono 100.

Dove comprarlo?

“Storie di galera, galeotti ed evasioni nelle carceri sammarinesi” è in vendita presso la libreria Cosmo a Borgo.

Giuliano Giardi | Breve biografia

Giuliano Giardi è nato a San Marino nel 1947. Nel 1972 si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Bologna, consegue poi la specializzazione in Pronto Soccorso e Terapia d’Urgenza all’Università di Chieti nel 1978. Ha lavorato praticamente sempre al Pronto Soccorso dell’Ospedale sammarinese, terminando la carriera come Primario. È autore di numerosi articoli, inerenti la Medicina d’Urgenza, la storia della Medicina e vicende sammarinesi inedite. Ha pubblicato nel 2011 il volume: “L’Ospedale di Guerra della Repubblica di San Marino. San Marino e la prima guerra mondiale”, pubblicazione accolta con riscontri positivi anche fuori dai  confini  sammarinesi,  soprattutto in Veneto ed anche in ambienti accademici.

 

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