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Una delle ultime sere di Carnevale: l’impegno civile del teatro di Goldoni riproposto dal regista Squarzina

Nel 1970 il regista Luigi Squarzina porta in scena, con magistrale trasposizione televisiva, uno dei capolavori teatrali di Carlo Goldoni. L’opera intitolata “Una delle ultime sere di Carnevale” è, nelle intenzioni dell’autore, un’allegoria della Venezia di metà Settecento, mascherata da commedia intrisa di forti richiami autobiografici.

 

 Goldoni vuole farci riflettere su una società in crisi, quale appunto quella della Serenissima, rinchiusa in una testarda conservazione di strutture aristocratiche; pur non riuscendo a riformarsi come si converrebbe a una moderna repubblica, questa Venezia in decadenza diviene comunque una delle maggiori città-spettacolo europee nonché patria del carnevale e del divertimento: nel XVIII secolo la città vanta addirittura sette teatri pubblici, tra i quali il teatro San Luca oggi intitolato a Goldoni.

E’ tuttavia bene ricordare che anticamente il carnevale o carnovale, come in realtà lo chiama lo stesso Goldoni, è ben lungi dall’essere come lo intendiamo oggi: soprattutto tra i più giovani è purtroppo scomparso, infatti, ogni riferimento culturale alle maschere della commedia dell’arte italiana.

Nelle celebrazioni carnevalesche sono sopravvissuti per secoli quei culti pagani legati alla creazione di un mondo alla rovescia, dove ci si faceva beffa della stessa morte e dove le autorità civili o religiose venivano messe alla berlina attraverso gerarchie fasulle e invertite: insomma un realismo grottesco e comico, in altre parole una parodia dei valori cristallizzati dal classicismo. Goldoni punta a un’ulteriore e ambiziosa riforma del teatro, mutando ruoli e linguaggio delle maschere tradizionali per renderle più moderne.

Goldoni mantiene in vita alcune maschere tipiche della commedia dell’arte come Arlecchino, Brighella, Pantalone o il Dottor Balanzone; tuttavia le trasforma per farle assumere connotati più vicini alla realtà contemporanea. Arlecchino e Brighella abbandonano così il ruolo di servi buffoneschi o attaccabrighe, elevandosi quasi a valenti collaboratori del proprio padrone; Pantalone e Balanzone, rispettivamente identificati dalla tradizione con il mercante veneziano avaro e con il saccente colto bolognese, invece diventano il mercante anziano ed avveduto oppure il bravo padre di famiglia, che solo di tanto in tanto si lascia andare a erudite citazioni in latino. L’ideologia di Goldoni è un “illumismo popolare” fondato sul microcosmo sociale della famiglia: esso aspira al progresso civile, attraverso il valore e la dignità da conferire alle differenti classi sociali.

Come riuscire in questo? Le maschere tradizionali lasciano il posto ai personaggi della società reale e il linguaggio usato rispecchia tutte le classi sociali: dal dialetto veneziano delle classi popolari – che non è mero strumento di gioco o deformazione espressionistica bensì è lingua autonoma – si passa al linguaggio medio dei bottegai o della piccola borghesia, fino a giungere all’italiano elevato e pulito delle famiglie ricche e mercantili.

Insomma abbiamo di fronte una società fortemente divisa in classi, dove però l’idea di Goldoni non è quella fin troppo scontata della rivoluzione; la sua visione è invece quella della razionale accettazione delle gerarchie sociali, con l’aspirazione a una pacifica convivenza tra le varie classi. E’ una sorta di “democrazia della reputazione”: egli ritiene infatti che ciascun individuo possa affermarsi attraverso l’onore e la galanteria della tradizione mercantile veneziana.

Goldoni è un predestinato nato e deceduto a febbraio, proprio nel mese tradizionalmente dedicato al carnevale, ossia rispettivamente nel 1707 e nel 1793: muore, quasi novantenne, in miseria dopo che l’assemblea legislativa francese gli ha tolto la pensione di corte di cui godeva in qualità di insegnante di italiano presso la famiglia reale a Versailles. Nella sua commedia, elevata al rango della tragedia o del melodramma, Goldoni intende denunciare con l’ironia del palcoscenico i malesseri della società e in particolare la precarietà degli artisti come lui costretti a lasciare la propria terra in cerca di una stabilità economica altrove: per lui questo altrove è la Francia. Quello del precariato delle professioni intellettuali è un tema che appare ancora oggi tremendamente e vergonosamente attuale in Italia, a più di tre secoli di distanza dalla messa in scena di “Una delle ultime sere di Carnevale” che, come già anticipato, presenta dei tratti fortemente autobiografici per stessa ammissione dell’autore.

Anzoletto, dissegnatore di stoffe, è l’alter ego di Goldoni essendo costretto a partire per Mosca in cerca di maggior fortuna. Questa sera di Carnevale è il momento del commiato dagli amici ma rischierebbe di divenire anche un addio all’amata Domenica se non fosse che il Sior Zamarìa, testor di stoffe e padre della ragazza, acconsente alla fine al matrimonio tra i due nonché al loro trasferimento in terra straniera.

I dialoghi, in lingua veneziana, sono di una potenza epressiva tale da non poter lasciare distaccato lo spettatore. Coinvolgenti sono le scene del gioco alla Meneghella – un gioco di carte tipicamente veneziano – della cena e del ballo finale che si svolge in casa del Sior Zamarìa al cospetto degli amici di famiglia: tutti personaggi nei quali è possibile scorgere le diverse maschere di una commedia dell’arte ormai riformata.

«Bon viazo e no ve desmenteghé de nu», si rivolge un commensale ad Anzoletto. «Cossa dìsela mai? Mi scordarme de sto Paese? Dela mia adoratissima Patria?Dei mii patroni?Dei mii cari amici? No xe questa la prima volta che vago; e sempre, dove son stà, ho portà el nome de Venezia scolpìo nel cuor. M’ho sempre recordà delle grazie, dei benefizi che ho recevesto; ho sempre desiderà de tornar. Co son tornà , me xe stà sempre de consolazion.

Ogni confronto che ho avù occasion de far, m’ha sempre fatto comparir più belo, più magnifico, più respetabile el mio Paese. Ogni volta che son tornà, ho scoverto dele belezze maggior; e cussì sarà anca sta volta, se el Cielo me concederà de tornar», è la risposta dell’Anzoletto-Goldoni ben immaginando l’autore che un ritorno reale dall’estero nell’amata Serenissima sarebbe stato improbabile.

Simone Sperduto

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