3 settembre: la leggenda
Il 3 settembre la Repubblica di San Marino festeggia la propria fondazione, all’insegna della tradizione: una cerimonia religiosa, folklore e tanto spettacolo.
Marino, fondatore della nostra Repubblica, all’inizio del Trecento lasciò la natia Arbe, un’isola della Dalmazia per approdare sulle coste adriatiche ed in Rimini passò gli anni della maturità, praticando prima in lavori manuali, poi sotto la guida del vescovo Gaudenzo, prodigandosi nella conversione dei pagani.
Giunto a tarda età per meglio servire il suo dio preferì la solitudine del monte Titano, dove con le sue mani costruì una piccola chiesa, concluse la sua vita alternando il lavoro alla preghiera.
Questo deduciamo da un testo agiografico, la “Vita Sancti Marini”, il cui manoscritto più antico, da collocarsi nella prima metà del X° secolo, è stato pubblicato dallo storico svizzero P. Aebischer.
Fatto saliente della vita di Marino è la donazione del Monte da parte di donna Felicissima, una nobildonna riminese, in ringraziamento per avergli il Santo guarito da malattia il figlio Verissimo.
Il Santo avrebbe poi fatto una donazione del monte alla prima comunità cristiana che attorno alla chiesa si era raccolta. Questo il punto di partenza di ciò che viene definito “il mito della libertà perpetua” di San Marino, mito che trova un riscontro anche nella pubblicistica ufficiale.
3 settembre: festa nazionale dal 1941
Con un decreto del 3 luglio 1941, n°9 il governo sammarinese dell’epoca statuì che la Repubblica era stata fondata il 3 settembre 301 dell’era volgare.
Il 3 settembre come data di morte del santo è deducibile dalla Vita Sancti Marini, il 301 pur considerato come un riferimento di tipo convenzionale, è certamente anticipato perché nella medesima Vita si afferma che Marino lasciò la natia Arbe per sfuggire alle persecuzioni messe in atto dall’imperatore Diocleziano.
Velleitario il richiamo ad una Repubblica nel tempo del declino dell’Impero romano. Il mito della libertà perpetua di San Marino è il prodotto di un percorso che parte dalla donazione riportata nel testo agiografico, trova poi significativo appoggio nella questione relativa al Placito feretrano, e molto più tardi in quella difesa che intrapresero i rappresentanti del Comune sammarinese nel 1296 davanti a Ranieri, abate di valle Sant’Anastasio, incaricato d’inquisirli perché avevano rifiutato di pagare il salario al Podestà feretrano.
San Marino: quid est libertas?
Il nemini teneri, il non essere obbligati a nessuno che poggiava sulla donazione del Santo e su un’esperienza di vita sociale di lunga tradizione, è la risposta all’interrogativo posto dall’abate: “Quid est libertas?”.
I sammarinesi rifiutarono il pagamento di balzelli, facendo risalire la loro libertà ab antiquo, basandosi su tale donazione.
Dalla piccola comunità cristiana raccolta attorno alla chiesa collocata in cima al monte Titano si passò poi ad una comunità più ampia composta da pastori ed agricoltori abitanti alle falde e nei dintorni del monte, come si deduce dal Placito Fertetrano (885), in breve ambito territoriale, di propietà prima del del Monastero, in seguito della Pieve, i quali nell’Abate prima e nel Pievano poi, ebbero non solo la guida spirituale, ma anche il rappresentante più autorevole della vita sociale. Già da prima del Mille la Pieve sammarinese si trovò inserita nella diocesi feretrana ed ebbe nel vescovo di san Leo il rappresentante della Chiesa di Roma, il superiore in spiritualibus e in temporalibus.
Solo verso la metà del XIII secolo si potrà parlare di una prima forma di autonomia sammarinese col nascere di quella istituzione tutta laica che fu il Comune. Solo con il 1300 i rappresentanti laici della Comunità riusciranno a sganciarsi dall’autorità vescovile , anche con l’appoggio delle soldatesche dei conti d’Urbino, interessati ad estendersi al Montefeltro, e non senza le scomuniche che condivideranno con gli urbinati da parte della Chiesa.
San Marino: la libertà perpetua
Il Carducci, nel celebre discorso “La libertà perpetua di San Marino” accetta la leggenda così com è, anzi ne fa una ricostruzione letterariamente felice, narrativamente commossa.
Lo storico P. Aebischer invece invita a distinguere ciò che è veritiero da ciò che appartiene alla letteratura agiografica.
Anzi afferma esplicitamente che la leggenda non è documento storico, ma dimostrazione che nella tarda epoca della sua composizione (sec. X) si venerava sul Monte Titano la memoria di un santo anacoreta di nome Marino.
Nondimeno tale leggenda costituì sempre un forte legame per la comunità sammarinese, che la pose a fondamento della sua coscienza autonomistica.
Il poeta il 30 settembre 1899 tenne questo discorso per l’inaugurazione del Palazzo Pubblico.
“L’uomo di Dio, addormentandosi nel suo Signore, lasciò in comune il monte ai compagni di opere e di fede, che lo tenessero e lavorassero in pace con mutua carità. Intorno alla tomba e al sacello si mantenne stretta la compagnia de’ cristiani, non veramente monasterio o cenobio, ma congregazione di fratelli a lavorare e adorare in libertà”.
(G.Carducci, La libertà perpetua di San Marino)