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“Quello che le canzoni non dicono vol.2”: intervista all’autore Davide Pezzi

“Quello che le canzoni non dicono vol.2”: intervista all’autore Davide Pezzi

Cosa sono le canzoni? Senza dubbio molto più di semplici note e testi; sono frammenti di esperienze umane, racconti di amori intensi, di perdite struggenti, di sogni infranti e di vittorie trionfanti. In questo libro si raccontano i retroscena di alcune delle canzoni più iconiche e amate di tutti i tempi, svelando i segreti che le hanno ispirate.

Molto spesso accanto alla storia vera c’è una leggenda più intrigante della realtà, e spesso ce ne sono alcune dure a morire, come quella che vuole che il brano “Contessa” di Enrico Ruggeri fosse riferito a Renato Zero. Come si alimentano queste leggende?

Beh, come si sa le leggende di solito sono più intriganti e pittoresche della verità. Basti pensare, in ambito storico, ai Cavalieri Templari che erano in realtà dei monaci ma che nell’immaginario collettivo sono dei muscolosi giovanotti con lunghi capelli che brandiscono spade a due mani. Nella “piccola storia” della musica pop è un po’ lo stesso, e allora ecco che la “Angie” dei Rolling Stones sarebbe stata la moglie di Bowie, che sorprende il marito a letto con Mick Jagger, ecco che “The Locomotion” sarebbe stata cantata dalla bambinaia di Carole King (autrice della canzone) che avrebbe improvvisato anche una danza per cullare la piccola, o ancora – come hai ricordato – che “Contessa” dei Decibel sarebbe stata ispirata addirittura a Renato Zero… Sono tutte, appunto, leggende. La verità di solito è meno pittoresca, per cui spesso si preferisce ricorrere alla fantasia, all’aneddoto curioso ma molte volte, come spiego anche nel libro, totalmente privo di fondamento.

Citi spesso parlando di canzoni la classifica stilata dalla rivista “Rolling Stone” con i pezzi più belli della storia della musica. Qual è la tua personale? Quali sono per te i dieci pezzi più belli in assoluto?

Urca, questa è una domanda tosta, ma ancora più tosto è cercare di rispondere… La famosa classifica di “Rolling Stone” contiene 500 canzoni, ma ovviamente non posso farne una analoga. Ti dirò: in gran parte dipende dal momento in cui viene fatta questa domanda, oggi potrei dirti delle canzoni e magari fra una settimana delle altre. Lo stato d’animo, il momento della vita di ognuno, se si è allegri o tristi… tutti questi, e altri, elementi entrano in gioco quando si prova a rispondere. Non riesco davvero a fare una classifica… posso elencare alcune canzoni che io amo particolarmente, quelle che non mi stanco mai di ascoltare, però in ordine sparso. Certamente “Heroes” di David Bowie, un artista che amo particolarmente di cui mi permetto di aggiungerne un’altra, “Ashes to ashes”; poi “Carpet Crawlers” dei Genesis, “Your song” di Elton John, “L’Africa” di Oscar Prudente, un cantautore che purtroppo non ha ottenuto il successo che avrebbe meritato (ha scritto, per esempio, “Jeshael” insieme a Ivano Fossati), stesso discorso vale per Renzo Zenobi e la sua bellissima “Silvia”, “Vienna” degli Ultravox, “Everybody’s talking” di Harry Nilsson, e poi non può mancare almeno “Bohemian Rhapsody” dei Queen, “The year of the cat” di Al Stewart e… mi fermo, altrimenti davvero diventa un elenco infinito! E infatti di alcune delle canzoni che ho citato racconto la storia nei due libri.

Una riflessione attribuita a Brian Eno mi ha colpita molto “E’ sempre emozionante sentire suonare una band al limite delle proprie capacità. Anche se scarse”. Perché?

La citazione è riportata da John Taylor a proposito di “Rio” dei Duran Duran e dimostra una grande modestia da parte del bassista, conscio che la critica non li considerava certo dei grandi musicisti. In effetti mi pare una frase molto bella, perché ci dice forse di non preoccuparci di non saper fare qualcosa come gli altri, ma di fare comunque il meglio che possiamo con quello che abbiamo, di agire sempre al massimo delle nostre possibilità con onestà, senza cercare di arrivare a livelli che magari non fanno per noi. Io almeno la interpreto così…

Secondo Caparezza è il secondo album ad essere sempre il più difficile. Perché?

Caparezza dice questa frase nella canzone “Il secondo secondo me”, che parla dei luoghi comuni, delle frasi fatte, da cui si capisce che lui non è d’accordo con questa affermazione. In realtà secondo me qualcosa di vero c’è, anche se questa “teoria” è valida soprattutto per quegli artisti che hanno un enorme successo col primo disco… Spesso riuscire a dargli un seguito altrettanto valido non è semplice, il pubblico, la critica, tutti si aspettano grandi cose e stanno lì col fucile spianato pronti a cogliere in fallo il povero musicista. Immagino l’ansia per esempio per dare un seguito al primo bellissimo album dei Dire Straits…

La nostra memoria si attiva spesso nell’ascolto di una canzone. Ogni momento brutto o bello è legato ad una in particolare. Una sorta di “Time capsule”. Qual è la “tua” canzone del cuore?

Qui torniamo al discorso di prima, e cioè che ogni momento ha una diversa “canzone del cuore”… Ne cito almeno due: “Ballata per 4 stagioni” di Ivan Graziani, perché è legata all’incontro con quello che poi è diventato uno dei miei più cari amici, forse quello più vicino al mio cuore, e una poco famosa di Enrico Ruggeri, “Non finirà” perché è inscindibilmente legata a mia moglie. Ma potrei citarne almeno altre 50…

A proposito della bellissima “La cura” di Battiato, tu consigli di “sentirla” e ascoltarla senza stare troppo a pensare a dotte interpretazioni. Questo vale per tutte le canzoni?

Credo di sì, almeno per quanto mi riguarda. Anche nel campo dell’arte confesso di essere un po’ un troglodita: se per apprezzare un dipinto devo “capirlo” allora c’è qualcosa che non va. La mia percezione dell’arte è piuttosto emozionale, anche se mi rendo conto che non sia forse il modo giusto per avvicinarsi alla creazione artistica… Per le canzoni in fondo è lo stesso: troppo spesso si leggono fantasiose interpretazioni di questa o quella canzone (vedi il caso citato di “Contessa”), ma lasciano il tempo che trovano: se una canzone ti piace, arriva al tuo cuore, ti emoziona, non è la dietrologia a fartela piacere di più. Semmai sapere come è nata, quali storie si nascondono dietro a quei tre/quattro minuti, a cosa pensava o di cosa soffriva l’autore quando l’ha scritta – come cerco di raccontare io – può farti capire meglio la strada che l’ha portata fino alle nostre orecchie, ma non può farcela piacere se non è nei nostri gusti.

Quale metodo di ricerca hai seguito nel ricostruire la storia delle canzoni?

Ti assicuro che dietro a ogni storia che racconto c’è un grande e lungo lavoro di ricerca, qualcuno potrebbe dire che magari ci sono modi migliori per usare il nostro tempo ma vabbè… Prima di tutto raccolgo tutto il materiale che può essere interessante: libri, riviste, e ovviamente la sterminata mole di informazioni che internet ci mette a disposizione. Quando si tratta di canzoni straniere poi, tutto il materiale è rigorosamente in inglese (quando non in altre lingue tipo il tedesco) per cui c’è un lavoro di traduzione non indifferente. Una volta raccolto il materiale va verificato, perché lo stesso artista racconta lo stesso episodio in modi diversi, e credimi, a volte riuscire a uniformare le varie fonti non è facile. E poi la parte più diciamo “creativa”, cioè cercare una chiave per imbastire una storia che non sia una sterile elencazione di dati, per quello – come ho scritto nella prefazione – c’è wikipedia, ma un vero e proprio racconto, di cui le protagoniste sono le canzoni.

Quando secondo il tuo pensiero una canzone ha “buone vibrazioni”?

Quando ti emoziona, ti commuove, ti rilassa, ti fa sognare, ti fa muovere i piedi, ti aiuta a studiare, ti accompagna nei viaggi in auto, ti fa innamorare, ti diverte, ti consola nei momenti tristi, ti accarezza l’anima… Insomma avrai capito che una risposta sola non c’è.

Uno dei miei pezzi preferiti di tutti i tempi è “Figli delle stelle” di Alan Sorrenti. Ne racconti benissimo la storia. A tuo modo di vedere è un brano tutto da ballare o un pezzo intriso di misticismo?

Indubbiamente Sorrenti ci ha messo dentro una parte del suo vissuto. Non dimentichiamo che proviene dall’ambiente un po’ fricchettone dei primi anni 70, dalla musica progressive e di ricerca, da letture ispirate senz’altro a temi mistici, ma è difficile negare che con questa canzone abbia deciso di dare una sterzata in chiave commerciale alla sua carriera. Intendiamoci: non bisogna sempre interpretare il termine “commerciale” in modo negativo. Ogni artista pop-rock fa dischi con la speranza di venderli, anche Battiato non l’ha mai negato, e difatti abbiamo canzoni “commerciali” che sono però bellissime. Con “Figli delle stelle” Sorrenti è salito al volo e con intelligenza sul treno della disco-music, dimostrando, forse per primo, che era possibile e percorribile anche una “via italiana” alla musica da discoteca. Prima di questa canzone sulle piste delle discoteche italiane non si era mai ascoltato niente nella nostra lingua (a parte il momento dei famosi e mai troppo rimpianti “lenti”, in cui si insinuavano le canzoni italiane più romantiche).

Everybody’s talkin” è un brano consacrato da un film, prima del quale era stato bellamente quasi ignorato. Succede spesso?

Spesso no, ma certamente è successo. Per esempio “Rock around the clock”, quello che è considerato il “padre” di tutti i brani di rock’n’roll, uscì addirittura come lato B di un 45 giri di Bill Haley. Solo dopo che fu inserito nel film “Il seme della violenza” divenne l’enorme successo che oggi conosciamo.

A San Marino il libro è in vendita presso la “Libreria Cosmo” a Borgo Maggiore.

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