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Pensieri di panna: com’era, com’è, come sarà

Pensieri di panna…

“Affacciati alla finestra amore mio” questo cantava Jovanotti nella sua Serenata Rap, una mia amica e vicina di casa mi ha appena promesso che mi avviserà la prossima volta che uscirà a gettare il sacco nero nel cassonetto della via, così ci potremo salutare, io da dietro il mio cancello lei dalla strada.

Ho riso al solo pensiero, ma è un riso dolce e amaro, come sempre in questi giorni, dolce perché ogni pensiero è più intenso, amaro perché la situazione è davvero difficile.

Ho conosciuto Paola più di 15 anni fa, le nostre bambine frequentavano lo stesso nido, tante volte in quegli anni ci siamo dette “certo che da novembre a febbraio con le bimbe sempre influenzate staremo in isolamento dal mondo”, mai avremmo immaginato sarebbero arrivati giorni in cui veramente per settimane saremmo state chiuse in casa.

Quindici anni fa la parola “Corona” mi suggeriva solo immagini legate a “The Queen” la mitica Elisabetta, riportandomi alla mente tutta la luce e l’energia di alcuni fine settimana trascorsi a Londra, il primo negli anni dell’Università, più di recente con la mia famiglia, giornate leggere in cui ho macinato chilometri e chilometri e sono arrivata a sera con le gambe stanchissime e la testa leggera e piena di belle immagini…come vorrei fosse ora.

Ora questa ripeto questa parola con paura, con ansia, apre una voragine di domande senza risposte e dubbi su come sarà il nostro domani.

Dall’otto marzo solo due cose non sono cambiate: voglia zero come sempre di lanciarmi nell’esecuzione di raffinate e complicate ricette, il mio rifugio, il mio nido caldo e sicuro è come sempre, ora più che mai, la mia casa, le ancora che mi trattengono a terra, alla quotidianità, alle risate impedendo ai miei pensieri di diventare scuri restano i miei figli.

La grande è una tipica adolescente “piedi a terra e testa saldamente per aria”, ha però un piglio pragmatico in questo periodo, a ogni decreto ha ripetuto…eh non ti illudere che dopo sia tutto finito…

Il piccolo invece il virus non vuole neanche che lo nomini.

Tante le cose che invece sono cambiate in queste settimana: non indosso più abiti a palloncino e scalda cuore in tinta, ogni giorno una tuta diversa, mi è rimasto però come retaggio delle vecchie abitudini quello di coordinare t-shirt e pantalone, esco di rado a fare la spesa, delego quasi sempre,temo la mia paura riflessa negli sguardi di chi incontro, curo il giardino, gioco a carte con i miei figli,  piccole spine che facevano sanguinare il mio cuore hanno smesso di farlo, quelli che mi sembravano grandi dilemmi ora in confronto al terremoto che ha investito tutti sortiscono solo l’effetto di farmi alzare le spalle, le maglie del mio cuore sono un po’ più strette, mi è chiarissimo chi conta e chi meno.

In questi giorni mi provoca dolore non sapere rispondere con certezza alle domande di mio figlio sulla riapertura delle scuole, sentire aleggiare palpabile la frustrazione di mia figlia nel non potere uscire, né vedere le amiche, né fare tutte quelle cose che un’adolescente dovrebbe poter fare.

Terminata l’emergenza sanitaria, faremo i conti con quella economica, ma l’aspetto che mi crea più pensiero è quello relazionale, non facciamo che ripetere agli amici “non vedo l’ora di vederti per poterti riabbracciare”, ma sappiamo che questo contatto per un po’ non ci potrà essere.

E questo è un pensiero che mi strazia, che cerco di allontanare per un po’…sino a quando non sarò in grado di affrontarlo con serenità…intanto mi affaccio alla finestra e aspetto che la mia amica esca a buttare l’immondizia…

Chiara Macina

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