giovedì , Aprile 18 2024

L’uomo che cercava i quadrifogli

L'uomo che cercava i quadrifogli - Racconto di Marco Di Grazia

I
L’uomo che cercava i quadrifogli

      Fu solo dopo che Guidino, il figlio di Gino il bottaio, prese un dieci in aritmetica, che tutti cominciarono a crederci e a interessarsi a quell’uomo strano. Guidino era un ragazzo turbolento, rissoso, zuccone. Anzi, era senza dubbio il più zuccone della scuola e, come diceva il maestro Donatelli, più adatto a impugnare la zappa che la penna. E Guidino sembrava non voler fare niente per smentire la sua fama, per cui si esibiva in zuffe colossali con chiunque capitasse a tiro della sua prepotenza. Ragazzi e ragazze, più piccoli o più grandi, non faceva differenza. A Guidino piaceva menare le mani. Così, data la sua attitudine non esattamente umanista, i suoi voti volavano rasoterra ondeggiando fra il tre e il cinque, con pochi, sporadici, sussulti sopra la sufficienza. Eppure quella volta…

Era un normale giorno di scuola e Guidino era uscito come al solito qualche minuto prima per andare ad appostarsi presso un grosso ciglio da cui passava un gruppo di ragazzini di quelli “per bene” che a lui stavano tanto sulle balle. Si era costruito una cerbottana e aveva preparato delle pallottole di sterco, preso nella stalla del nonno. Di mucca. Bello, caldo, fumante. Appiccicoso! Non vedeva l’ora di provare i suoi nuovi proiettili quando lo sguardo gli cadde su quell’uomo che aveva intravisto   alle sue spalle. Guidino si incuriosì. Lo aveva visto tante volte ma non si era mai soffermato su di lui. Semplicemente non lo interessava. Aveva sentito dire qualcosa in paese, tipo che era matto, ma non aveva mai approfondito, nemmeno con suo padre, vero e proprio gazzettino capace di sapere vita morte e miracoli di ciascuno.

Aguzzò lo sguardo in direzione di quell’uomo anziano. Era malvestito, con una camicia a quadri logora e vecchia e un paio di pantaloni di almeno due taglie più grandi del necessario. L’uomo camminava curvo sul prato, appoggiandosi a una stampella di legno. Guardava in terra, sembrava cercasse qualcosa.

Avrà perso dei soldi? Pensò Guidino e lasciò la sua postazione da commando per andare incontro all’anziano.

Si trovò in breve a pochi passi dalla sua barba bianca e incolta. L’uomo sembrava non fare caso al ragazzino e continuava a spostare lo sguardo sul verde del terreno.

-Scusi- esordì Guidino
-Sì?- Rispose l’uomo evidenziando un sorriso candido e rasserenante. Guidino ne rimase colpito e per un po’ non riuscì a parlare.
-Dimmi pure, ragazzo- replicò l’uomo, prima di tornare a guardare per terra.
-Posso sapere cosa sta facendo, signore? Ha perduto qualcosa?- Chiese finalmente il ragazzino, mostrando un’educazione di cui si stupì egli stesso per primo.
-Certo che puoi saperlo. No, non ho perduto niente. Sto cercando quadrifogli.-
-Quadrifogli?- Si stupì Guidino.
-Sì, quadrifogli come questo- ne estrasse uno da una tasca e glielo mostrò.
-Ed è vero che portano fortuna?- Chiese con entusiasmo il ragazzo.
-A volte sì, a volte no. Bisogna crederci, sai? E bisogna credere che la fortuna si può e si deve condividere. I quadrifogli non amano le persone egoiste, sanno riconoscere a chi portare fortuna e a chi no-
-Io non sono egoista, signore. Però non ho mai trovato un quadrifoglio. Per questo allora sono sfortunato? Non mi sopporta nessuno!-
-Guidino, Guidino… non è vero che non ti sopporta nessuno. E’ che hai un carattere un po’ turbolento, ecco. Però sono sicuro che a te un quadrifoglio porterebbe fortuna, perché leggo nei tuoi occhi che ci sai credere.- Si chinò all’improvviso, più agile di quanto potesse far pensare e strappò qualcosa dall’erba. -Ecco- disse mostrandolo al ragazzo -questo è per te. I quadrifogli portano fortuna se vengono regalati. Ricordatelo, se dovessi trovarne uno. Non lo tenere, regalalo a una persona. La sua fortuna sarà la tua soddisfazione.-

Guidino si rigirò nella mano il quadrifoglio con lo sguardo meravigliato, dopodiché ringraziò il vecchio e corse via saltellando. L’uomo lo guardò fino a che non scomparve, senza perdere il sorriso, poi tornò alla sua ricerca.

Quando, alcuni giorni dopo, Guidino prese dieci nel compito di aritmetica, la voce si sparse in un batter d’occhio. E, soprattutto, si sparse la storia dell’uomo che aveva regalato il quadrifoglio al giovane figlio del bottaio. E in breve la voce che passava di bocca in bocca, di strada in strada, di bottega in bottega, si fece unica. Ma chi era quell’uomo?

Come succede sempre, quando una persona ti passa davanti e tu la guardi ma non la vedi, la senti ma non l’ascolti, quella persona ti è del tutto invisibile. Avvolta nell’indifferenza, che è come una gomma che cancella il segno della matita sul foglio. Fino a quando questa persona non fa qualcosa che ti fa drizzare le orecchie e allora ti rendi conto di averla vista da sempre ma di non conoscerla. Di non sapere chi è, che fa, qual è la sua storia… ti rendi conto di non saperne nemmeno il nome. Eppure, e qualcosa ti si muove nella memoria, eppure lui sa il tuo. Ecco, sì, te l’ha detto una volta che ti ha salutato. Ti ha chiamato per nome e tu non ci hai fatto nemmeno caso, così come non hai fatto caso al suo sorriso, tutto preso dalla tua fretta, da un appuntamento, da qualcosa di urgente da fare. Di troppo urgente per prestare attenzione a un saluto. A un sorriso.

-E sapeva anche come mi chiamo- Guidino ripensava al suo incontro con il vecchio -e chi glielo ha mai detto?- Molti altri, quella sera, si fecero la stessa domanda. Ma nessuno riuscì a venire a capo del mistero. Chi era quell’uomo? Come si chiamava? Da quanto tempo era arrivato in paese? E poi… perché cercava quadrifogli? Ne aveva già regalati a qualcuno prima? E se sì… avevano funzionato? A qualcuno sembrava di ricordare qualcosa del genere. Ci fu la Bettina, la figlia della tabaccaia, che raccontò di una volta in cui era in bottega e quel vecchio era venuto per comprare un mezzo toscano. Aveva pagato dimostrandosi molto gentile e poi le aveva dato un quadrifoglio, dilungandosi poi in spiegazioni che la ragazza, però, nemmeno ricordava.

-Ebbene?- Chiese qualcuno -ti ha portato fortuna?-
-Ma non lo so- rispose la Bettina -non ricordo nemmeno se l’ho buttato via o cosa. Insomma, non lo so. Forse quella sera conobbi l’Armando, però-.

Ecco. Quello poteva essere un indizio. L’Armando era il moroso della Bettina. Un bel pezzo d’uomo, un po’ in su con gli anni, ma proprietario di una fattoria e di alcune case nella parte alta del paese. Sicuramente un bel partito. Questo non fece che confermare le benefiche qualità dei quadrifogli regalati da quell’uomo. A proposito, disse qualcuno: ma dove abitava? Nessuno aveva saputo rispondere. Un’altra delle domande rimaste appese nell’aria.

Quella sera, nell’osteria di Sibemolle ci fu una specie di spontaneo concorso per spararla più grossa sulle origini dell’uomo che cercava i quadrifogli. Sibemolle era chiamato così perché aveva un modo tutto particolare di avvertire i clienti quando il caffè era pronto. Di solito gli avventori entravano, ordinavano e poi si mettevano a leggere il giornale o a chiacchierare con qualcun altro, magari un po’ distanti dal banco. Allora l’oste sbatteva le tazzine sul piano di alluminio e si lanciava in uno squillante “pronto il caffèèèèèèèè” modulando l’ultima sillaba con perizia da tenore. Il maestro Fortugno, vecchio insegnante di musica in pensione, una volta che si trovava nel bar, all’invocazione dell’oste si voltò e sentenziò: un si bemolle. Bella ugola, complimenti.

Uno che era lì vicino partì subito adottando il soprannome: -Fammi un caffè, Sibemolle!- Canzonò. Quel soprannome gli rimase, anche se a lui non piaceva. Due giorni dopo il vecchio Fortugno morì e, per rispettare la sua memoria, Gerardo Morini, oste figlio di osti e nipote di mugnai, lasciò che tutti lo chiamassero Sibemolle.

E la sua osteria era uno dei luoghi deputati al pettegolezzo, in questo caso, prettamente maschile. Fu così che, complice qualche bicchiere di troppo, quella sera iniziò la gara a chi la sparava più grossa sulle origini del vecchio che cercava i quadrifogli.

Il primo che disse di saperne qualcosa fu Gino il bottaio, il padre di Guidino, il ragazzo che aveva usufruito dell’insperata fortuna donatagli dal quadrifoglio.

-Quell’uomo…- esordì Gino -… io avevo sentito una storia strana tempo fa. Ve la ricordate? Quel tizio che stava di là dai monti, quello che lavorava di notte, dài…-
-Quello che gli bruciò la casa e ci morirono la moglie e il figlio?- Chiese il Bonfanti colto da improvvisa illuminazione.
-Bravo Bonfa!- Trionfò Gino. -Proprio lui! Quello che poi aveva perduto il lavoro e da allora aveva cominciato a ubriacarsi. Una notte, tornando a casa, vide i bagliori dell’incendio e si precipitò ma non ci fu niente da fare. La moglie e il figlio erano morti asfissiati. E lui aveva trovato un quadrifoglio nella mano della moglie. Lei avrebbe voluto regalarglielo come portafortuna. Da allora è impazzito e cerca quadrifogli ovunque… sì, sì, è lui, ne sono sicuro!-
-Ma che cazzo dici, Gino?- Intervenne Sibemolle. -Guarda che quello lo arrestarono; aveva perso la brocca ed era stato lui a dare fuoco alla casa… e poi, la storia del quadrifoglio da dove l’hai pescata? Mai sentito parlare di quadrifogli in quella storia là!-
-E bravo lui! Se non ne hai sentito parlare te vuol dire che non è vero?-
-Va’ va’- disse Sibemolle. -Te lo dico io chi è quel tizio, ora che raccontavi mi sono concentrato sulla sua faccia, ce l’ho stampata qui davanti come fosse una fotografia. E ora ho capito!-
-Sì, via… sentiamo. E chi sarebbe?- dubitò Gino il bottaio mentre tirava via con forza il tappo di sughero dal fiasco.

Sibemolle si mise nella sua posizione preferita: proteso in avanti e con gli avambracci appoggiati sul bancone del bar. Diede un’occhiata silenziosa alle facce di ognuno dei presenti per assicurarsi di averne catturato la curiosità e lentamente schiuse le labbra.

-Quel tizio- quasi sussurrò l’oste -è un vecchio amante della marchesa Monari Serenini…- e lasciò scivolare lentamente le ultime sillabe, assumendo un’aria cospiratoria.
-Bum!- Gino il bottaio si versò un bicchiere di rosso mentre scuoteva la testa. Gli altri rimasero in silenzio aspettando il seguito del racconto.
-E’ così, vi dico- prosegì Sibemolle -anni fa sono stato nella villa della contessa per una consegna di vino e quando mi ha fatto entrare nel salone per pagarmi ho notato alcune vecchie foto. In una di queste c’era quell’uomo… certo, più giovane e non sporco e malmesso com’è ora, ma quel volto così particolare, gli zigomi pronunciati, il naso piccolo e aquilino, proprio da nobile no? Sicuramente era uno dei suoi amanti che poi è stato piantato e ha perduto il cervello. Era bella la marchesa da giovane, sapete?-
-Sì e che c’entrano i quadrifogli?- chiese a bocca storta Gino il bottaio.
-Toh… guarda te che domanda. Che c’entrano i quadrifogli? Va bene che la marchesa non si fa vedere quasi mai in giro, ma non hai mai notato quella specie di spillone che porta al vestito? Non hai visto che forma ha?-
-E’ un quadrifoglio!- Azzeccò il Bonfanti e accompagnò l’esclamazione con un cazzotto che fece tremare bottiglia e bicchieri.
-Se rompi paghi Bonfa, eh?- ammonì Sibemolle. Poi riprese: -comunque, sì, è lui, ne sono sicuro. Stessa faccia, stessa espressione…-
-Stessa stronzata come quella di Gino- interruppe una voce. Sibemolle si voltò corrugato sulla sua sinistra. Le guance già rubiconde del Ceccotti avevano una tonalità vicina al porpora.
-Bella cazzata, Sibemolle. L’uomo di cui parli tu era suo fratello! La marchesa non ha né foto né ritratti dei suoi amanti. E poi… io lavoro per la sua famiglia da cinquant’anni, che ero alto così! Fosse stato un suo amante lo avrei saputo.-
-Sì, certo, veniva a farli conoscere a te, gli amanti, Ceccotti. Ma fammi il piacere!- Gino il bottaio voleva mordersi la lingua. Inconsciamente si era schierato dalla parte di Sibemolle.
-Giusto!- L’oste approfittò dell’aiuto insperato.
-Giusto una sega!- Ribadì il Ceccotti. E comunque la foto di cui parli tu è quella del fratello. Ha la giacca chiara e un fiore all’occhiello, vero?-
-Beh… sì, ma…- balbettò l’oste prima che una voce ferma e grave scuotesse di nuovo l’ambiente.
-Siete tutti fuori strada, ragazzi. So io chi è quell’uomo!-
Gli sguardi andarono tutti verso la porta. Era apparso il maresciallo Calindri.
-Bellamossa!- Approvò quel piccoletto sardo da poco arrivato in paese.

E il maresciallo iniziò il suo racconto. Secondo lui il vecchio era un ex ufficiale di cavalleria che era impazzito dopo una battaglia in cui aveva mandato allo sbaraglio i suoi uomini, che erano poi stati decimati dal nemico. Prima della battaglia gli era stato offerto un quadrifoglio, che il suo attendente aveva trovato nel prato, ma lui aveva rifiutato, affermando che in guerra la fortuna non c’entra, è solo questione di capacità e così aveva gettato via il quadrifoglio. Il suo attendente era morto insieme a gran parte del battaglione e lui aveva lasciato l’esercito. Il maresciallo conosceva questa storia perché gliene aveva parlato un suo anziano superiore prima di andare in pensione. Ora gli era tornata in mente ed era certo di quanto stava dicendo.

-O maresciallo me la spieghi una cosa?- cantilenò Gino il bottaio mentre spingeva un bicchiere verso il carabiniere. -Che ti sembra una storia anche minimamente credibile questa? Poi vi incazzate, voi carabinieri, se vi dedicano le barzellette!-
-Senti chi parla!- Il maresciallo allontanò sdegnato il bicchiere. -Le spari grosse come palazzi e poi c’hai da sproloquiare su chi dice la verità?-
La discussione andò avanti per quasi tutta la notte, ma senza che nessuno venisse a capo di niente. Era chiaro che erano tutte balle, in realtà nessuno aveva la più pallida idea di chi fosse quell’uomo. Ma ormai la curiosità si era insinuata nel paese, rapida e strisciante come una biscia. E, come essa, altrettanto sfuggente.

E sfuggente lo fu davvero perché per alcune settimane nessuno rivide più quel vecchio. Eppure, tutti lo avrebbero giurato, da un bel po’ di tempo lo si era visto tutti i giorni, sempre curvo sui prati, sempre con la sua stampella, sempre sorridente le poche volte che qualcuno ne incrociava lo sguardo.

Riapparve una domenica mattina di un aprile che profumava già d’estate, ma sembrava un’altra persona. Era sbarbato e ripulito, i capelli bianchi ben pettinati all’indietro. Indossava un elegante abito bianco e sfoggiava una gardenia nell’occhiello della giacca. Al posto della stampella, si appoggiava a un bastone con la cima incastonata di argento. Fu l’Erminia che lo incrociò per prima e rimase quasi fulminata alla sua presenza, tanto che di colpo le venne in mente che non trombava con il marito da quasi sei mesi e sentì un lieve pizzicore salirle dalle cosce fino al cervello e poi ridiscendere giù di corsa.

-Buongiorno- la salutò amabile l’uomo.
-B… buongiorno- balbettò l’Erminia persa in pensieri che la fecero arrossire.

La notizia, ancora una volta, si sparse velocemente per il paese.

-Visto? Lo avevo detto che era un nobile!- Furoreggò Sibemolle.
-Avevo ragione io! Ha chiaramente la postura del vecchio militare!- Rimbalzò il maresciallo.
-Per me vi sta prendendo per il culo!- Chiosò stizzito Gino il bottaio, che sembrava quello più fuori strada con il suo personaggio.

I chiacchiericci vennero interrotti dal protagonista involontario degli stessi che, seguito con lo sguardo da tutte le donne del paese, fece, per la prima volta, il suo ingresso nell’osteria di Sibemolle.

-Bonjour à tous le monde!- Sorrise dispensando raggi di sole.
-Che ti avevo detto? E’ straniero.- Annuì il Ceccotti mentre sbatteva l’asso di picche sul tavolo.
-Posso avere un caffè?- Domandò l’uomo di bianco vestito.
Si sorbì il caffè e decine di domande, alle quali rispose con garbo e sempre senza smettere di sorridere.
-Sì, cerco i quadrifogli. -No, non l’ho mai regalato alla figlia della tabaccaia. -No, la fortuna non c’entra, semplicemente Guidino ha studiato e ha preso dieci, se avesse avuto fortuna avrebbe magari trovato un portafogli pieno di soldi, no? Il voto dipende da lui e dalla sua bravura, non dalla sorte. -Ma può essere stato influenzato? Sì può essere ma la sostanza non cambia.-

Fu bombardato di domande e a tutte seppe dare la risposta adeguata, tranne a quella che più volte gli fu rivolta: -Ma perché cerca i quadrifogli se non crede alla fortuna?-
-Non ho detto di non crederci. Ma non posso rispondere a questa domanda. Non ora, non qui. Lo farò, forse, più tardi, ma ad un’altra persona.-
-E’ per lei che si è vestito così?- L’Erminia si era affacciata sulla porta, ufficialmente per vedere se c’era il marito, ma in realtà stava schiattando dalla curiosità.
-Diciamo che ho un appuntamento, cara signora- sorrise l’anziano, elegante, signore.
-E chi è la fortunata?- Chiese Sibemolle, mentre appoggiava la tazzina sul piattino senza accompagnarla dalla nota che gli aveva donato il soprannome. E poi aggiunse cercando complicità in sguardi che nessuno gli rivolse: -già che parliamo di quadrifogli…-
-Non lo so. So che sarà oggi, più tardi. E’ l’appuntamento della mia vita, sapevo che sarebbe arrivato, prima o poi. So che quel prima o poi è oggi. E’ giornata di appuntamenti, forse anche per lei, signor Morini-.

Si guardarono tutti in faccia. Qualcuno non riusciva a trattenere un sorrisetto canzonatorio. L’uomo non vi fece caso, sorseggiò il caffè e fece per pagare, ma Sibemolle, contento e stupito di essere stato chiamato una volta tanto per nome, lo stoppò con la mano.

-Offre la ditta, visto che anch’io oggi avrò un appuntamento- sentenziò ridacchiando.
-Grazie, lei è squisitamente cortese- sorrise l’uomo. -E ora se i signori vogliono scusarmi…- Salutò alzando la tesa del cappello e si avviò all’uscita. Gli uomini si guardarono in faccia, poi, dopo che l’anziano fu uscito, esplosero in una risata.
-Lo dicevo io che è matto!- Disse qualcuno.
-Quello lo dicevamo tutti- Rispose qualcun altro.

Ma intanto tutti erano corsi verso la porta per vedere la direzione presa dall’uomo. C’era ancora l’Erminia, ma il suo sguardo fu più eloquente di tante parole.

Era scomparso.

Guardarono in tutte le direzioni, ma l’uomo che cercava i quadrifogli non c’era più.

-Dov’è finito?- Si sentì dire.

Nessuno rispose e ognuno tornò alle sue occupazioni pensando se non fosse stato una specie di sogno. Da lì a poco, imprecazioni, bestemmie, rumori di pugni sui tavoli, tintinnii di cucchiaini nelle tazzine da caffè e discussioni varie ripresero ad animare il bar.

Lo stesso accadde in paese, anche se, ognuno, talvolta, ripensava a quel vecchio che cercava i quadrifogli chiedendosi: ma è successo davvero? 

II
La ragazza che non credeva ai quadrifogli

          Erano le sette e venticinque di una domenica mattina di un aprile che profumava già di estate. Lei aprì gli occhi e si alzò, con un gesto finale, cinque minuti prima che la sveglia suonasse. Non voleva sentirla. Non quella mattina.

Mise a scaldare del latte in un tegamino di metallo senza più il manico e si diresse in bagno. Quando tornò in cucina il latte bolliva. Con uno straccio afferrò il tegamino e si versò il latte in una tazza un po’ sporca. I capelli le scendevano sul viso, rigandolo di sottili fili ramati. Li scostò per bere il suo latte bollente, di cui bevve solo un sorso, ritirando la bocca in una smorfia di disgusto.

Si diresse in camera e si vestì, scegliendo il suo abito migliore, scegliendo quella camicetta di percalle che le fasciava i fianchi. Si vestì con cura e con cura si truccò davanti allo specchio, esibendo uno sguardo triste, come quello di un clown. Deglutendo fece tornare indietro una lacrima che avrebbe rovinato il suo lavoro con i trucchi.

Si diede un’ultima occhiata allo specchio, poi allo stesso specchio rivolse un saluto e uscì.

Fuori, il sole. I colori del mattino lanciavano grida trionfali, dando l’impressione di una sinfonia imponente e allegra. Lei diede prima uno sguardo al cielo terso, poi abbassò gli occhi fino a inquadrarsi la punta delle scarpette basse, infine si incamminò.

Camminò per quasi due ore, con passo lento e regolare, per recarsi nel luogo dove aveva un appuntamento importante. Il più importante della sua giovane vita: un appuntamento con il destino. Aveva camminato senza pensieri, senza guardarsi attorno, con lo sguardo fisso sui suoi brevi passi. Verso quel destino che aveva deciso di prendere in mano. Voleva essere lei a decidere, non ce la faceva più a subire alcun tipo di evento. Iniziò l’ultimo tratto del sentiero che stava percorrendo e alzò gli occhi. Davanti a sé troneggiava uno sperone roccioso; dopo, solo il vuoto.

Un sospiro, poi si mosse verso quell’ultimo tratto. Quello definitivo. Poi qualcosa attirò la sua attenzione. C’era una persona, nel tratto di prato  che fiancheggiava il sentiero. Incuriosita si voltò per guardare meglio: c’era un signore anziano, un bell’uomo distinto ed elegante, con nel suo abito bianco e i capelli e barba dello stesso candore. Muoveva l’erba con un bastone e stava leggermente chino. Sembrava proprio che cercasse qualcosa.

Affari suoi, pensò lei e fece per rimettersi in cammino ma qualcosa la bloccò. Una forza che non riusciva a capire la tratteneva lì. Non seppe come, ma un secondo dopo udì la sua voce che si rivolgeva a quell’uomo.

-Mi scusi-
-Dica signorina- L’uomo si era alzato e le aveva rivolto un sorriso caldo e rassicurante.
-Ha perduto qualcosa? Posso aiutarla?-
-Lei è molto gentile, signorina. No, grazie, non ho perduto niente-. L’uomo, sempre sorridendo si rimise a guardare per terra.
-Ah!- Lei rimase con la bocca semi aperta. Fece per riprendere il suo cammino, ma dopo un paio di passi si fermò di nuovo. Sentiva che doveva chiederglielo, fargli quella domanda che aveva increspata fra le labbra.
-Scusi…- ripetè

L’uomo vestito di bianco si rialzò di nuovo.

-Dica signorina-
-Mi scusi la curiosità, ma allora che sta facendo se non ha perduto niente?-
-La sua curiosità è più che legittima, signorina. Non capita tutti i giorni di vedere un vecchio chino sopra un prato. Lei ha perfettamente ragione. Vede, signorina, sono qui perché ho un appuntamento-.

Lei aggrottò le sopracciglia e aprì la bocca per rispondere.

-Esattamente come lei, signorina- la anticipò l’uomo.
-Ma… ma…-
-Ma… giusto, signorina, lei mi ha rivolto una domanda e io ho eluso la risposta. Mi ha chiesto cosa sto facendo. Vede, sto semplicemente cercando quadrifogli.-
-Quadrifogli?- Si stupì lei.
-Sì, quadrifogli- Ribadì lui.
-Ma… i quadrifogli non esistono. Io non ne ho mai visto uno e, soprattutto, non ho mai conosciuto qualcuno che ne abbia trovati-.

L’uomo le si avvicinò sempre sorridente.

-Io non ho mai visto un elefante e non conosco nessuno che ne abbia mai avvistato uno, ma non dubito della loro esistenza, signorina-.
-Bella risposta, ma rimane il fatto che per me non esistono i quadrifogli. È solo una leggenda. E comunque, visto che lei li cerca… ne ha trovati? Ne ha uno qui da farmi vedere? La fortuna è qualcosa di cui avrei avuto bisogno, sa?-
-E chi non ne ha bisogno?-
-Allora? Me ne trova uno?-
-Ma non è mica così facile, signorina. I quadrifogli lo decidono loro quando e da chi farsi trovare. E in quel momento basta buttare lo sguardo a terra e… zac!-
-Detta così sembra quasi una favola-
-Forse lo è, chissà…-
-Già. E a volte è bello crederci alle favole. Buon per lei che ci riesce, io ormai ho perso le speranze-
-Eppure le favole a volte sono vere, signorina- sorrise ancora l’uomo -Ma ora è meglio che vada, immagino che lei voglia stare sola-
-E il suo appuntamento?-

L’uomo non rispose, le rivolse un sorriso tenero, poi si voltò e si allontanò lentamente, aiutandosi nel passo con il suo bastone. Lei rimase lì, a guardarlo fino a che non divenne un punto bianco nella luce di quel mattino terso. Avrebbe voluto fargli altre domande, chiedergli ancora dei quadrifogli, poi si scosse.

Quadrifogli.
Che sciocchezza.
Non esistevano i quadrifogli.

Riprese il suo passo mestamente, fino a salire in cima al sentiero e in breve si trovò in cima. Solo una piccola roccia la separava dal vuoto che aveva di fronte. Si alzò un vento fresco. Lei guardò di sotto. Eccolo l’appuntamento con il destino. Ecco il desiderio di farlo suo. Ecco il decidere di farla finita con una vita da cui si sentiva tradita.

Un passo. Ora bastava un semplice piccolo passo e l’appuntamento con il destino si sarebbe compiuto. Il vento aumentò di intensità e divenne  improvvisamente più caldo, insinuandosi fra i suoi capelli come un raggio di sole. Istintivamente alzò le mani per sistemarsi i capelli e sentì che c’era qualcosa sull’orecchio sinistro.

Lo prese con le dita e quasi le cedettero le gambe quando vide ciò che aveva sul palmo della mano.
Una, due, tre… quattro. Quattro foglie verdi attaccate allo stelo. Lo rimirò girandolo fra le dita. Un quadrifoglio.

Si voltò istintivamente per cercare di nuovo quella figura bianca, ma non la scorse, poi tornò a guardare quel quadrifoglio che continuava a brillare fra pollice e indice.
Una lacrima le brillò sulla guancia.
Le scarpe basse si mossero accennando un passo.

III
L’appuntamento

     Era quasi l’ora di chiusura e nel bar non era rimasto nessuno. Sibemolle aveva quasi finito di sistemare le sedie e pulire il pavimento quando si accorse che sul banco era rimasta la tazzina, con il suo piattino, in cui aveva bevuto il caffè l’uomo vestito di bianco. Si mise l’asciugamano sulle spalle e tornò dietro il banco. In quel momento entrò lei. Sibemolle alzò lo sguardo su una ragazza dai capelli color rame e con indosso una camicetta di percalle che le fasciava i fianchi. Si era affacciata all’ingresso.

-E’ aperto?- Chiese.
-Stavo per chiudere, ma dica pure- rispose Sibemolle con voce flautata.

Pochi istanti dopo la ragazza stava bevendo il caffè. Sibemolle notò che teneva qualcosa fra le dita. Lei lo notò e aprì il palmo.

-Le piace? E’ un quadrifoglio. Pensi che fino a poco fa non credevo che esistessero-.

Sibemolle aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì a proferire verbo. Si scosse e si accorse che la tazzina dell’uomo vestito di bianco era ancora sul banco.
Sollevò il piattino di ceramica bianca.
Entrambi si fermarono con lo sguardo sul banco di alluminio. Sotto la tazzina c’era qualcosa di verde.
Sibemolle allungò la mano e alzò lo sguardo, incrociando quello della ragazza.
Lei rispose con un sorriso e fece brillare di nuovo fra le dita il suo quadrifoglio.
Sibemolle restituì il sorriso e fece lo stesso con il suo.

 

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Marco di Grazia

Nasce a Pescia (PT) nel 1969, esordisce nel fumetto nel 1997 come sceneggiatore della serie umoristica “Non calpestare le margherite” e della serie “Area 51” per i disegni di Marcello Mangiantini, con cui pubblica anche racconti brevi sulle riviste “Selen”, “Il giornale dei misteri”, “Gli amici del 2000”. Nel 2003 si occupa dei testi, sempre per i disegni di Mangiantini, della miniserie western “Il Diavolo Bianco”, anno in cui vince, inoltre, il concorso Giallowave e pubblica il racconto “Un facile caso”. Nel 2008 esce il primo romanzo, “Li chiamavano Bartali e Coppi”, seguito nel 2010 da “L’Ottavina di Dio” scritto a quattro mani con Francesco Villari, con cui pubblica, nel 2016 un altro romanzo: “Democracia Futebol Clube”. Nel 2016 è finalista del Lucca Project Contest con la graphic novel “Cinque minuti due volte al giorno; nel 2017 scrive la piece “Vixerunt”, una storia narrata, disegnata e recitata, e il racconto\fiaba “L’uomo che custodiva la musica” con le illustrazioni di Cristiano Soldatich. Fa parte dello “Studio Sciupòn” insieme ai disegnatori Giovanni Ballati, Riccardo Innocenti e Cristiano Soldatich e allo sceneggiatore Iacopo Innocenti; e del collettivo di artisti “Abrazo Futbolero”, attivo in tutta Italia con mostre, manifestazioni, presentazioni e diverse altre attività.

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