sabato , Ottobre 5 2024

La tartaruga Carolina

C’era una  volta, in un paese lontano lontano, una tartaruga che si chiamava Carolina. Era nata in una famiglia di esseri umani che le avevano voluto tanto tanto bene e l’avevano trattata sempre come “una ella loro specie”  dandole ogni giorno  l’insalata biologica più fresca, le bucce delle mele più succose e coprendola addirittura con un panno di velluto quando arrivava la sera o quando andava in letargo.

Un giorno però, la Tartaruga Carolina che viveva nel giardino della famiglia Benestanti inciampò per uno strano caso in un frammento di specchio caduto qualche giorno prima da un camion che trasportava mobili.

All’inizio pensò di trovarsi di fronte a un mostro orribile, rugoso, fatto di squame,  con due piccoli occhi appuntiti e un aspetto alquanto “preistorico”. Indietreggiò. Se avesse avuto l’uso della parola (quelle parole che gli umani della famiglia Benestanti le rivolgevano spesso e che lei comprendeva alla perfezione) avrebbe urlato: ”Vade retro, mostro!!!!”” Ma non potendo parlare si limitò a indietreggiare lei stessa. Dopo questo primo momento di confusione rimase lì ferma per un po’ aspettando che in qualche modo succedesse qualcosa. Il “mostro” non si muoveva e non dava segni di vita. Carolina pensò a un certo punto che forse l’aveva spaventato col suo aspetto da umano bellissimo, in fondo quell’essere era davvero inquietante. Armatasi di tanto coraggio e forza di volontà si avvicinò ancora al pezzo di specchio e rimanendo immobile cominciò ad osservare. Gli occhi non erano poi così terrorizzanti, le squame non facevano poi così paura ma, che cos’era quella grande ombra al di sopra della testa? Un ombrello?  Una capanna? No, a guardarci bene era parte integrante del “mostro” e sembrava proprio… sì era proprio uno scudo marroncino con venature più scure in qualche parte. Ma a cosa mai gli serviva uno scudo? Da chi mai si doveva difendere quel mostro? Sembrava che avesse una vera e propria corazza. Fu in quel momento che decise che poteva fidarsi, in fondo se era stato fermo per tutto quel tempo non poteva avere intenzioni cattive. Provò ad avvicinarsi un pochino. Ma… anche il mostro le si avvicinò. Si bloccò. Si bloccò anche il mostro. A un certo punto decise di guardare in alto. Il mostro fece la stessa cosa. Guardò di lato e il mostro la imitò. Mosse la mano destra e il mostro mosse la zampa unghiata di fronte a lei quasi in segno di saluto. La Tartaruga Carolina provò a fare degli altri segnali e tutte le volte le sembrò che il mostro la imitasse.

Quasi  quasi le era simpatico. Mentre stava facendo questa nuova meravigliosa esperienza di conoscenza-apprendimento e di insegnamento sentì arrivare l’automobile del Papà della famiglia Benestanti  con la sua Bimba di ritorno dal parco giochi. Come sempre sentiva Bimba ripetere le innumerevoli domande del tipo “Papà perché ci sono tante nuvole a volte nel cielo?” Papà perché tu devi andare sempre a lavorare?” “Papà è vero che c’è un posto bellissimo con tanti alberi, tanto verde dove dormono i Dadi che sono diventati angioletti?” E Papà con tutta la sua meravigliosa pazienza rispondeva ad ogni domanda, tranne qualche volta che diceva  quasi in torno di scherzo “ Ma non riusciresti a smettere di far domande per almeno cinque minuti?” Ma la voglia di comunicare di Bimba era inesauribile e soprattutto era forte la voglia di essere ascoltata.

Bimba entrò nel cancello del giardino e come sempre si sedette accanto alla sua fantastica tartaruga  che cominciò ad andarle incontro. Mentre la salutava si accorse del pezzo di specchio e pensando che potesse essere un pericolo per la Tartaruga Carolina e per il suo fratellino più piccolo Bimbo lo raccolse e lo mise in tasca. Il caso volle però che lo specchio lacerando la stoffa della tasca dei pantaloni cadesse di nuovo a terra proprio tra la  Tartaruga Carolina e Bimba. Bimba si accorse dell’interesse suscitato dallo specchio nella Tartaruga Carolina e lasciò che gli si avvicinasse.

Per vedere e comprendere meglio quello che stava succedendo ai suoi piedi, Bimba si stese  a terra accanto alla Tartaruga Carolina e di fronte al frammento di specchio così da  poter vedere le reazioni della sua simpatica amichetta.

Fu allora che alla Tartaruga Carolina si evidenziò la realtà come mai prima l’aveva percepita. Accanto al mostro c’era Bimba coi suoi occhioni nocciola, il nasino all’insù e il caschetto nero, non c’era nessun altro essere umano. Ciò significava che  quell’essere rugoso, con gli occhi appuntiti e la corazza, quell’essere terribilmente brutto e solo un po’ simpatico era lei. La Tartaruga Carolina si rese conto di tutto questo in un tempo rapissimo, così rapido da non darle neanche il tempo di respirare e di  metabolizzare questa rivelazione così forte. In quel frammento di tempo, rapidissimamente la Tartaruga Carolina si accorse di non essere quella che aveva sempre creduto (un umano sicuramente un po’ più piccolo ma con braccia gambe & c.), non apparteneva alla specie della famiglia Benestanti.

 

Se fosse stata un umano le “sarebbero cadute le braccia” ma essendo una tartaruga avvertì lontanamente la sensazione che le si “fosse afflosciato il guscio”. Rimase un po’ lì assieme a Bimba che aveva ripreso a parlarle per un po’ e che adesso stava entrando in casa a lavarsi le mani col suo adorato Papà.

Tartaruga Carolina si sentiva molto confusa e l’unica cosa che riuscì  a focalizzare era che doveva andar via. Subito, immediatamente, doveva cercare altrove qualcosa che le chiarisse le idee. Così cominciò a scavare, non sapeva in quale direzione, l’importante era fare, e fare in fretta, molto in fretta prima che tornasse Bimbo e Mamma, prima che le portassero le bucce di mela e di insalata, prima che la coprissero con la copertina, PRIMA CHE CAMBIASSE IDEA. Così scavò, scavò tanto, a lungo, cancellando le tracce perché non la seguissero. Proseguì a lungo al buio, affannosamente, velocemente

(chi l’ha detto che le tartarughe sono lente? Si vede che quelle che avete visto voi non avevano fretta e non stavano fuggendo..).

Così a un certo punto si fermò esausta, solo un attimo per decidere di “risalire in superficie. Scavò ancora un po’ e si ritrovò in posto che non aveva mai visto (certo non era mai scappata dalla sua famiglia, dalla sua casetta e dalla sua immagine). C’era del terreno molto morbido, una luce soffusa, doveva essere l’alba, anzi, un’Aurora fantastica, scintillante di tutte le variazioni dell’arancio e del giallo con qualche riflesso verde acqua stava dando il miglior spettacolo di sé. Nell’aria sentiva profumi di essenze che non aveva mai sentito prima  e d’improvviso capì che si poteva fermare. Ora si poteva fermare per capire cos’era successo. Dopo quei momenti terribili in cui continuava a sentire che qualcosa di molto importante circa le convinzioni di tutta la sua vita stava andando in frantumi, dopo essere stata assorbita unicamente dalla dimensione di se stessa disperata e dolorante si guardò intorno.

Non seppe né come, né perché ma capì che era lì per lei.

Era un grande albero, enorme, non capiva se era una quercia o un ulivo (le tartarughe, è risaputo, sono gli animali che si intendono meno di botanica). Si avvicinò cautamente all’albero e sentì che emanava un calore particolare, piacevole e confortante. Si rese conto solo allora che scavando al buio, ma forse nel momento stesso in cui aveva percepito chi era , aveva patito moltissimo freddo. Si avvicinò ancora e guardando meglio, notò foglioline verde chiaro tenere tenere e per la prima volta non desiderò assolutamente “riempirsi lo stomaco”.

Iniziava a tranquillizzarsi.

Fu quando scrutò meglio l’enorme e maestoso albero, con le sue radici ben piantate nel terreno che sentì una voce fresca e  accogliente che disse BUONGIORNO!

BUONGIORNO????? A me?, ma lo sai che oggi è una bruttissima giornata per me? Lo sai che mi sento crollare il mondo addosso perché ho scoperto che gli unici esseri che rappresentavano il mio mondo  sono di un’altra specie?? Ma lo sai che sono andata via da dove ho vissuto la mia vita e non so più chi sono, dove andare e cosa farò da ora in poi? E tu, tu con le tue radici ben piantate e le tue foglioline verdi hai il coraggio di dire a me “BUONGIORNO?

Fu un getto di parole urlate col pensiero e fu come sprigionare tutta la rabbia, l’angoscia e la paura in un solo istante. Con tutta quella violenza emotiva la Tartaruga Carolina avrebbe potuto incenerire l’albero.

Ma l’albero era lì da secoli, era lì proprio per assorbire la rabbia, la paura, l’angoscia anche se così violente e disse: “ Ora sei qui però, non senti i tuoi problemi più lontani e la serenità che ti invade?” La Tartaruga Carolina in effetti si sentiva decisamente meglio rispetto ai truci momenti passati, forse solo per il fatto di essere lì, ma non gliela voleva dare vinta, all’albero, e poi chi era mai quell’albero? Era un ESTRANEO.

Perciò disse: ”No, non  mi sento meglio, anzi sto male, malissimo, mi sento orribile e strana, mi sento quasi di un altro pianeta e poi…questa odiosa corazza…..” E l’albero disse: ”L’hai sempre avuta quella corazza, sei nata così, forse all’inizio era solo più leggera e più piccola ma c’è sempre stata”. Allora Carolina disse: ”Già forse hai ragione ma io l’ho vista solo oggi e..…” non riuscì a finire la frase perché cominciò a piangere di un pianto forte, lungo, liberatorio, fino a creare dei rivoli di lacrime che rigarono tutto il suo guscio.

Mentre piangeva sentiva che qualcosa cambiava, anche se non riusciva a comprendere cosa. Guardò in alto e vide che l’Albero con un rametto le porgeva una chiavetta dorata e con un altro rametto uno specchietto.

La Tartaruga Carolina indietreggiò e disse  spaventata : “No, non voglio riflettermi nello specchio, ho già sofferto tanto, no, vattene tu il tuo specchio  e la tua chiavetta. Chiavetta? Ma a che cosa serve la chiavetta?

“Guarda, le tue lacrime hanno schiarito il guscio fino a mostrare una sagoma disegnata, vicino al cuore, appoggia lì  la chiavetta, questa è la tua, ognuno di noi ne possiede una ma non tutti hanno la fortuna di trovarla e avvicinarla al cuore.”

Quelle parole la agitarono un pochino ma si fidava già dell’Albero, si fidava dal primo momento che l’aveva visto con le sue foglioline verdi e le sue radici ben piantate nel terreno.

Fissò bene lo specchio su di un grande sasso alla sua altezza in modo che si potesse guardare bene, trovò la sagoma della chiavetta sul guscio schiarito dalle lacrime e ve la appoggiò.

Non dovette aspettare molto per vedere il guscio che in qualche modo diventava trasparente, anzi, quasi svaniva mentre all’interno si vedeva un qualcosa di pulsante e variopinto, scintillante e luminoso, attraente e fantastico. Era meraviglioso, se al suo interno aveva quel…quella “cosa” così meravigliosa e sfavillante cosa mai le poteva importare del resto? Si sentì in pace. Guardò l’Albero e disse :”Posso tenerla la chiave?” l’Albero rispose.” Certo, quella chiave è sempre stata tua, io dovevo solo mostrartela al momento giusto, ora puoi fare ciò che vuoi.”

Che strano, dopo tante fatiche la Tartaruga Carolina non aveva neanche fame, lei che si rimpinzava di tutte le foglie d’insalata biologica e le bucce di mele più succose forse per non sentire quel buco allo stomaco generato dal vuoto di non conoscersi, o di essere diventati qualcuno in cui non ci si riconosce……..

Prese la chiavetta, lasciò lì lo specchio tanto non avrebbe mai più dimenticato cosa ci aveva visto dentro. Era un’altra, felice e serena sapeva che ora sapeva chi era e di lì si poteva cominciare a fare miliardi di cose.

Si sentiva in forma, smagliante, raggiante e quasi affascinante.

Nel momento in cui “sentì” tutto questo desiderò ardentemente di tornare al suo mondo, anche se fatto di un’altra specie anche se , anche se profondamente lontano. Forse la stavano aspettando, Bimbo e Bimba la adoravano, come avrebbero potuto fare senza di lei? Forse la stavano già cercando. Chiuse gli occhi e sospirò lentamente.

Quando li riaprì si ritrovò nel giardino dove era sempre stata. Era una splendida giornata di sole e Bimba stava chiedendo: ”Papà perché tutti vanno a casa loro dopo che vengono a farci visita?” e Bimbo sillabava ”Tan-Tan  Pam-pam” . SI SENTI’ A CASA SUA. Ma era mai andata via? E gli altri si erano accorti che si era assentata per interminabili istanti? Che era stata così terribilmente triste e così smodatamente felice? Chissà…….

Una cosa era certa, si sentiva in  armonia con l’Universo e questa era la sensazione più bella che avesse mai provato.

                                                                                                                                          Mariella Bucci

 

 

 

 

 

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