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La nevicata del 2012 non mi ha fermata

E’ ormai divenuto parte del linguaggio gergale, alla domanda “come va?” si risponde sempre “Eh, di corsa”.

Corriamo sempre, corriamo tutti, dalla mattina alla sera la giornata è scandita da tutta una serie d’impegni, alcuni essenziali altri meno, ma ormai non si distingue più la differenza, il lavoro, la pausa pranzo, la palestra, l’aperitivo, la spesa, la raccolta punti, hobby più o meno amati, impegni più o meno mondani.

Se poi si hanno figli, si corre altrettanto con la sola differenza che lo si fa con un piccolo al collo o che ci zampetta dietro, si va al corso di acquaticità, poi si scarrozzano i pargoli al nido, all’asilo, al corso d’inglese, a basket, a danza, non ci si ferma mai.

E poi? E poi un giorno d’inizio febbraio, comincia a nevicare e ne fa così tanta che ci costringe tutti a casa, le scuole chiudono, così gli uffici, i negozi, le palestre, e la gente a casa cosa fa? Pur di non stare soli con sé stessi o con le persone con le quali si è scelto di condividere la vita, si ricomincia di nuovo a correre, per fare foto al paesaggio innevato, da caricare su face book, per procurarsi scorte di cibo come se si fosse tagliati fuori dal mondo per anni, addirittura c’è chi si avventura con sci e snowboard pronto a riprendersi con telecamera e caricarla su youtube.

Io questa neve me la sono veramente goduta, mi sono chiusa in casa, ho riposato, mangiato, scritto, riordinato e fatto telefonate a vuoto, così solo per parlare come non capitava più, dai tempi delle scuole medie, contemplato lo stupore genuino dei bambini nei confronti della neve, riflettuto sul fatto che anche nel 2012, di fronte alla natura siamo impotenti, al tempo non importano i nostri impegni e scadenze.

Anche la televisione sembra occuparsi solo della neve, a parte i disagi più o meno gravi che comporta, il notiziario sembra non prendere più in considerazione guerre, questioni di politica interna ed estera, crisi, questi temi torneranno a farla da padrona i prossimi giorni , ma per ora sembrano dimenticati.

Tutto questo il primo giorno, il secondo mi sono svegliata presto, ho consultato l’agenda rossa che segnalava ore 10 parrucchiera, l’appuntamento di tutti i miei sabati, poi aperto un sito di notizie on line e letto un comunicato della polizia civile che invitava a mettersi in viaggio solo per necessità mediche o bisogni legati al soddisfacimento dei servizi essenziali. Bè… più servizio essenziale della parrucchiera, non ho mai saltato l’appuntamento da 15 anni a questa parte, mai affrontato un’esame, un colloquio, il primo giorno di qualsiasi cosa senza i capelli in ordine.

Scoraggiata sono andata sul terrazzo e in pigiama di pile scenario apocalittico, tutto bianco, tutto ricoperto di neve ho urlato: “Non mi fermerai neve, io andrò a farmi i capelli, non mi hanno ostacolata interventi chirurgici improvvisi, né nascite dei miei figli, né scadenze improrogabili”.

E’ noto, io quando passerò all’altro mondo, quando arriverà la famosa chiamata ultraterrena, avrò i capelli perfettamente in ordine, come sempre.

I capelli sono la croce e delizia della mia vita, al naturale non sono né ricci né lisci, indomabili, lo specchio reale della mia interiorità: sono buona ma non buonista, una pacifica monella, boccolona nella tenera età, acconciata mio malgrado alla “maschietta” negli anni delle elementari, con improbabili permanenti nell’adolescenza, con una totale dipendenza dalle sedute settimanali dalla parrucchiera dai 20 anni in poi.

Io con i capelli in disordine mi sento tutta in subbuglio, nervosa, con la piega fresca posso affrontare qualsiasi sfida, cambio acconciatura solo di rado, in occasione di svolte epocali di vita, cambiato look mi sembra di avere il coraggio necessario per cambiare.

Sono così concentrata a escogitare possibili piani di fuga che quasi non mi accorgo dell’automobile che con incredibile coraggio sta provando a percorrere la salita che porta al mio condominio, certo ho i capelli in disordine ma sbattendo velocemente le ciglia posso ancora fare appello a un certo fascino, urlo dalla finestra “Senta buon uomo è venuto a liberarci?”.

Il conducente dell’auto mi informa di essere un gendarme avventuratosi sino qui perché chiamato da una giovane donna in procinto di partorire, che lo ha chiamato chiedendogli aiuto.

Si, dev essere l’inquilina del pino di sopra, come si chiama già?

La provvidenza va colta, non c’è nulla da aggiungere mi vesto velocemente e in men che non si dica sono sull’auto della gendarmeria, seduta tra una stupitissima partoriente e suo marito.

Alla giovane mammina ho spiegato con voce melliflua che in questi momenti è molto importante avere una donna vicina, magari una che c’è già passata, sai la solidarietà femminile, così ora sono qua che le stringo la mano.

Per arrivare all’ospedale non c’è che una strada e per forza di cose bisogna passare davanti al salone della mia parrucchiera, bene, quando sarò vicina mi scaraventerò giù dall’auto, che tanto c’è la neve e non c’è pericolo di farsi male, poi nei giorni a seguire darò convincenti spiegazioni per giustificare il mio gesto, che tanto io con i capelli a posto riesco a fare qualsiasi cosa.

Chiara Macina

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