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Via dei cedri numero 3

Quando disegna tocca il labbro superiore con la lingua per cercare la concentrazione, odia i coltelli, delle persone non dice l’età ma l’anno di nascita, è un 1976, è un 1969, il tono della sua voce è molto basso sembra sempre che sussurri, per ottenere ciò che vuole non alza mai la voce ma arriva sempre dove desidera: è mio marito.

Ogni volta che qualcuno mi domanda che tipo sia mi viene in mente lo stesso episodio, è un sabato mattina di novembre, siamo al parco con nostro figlio, lo guardiamo estasiati mentre fa lo scivolo, è buffo come le azioni più banali messe in pratica da chi amiamo diventino prodigiose, a un tratto mi accorgo di aver dimenticato la mia cintura nel camerino del negozio dove poco prima ho provato un’abito, lui si offre di andare a recuperarla senza che ci spostiamo tutti. Tarda un po’ a ritornare e mi racconta di aver incontrato un Missionario all’ingresso del Centro commerciale, stava raccogliendo offerte per un progetto umanitario, mio marito andava di fretta, ma ha ascoltato tutto ciò che aveva da dire, e gli ha spiegato di essersi già impegnato in due adozioni a distanza e di non poter fare di più al momento, l’uomo lo ha ringraziato con calore per il tempo che gli ha concesso. Questo è mio marito: una persona buona, gentile, affidabile, che ascolta sempre gli altri ma senza farsi condizionare, lui sceglie sempre la cosa più giusta, per sé e per la sua famiglia.

Chi sarei io senza mio marito? A volte me lo domando, mi capita quando torno a casa la sera e vedo in lontananza la nostra finestra illuminata, le tendine che ho scelto, i giochi dei bambini disseminati per tutto il giardino.

Forse sarei ancora la persona esibizionista e totalmente concentrata su se stessa che ho dimostrato di essere al nostro primo incontro, che si è svolto ai lati opposti di una cattedra, è il 1991, abbiamo cominciato il Liceo da pochi giorni, non ci siamo ancora accorti l’uno dell’altra anche se siamo nella stessa classe, un insegnante ci interroga insieme sul primo capitolo dei Promessi sposi, il giorno prima ho studiato molto, ci tengo a partire con il piede giusto, rispondo a tutte le domande, le mie e le sue, non gli faccio aprire bocca, rimedia un votaccio, io una votazione altissima, mi destina uno sguardo obliquo, tra il beffardo, l’ammirato e l’ammutolito, lo stesso che mi riserva ancora oggi quando voglio fare la prima donne e non lo lascio parlare.

Lui è un matematico io una sognatrice, lui è razionale io svagata, lui è concreto io inconcludente, lui è affidabile io non faccio nemmeno in tempo a fare una promessa che ho già cambiato idea, nei giorni di sole questo crea un’alchimia perfetta, lui cura gli aspetti logistici della nostra quotidianità, io diverto tutti con le mie storie, nei giorni bui io me ne sto immobile sul divano fissando un punto indefinito del soffitto, completamente persa nei miei pensieri, lui si aggira per casa brontolando con l’estratto conto della mia carta di credito in mano.

Lui è la mia roccia, l’ancora che mi radica alla realtà quando mi lascio trasportare dai miei facili entusiasmi ed eccessi di disfattismo.

Quattordici anni: da tanto dura il mio matrimonio, i giorni più belli sono quelli in cui sono nati i nostri figli, la vera cartina al tornasole dell’evoluzione del nostro rapporto.

Ho partorito la prima, come una gatta selvatica, scansando con una mano l’ostetrica e allontanando con l’altra lui, ripetendo “io faccio da sola”, riponendo fiducia solo nel mio corpo che mi suggeriva di assecondare il dolore. Quando è nato il secondo io e lui siamo stati l’uno di fronte all’altro per un intero pomeriggio, io su una sedia, lui sul letto, io con la testa sul suo grembo, abbandonata, fiduciosa, remissiva e dolorante.

Fiducia che cresce negli anni si alimenta con gli imprevisti, i successi e le cadute, tutto ciò che compone il nostro quotidiano, in uno scambio che mi ha portato ad appartenergli senza remora.

I latini dicevano “in medias res” la felicità sta nel mezzo, nelle piccole cose, non nella mediocrità ma nella serenità, nella dolcezza dell’incontro, con gli anni ho capito la differenza tra innamoramento e amore, tra quell’esaltante accellerazione cardiaca che fa vivere in un vortice di emozioni e quel senso di serenità, nutrimento e gioia che proviene da un tipo di amore adulto, equilibrato, maturo,

Dante amava Beatrice perché le attribuiva natura divina, io amo mio marito perché è sempre pronto ad ascoltarmi con attenzione, al ristorante mi lascia sempre terminare il suo dolce, non si è mai spaventato per la mia irrazionalità ne è mai stato tentato di prenderne le distanze, mi lascia andare in bagno per prima al mattino, mi ha veramente guardata per quello che sono, mi lascia sempre scegliere il cd quando siamo in auto insieme, mi ripete che sono una pazza di cui ci si può fidare e io so cosa intende dire, al cinema la scelta del film è sempre la mia, di tutti i suoi progetti sono l’ingrediente principale, mi telefona solo per sapere come sto, non dimentica mai di baciarmi, mi sveglia al mattino con il caffè, ama senza riserve i miei figli, mi sbuccia la frutta, quando provo un’abito nuovo mi dice che sono bellissima ancor prima di aver alzato gli occhi e per lui lo sono, quando mi aspetta da qualche parte e mi vede arrivare comincia a sorridere tre metri prima.

Chiara Macina

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