mercoledì , Aprile 24 2024

Raccontami una storia: “Dentro di me soltanto il mare”

“Dentro  di me soltanto il mare”

Simona Lucia Iovine

Nell’eterna lotta contro gli ostacoli insormontabili della vita, ho sempre creduto fortemente che io fossi sola. Sola contro l’oscurità delle tenebre nel mio cuore e nella mia anima. Sola contro le avversità. Sola contro tutte le persone che hanno voluto far di me ciò che vogliono.

Spesso mi piace fermarmi in riva al mare, ascoltare il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli e che disegnano delicati lineamenti ondulati sulla sabbia, baciata dalle acque. Si uniscono e si allontanano. La sabbia sa bene che presto il mare la bacerà nuovamente. Non importa quanto tempo passi, sa solo che avverrà e attende impaziente quel bellissimo momento magico.

Mi immergo e interrompo quella magia con il mio grido silenzioso di aiuto. Dentro di me so bene che quel gelido mare mi accoglierà tra le sue braccia come una figlia. Mi custodirà nel suo eterno segreto. Nessuno oserà infrangere quel momento. Nessuno correrà a rompere il fragoroso silenzio delle onde che mi avvolgono e che mi proteggono. Come potrei desiderare di meglio?

Il caldo abbraccio delle acque gelide, mi trascina e trasporta. E penso e ripenso alla mia vita. Avrei potuto desiderare di meglio? Sono immersa e mi lascio invadere dal tenero abbraccio violento delle onde salate che mi pervade. Chiudo gli occhi e il sole mi bacia, scaldandomi il volto sempre più intensamente. Resterei qui per ore, se solo non avessimo dei limiti dettati dalla natura umana. Vorrei far parte del disegno naturale per sempre. Vorrei essere figlia di quel mare che bacia la sua amata sabbia, in attesa del suo ritorno. Un amore che solo in pochi capirebbero. Invece, sono costretta a tornare alla realtà. Senza voltarmi indietro e in attesa di rivivere quel momento magico.

L’impatto con la realtà è sempre più duro di quello che sembra. Dopo un’immersione totale nel mondo naturale, ci si immerge in quello artificiale, fatto di vuoti incolmabili. Il sentimento più puro che mi pervade è l’angoscia nel dover affrontare il grido silenzioso di aiuto che cerca di fuoriuscire dal mio petto. Ho bisogno di controllarlo e di trovare la forza per andare avanti, senza che nessuno mi scopra. Invece, il mare, lui non mi ha mai giudicata. Ascolta in silenzio e mi comprende, senza fare alcuna domanda. Mi scalda più di una coperta e di un camino acceso, in pieno inverno. Mi rilassa più di una seduta interminabile di yoga. Mi accudisce più di una madre che cresce i suoi bambini con il suo amore.

Abbandono quel tanto amato e caro mare e mi addentro nella giungla umana. Un mondo spietato che avrebbe dovuto accogliermi nel migliore dei modi. Invece, mi ha generato tanta sofferenza. Indosso il mio miglior sorriso, quello che accontenta tutti. Nessuno si chiederà mai se dietro quel sorriso ci sia tanta sofferenza, perché si accontentano che io non pianga, non urli, non mi lamenti. A tutti basta quel sorriso rassicurante per credere che io sia la persona più felice del mondo. Non si domanderanno mai se ci sia tanta sofferenza celata e mascherata. Basta guardarmi con gli occhi della mente e non del cuore, per sentirsi appagati.

Ritorno alla realtà che mi pervade e mi rende vuota. Ripercorro i passi della mia mente, rivivendo i momenti bui che mi hanno resa forte. Una corazza di acciaio mi avvolge e fa scivolare su di me la pioggia acida della mia sofferenza. Scivola via, lasciando solchi arrugginiti che segnano la mia continua lotta nella giungla umana, raggiungendo il mio cuore indebolito dai continui colpi. Quelli stessi colpi inflitti da persone a me care. Come si può amare qualcuno e farle del male?

Non capirò mai come si possa voler bene, infliggendo un dolore indelebile. Eppure, ogni volta, resterò sempre sorpresa e delusa dall’amara follia umana. Mi sono fidata di quell’amore disfunzionale e frustrato. Di quella persona che diceva di proteggermi. Sono cresciuta con l’idea di essere amata, mentre la mia mente manipolava subdolamente. Mi sono fidata delle promesse dette, senza lasciare che fossero parole vuote.

Mi sono lasciata andare, confidando debolezze e problemi. Divenendo vulnerabile e fragile nelle sue mani. Credendo ancora che la natura umana possa trasformarsi da maligna a benigna. Ho atteso questo mutamento improvviso e tanto promesso, invano. Restavano soltanto speranze vuote, in sei anni di relegata agonia.

Avrei dovuto vivere i miei sogni e le mie ambizioni, liberamente. Eppure le catene sul mio cuore mi hanno ancorata al suolo, ben salda, offuscando la mia visione della realtà. Vivendo l’idea fallata dell’amore. Un amore diverso da quello comune. Un amore doloroso. Diverso da quello vissuto da altre persone.

La spensieratezza di questi anni è stata offuscata e ora, vago ancora in questa giungla umana, senza sapere a chi credere. Un mare di persone mi travolge. Quale di queste sarà realmente sincera e pura? In quanti mi faranno ancora del male? Perché arrivare a tanto?

Per anni ho creduto di essere fortunata. Invece ero bloccata in un amore malato che mi costringeva a cambiare, abbassando la testa. Credevo di essere un nulla senza di lui. Credevo di vivere solo grazie a lui. Dure lotte affrontate per divenire indipendente, senza rendermi conto che avevo un guinzaglio invisibile.

La vergogna e il senso di colpa mi assalivano. Sono stata io a permettere tutto questo. Sono stata io ad aver sbagliato. Nessuno avrebbe potuto capire. Sarei rimasta sola in una giungla umana, senza nulla. Senza più sogni e ambizioni. Senza una persona alla quale aggrapparmi. E allora dormivo. Chiudevo gli occhi e non pensavo. Solo così il tempo sarebbe volato. Giorno dopo giorno.

Sempre così. Mi alzavo. Indossavo il mio miglior sorriso. Nascondevo il dolore delle critiche, delle umiliazioni, delle violenze verbali subite dall’uomo che avrebbe dovuto essere il mio mondo. Andavo a lavoro sorridendo e tornavo a casa soltanto per chiudere gli occhi. Nella speranza di svegliarmi in un mondo migliore. In una realtà diversa.

Così, finché una svolta nella mia vita non è arrivata. Ho commesso errori imperdonabili. Non sarò mai in grado di perdonarmi, ma l’ho fatto. Mi sono lasciata andare alla passione. Ho tradito quell’uomo che amavo e che credevo mi amasse. Un segno, probabilmente divino, mi ha fatto aprire gli occhi. Mi sentivo viva. Sono stata presa in giro, ma per quel momento di passione, sono rinata. Ho capito tutto. Non stavo vivendo una vera storia d’amore. Mancava tutto.

Per quell’unico errore, ho vissuto il declino rovinoso che ha portato alla mia rinascita totale. Ho rotto l’equilibrio del controllo. Ho distrutto quelle catene che mi tenevano buona. E con esse ho rotto la sensazione della sua stabilità. Ho provocato un vero tsunami.

Non ero più soggiogata, ma cominciavo a rendermi conto di non aver realmente vissuto passione, sentimenti, serenità. Era soltanto un castello di sabbia cocente, costruito sui miei occhi. Non vedevo. O forse non volevo realmente vedere. Non capivo. O forse non volevo realmente capire.

Ho preso le distanze in attesa della decisione finale. Mi è venuta da dentro. Era il momento giusto. Ho lasciato la persona che per sei anni ho creduto di amare. Pensavo fosse finita lì. Sembrava semplice e lineare. Come le persone normali. Si amano, poi non si amano più e finisce. Perché per me deve essere tutto più complicato?

La quiete dopo la tempesta, si è rivelata soltanto il preludio per una tormenta. Era una quiete apparente e pietrificante. Il suo controllo proseguiva con la speranza che io tornassi buona, silenziosa e soggiogata. Così non è stato. Giorno dopo giorno sorprendevo il suo gioco, alzando muri e barriere. Senza rendermene conto stavo scatenando una reazione spietata, senza più ritorno. Per me era finita, ma evidentemente per lui no.

Ha commesso cose che ha giustificato con il mio gesto. Mi ha seguita. Mi ha privata della mia libertà in ogni sua forma. Eppure, la colpa era mia. Mi vergognavo per aver tradito. Ero la causa della sua reazione. Stavo provocando sofferenza e il senso di colpa mi travolgeva completamente. Come le onde di quel mare accogliente. Giungendo all’ultimo atto di una sceneggiatura amara. L’ultimo atto disperato di un uomo fuori controllo.

Vivevo ogni giorno come tutti gli altri e tremavo all’idea di dover tornare in quella casa, in attesa di un alloggio migliore. Ero grata a quell’uomo che mi stava concedendo la possibilità di non vivere per strada. Eppure, varcando quella porta, tremavo. Come sarà oggi? Quale sarà la reazione?

Il mio sesto senso da donna mi diceva che dovevo fuggire, ma non avevo mai la forza di farlo. Dovevo trovare il modo e il momento giusto. Finché quel giorno, di rientro con la mia cagnolina, lui aveva gli occhi color sangue. Pensavo fosse l’alcool, ma non lo era. Quegli occhi erano iniettati di cattiveria.

Ha provato ripetutamente ad immobilizzarmi sotto i colpi silenziosamente dolorosi della sua mani. Quegli occhi che tanto amavo, mi spaventavano. Restano indelebili nella mia mente. Quel sorriso cattivo mentre mi immobilizzava sul divano colpendomi il viso, non riuscirò mai a dimenticarlo. Come ho fatto a non notare quegli occhi così vuoti prima?

Rideva e rideva, colpo dopo colpo, mentre la mia piccola cucciola lo allontanava. Non erano colpi forti. Erano colpi di terrore. Ogni volta che la sua mano dura sfiorava il mio volta, fermandosi sulla mia guancia, temevo che il prossimo sarebbe stato più violento. Così, fino a massacrarmi.

Non ero in grado di muovermi, di urlare. Volevo solo che finisse.

Non ho aspettato oltre. Sono rimasta sul divano a tremare fino al giorno seguente. Ho chiesto aiuto alla mia famiglia – ignara di tutto. Sono fuggita, senza voltarmi indietro, con il timore che la volta successiva non si sarebbe “limitato” al “semplice” terrorizzarmi.

È stata dolorosa la partenza e il ritornare a vivere in famiglia, dopo anni di finta indipendenza, ma ho ripreso in mano la mia vita. Quella paura che mi costringeva ad abbassare la testa, ora è motivo di orgoglio.

Ho affrontato la sfida più grande della mia vita. Mi sono liberata dalle catene dolorose del controllo psicologico, dopo anni e anni di tormento.

La paura di sentirmi vuota era soltanto vana. Ora, al contrario, so che valgo.

Quando perdo la concentrazione, ripenso alla mia forza di volontà. Ho superato la sfida più dura della mia vita, perché dovrei essere una nullità? Io sono forte e coraggiosa. Sono stata in grado di salvarmi e non avrò più paura. Anzi, a temermi dovrà essere lui perché nessuno vale più della tua stessa vita.

 

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