domenica , Dicembre 8 2024

Raccontami una storia: “Bambina mia”

Bambina mia

di Martina Chieppa

Bambina mia,
ti racconterò di una vita strana- la mia- vissuta con la paura addosso, cucita nel cuore, nella speranza di farti crescere senza quel terrore nel petto che mi ha sempre accompagnato.
Vivere è difficile, lo dicono in tanti, i motivi per cui ciò viene detto, però, sono così svariati che non ti saprei elencare una causa precisa di questa nostra incapacità di viverla appieno, senza remori. Nel mio caso, sarò sincera, la vita mi è risultata difficile quando ho aperto il mio cuore al mondo: non ti aspettare, mai, che facendolo tu non ne possa uscire distrutta.

Fallo, perché è la scelta migliore che tu possa intraprendere in questo lento susseguirsi di giorni ed eventi che è l’esistenza ma fallo consapevolmente. Io non l’ho fatto, e mi son bruciata, ferita, impaurita.
Aprirsi al mondo ti rende fragile e quando quella fragilità viene attaccata da chi aveva giurato di proteggerla…a quel punto, solo a quel punto, diventi sterile. È come aprire un uovo, svuotarlo, e lasciare solo il guscio: internamente resteranno rimasugli di ciò che era nella sua interezza, ma non è un uovo intero- così mi son sentita io per gran parte della mia vita.
Ero completa finché non venivo rotta e, la cosa più assurda, è che ogni volta sceglievo io di farmi rompere.
C’è stato un periodo difficile, uno di quelli a cui pensi anche a distanza di anni, anche ora che ho te- mio cuore adorato- che mi ha lasciato così tanto svuotata che, in certi momenti, se ci penso attentamente e mi lascio trasportare dai ricordi sento ancora quel dolore nel petto: è come ricevere una stilettata nel cuore e sentir rigirare la lama dentro di te, quotidianamente, per un periodo indefinito. Un periodo che non sai quando finirà perché non sai quando quella ferita sarà curata e rimarginata.

Non si può spiegare al cuore come vivere quando passa dall’essere stracolmo di vita al non averne neanche più un rivolo dentro di sé: avevo tutto per essere felice- penso di non essermi più vista con gli occhi così traboccanti di gioia, almeno non finché non ti ho stretto a me- e poi, senza una ratio che mi aiutasse a capire come fosse possibile, non avevo più nulla. Il problema, tesoro mio, non è mai il distaccarsi dalla felicità; il problema è sempre non comprendere come si è arrivati a perderla, in quale punto la vita si sia spenta e sia subentrata la morte di tutto ciò che ci rendeva vivi.
È iniziato tutto nel giugno del 2019, anche prima se devo essere sincera, quando tuo bisnonno era malato. Molto malato amore mio, la vecchiaia- devi saperlo- non sempre è clemente con i nostri cari; era in ospedale da mesi, io vivevo in un’altra città ma posso giurarti che non c’è stata neanche una volta in cui io, tornando a Torino, non andassi da lui a trovarlo. Passavamo ore insieme, eravamo la coppia più improbabile dell’ospedale: una giovane ragazza di un metro e ottanta a sorreggere quelle quattro ossa che era diventato tuo bisnonno.

Era un uomo possente, quel genere di uomo che ti aspetteresti di vedere in un film anni ’50: alto, mascella volitiva, bel portamento- assolutamente ancor più bello dentro, nell’animo. Eppure, come ti dicevo, la vita spesso non è clemente con chi amiamo; aveva pagato il prezzo di questa sua bellezza con una salute cagionevole e un susseguirsi di sfortunati eventi ospedalieri; fino a quell’anno: il 2019.
Andavo da lui per farmi infondere vita- per quanto provassi a infondergliene a un certo punto il nostro spirito la rigetta- quindi andavo lui e mi riempivo gli occhi di lui, delle sue parole e di tutto ciò che avrebbe potuto lasciarmi di sé per continuare a vivere anche dopo che se ne fosse andato. Ero consapevole che sarebbe successo presto, stiamo parlando di un intero anno di preparazione alla sua morte, ma ogni volta che lo salutavo mi auguravo che non fosse mai l’ultima. Un episodio, in particolare, mi aveva fatto sperare nel miracolo: eravamo a letto io e lui, mi stava raccontando della Germania e io ascoltavo; poi un attacco respiratorio, uno di quelli che ti fanno tremare le vene e la bocca resta incastrata nell’ultima parola che stai pronunciando perché non riesci più a incanalare ossigeno per respirare, uno brutto così. Io lì, bloccata, di fianco a lui a regolargli l’ossigeno mentre mi sgorgavano, silenziose e incessanti, le lacrime. Ero convinta che l’avrei perso in quel momento, invece no, tempo due minuti ed era tornato roseo in viso e stava nuovamente discorrendo con me della sua vita; fintanto che non si è accorto dei miei occhi, impietriti e tristi, rossi per il pianto- un pianto che mi ha accompagnato spesso, molto spesso, da quell’episodio- e si è fermato per dirmi:
“sappi che, se potessi, io resterei con te per sempre; che non ti lascerei mai bambolotta, sono così fiero di te. Cerca di volerti bene, io ti voglio tanto bene”; ecco, in quell’esatto momento ho sperato che la vita non potesse essere così tanto ingiusta da privarmi di un tesoro così grande. L’ho sperato ogni giorno, ogniqualvolta andassi da lui, fino al 30 maggio 2019.
Quel giorno ero andata a trovarlo per salutarlo prima della partenza, era l’ultima volta che lo vedevo prima di tornare a Trento- dove studiavo all’Università- per dare gli esami di giugno. Sono arrivata verso ora di pranzo, gli ho dato da mangiare- scherzavamo sempre sul fatto che non avesse più appetito perché voleva mantenersi in forma per quando sarebbe uscito da lì dentro, perché voleva conquistare le signore del reparto (anche se, a onor del vero, non l’ho mai visto guardare un’altra donna che non fosse la tua bisnonna)- dicevo, gli ho rimboccato le coperte e l’ho abbracciato, l’ho stretto a me fortissimo “nonno mi raccomando, non farmi avere sorprese: torno tra una decina di giorni, tempo di dare gli esami e sono di nuovo qui”.

Le sorprese però, amore mio, arrivano; e sono tali proprio per l’effetto destabilizzante che lasciano dentro di te, quelle belle ti fanno tremare di gioia e ridere a crepapelle, quelle brutte…riescono a
essere talmente inaspettate nella loro atrocità che non ti lasciano nulla, solo aridità nel petto. Così è arrivata la mia brutta sorpresa il mattino del 7 giugno 2019 alle 10 circa del mattino.
Mi aveva chiamato mia sorella- tua zia- alle 7:36, lo ricordo come se fosse ieri, ma non le avevo risposto perché ero ancora a letto reduce da una serata di birra, risate e festeggiamenti per l’ultimo
esame- avevo preso 27- mi ero svegliata tardi, ero andata in bagno e l’avevo richiamata; nulla avrebbe potuto darmi avviso di quello che mi stava per dire nell’interfono: “…Marti…è mancato
nonno”.
Il telefono gettato a terra, io che mi trascino fuori dal bagno dove crollo appoggiata alla parete, le mie amiche che corrono a vedere perché io stia urlando, piangendo, battendo le mani a terra. Il
vuoto dentro di me aveva assunto il rumore delle urla dei pazzi; non mi sono mai sentita così tanto impotente nei confronti di me stessa- almeno non fino a quel momento. I giorni trascorsi a Trento fino all’11 giugno, il giorno del funerale- sono andata e tornata in giornata solo per quello- sono passati via nella stessa maniera in cui scorre l’acqua, sporca, all’interno di una grondaia: facendo ribrezzo.

Il giorno del funerale non è stato consolatorio né degno della fine di una vita; il funerale in sé non è nulla di più se non un momento in cui ti ritrovi a parlare di chi ti ha lasciato con persone che
vengono al capezzale solo perché è dovuto, perché è giusto così, non perché ci sia un’intenzionalità dei sensi, dell’emozioni nel parteciparvi. È solo un conglomerato di gente che confabula pensando di capire il dolore che ti si lega addosso, che ti prende a braccetto e con cui cammini- tu, lui e la morte dall’altro lato. Purtroppo, cuore mio, arriverà un giorno in cui anche tu camminerai con questi personaggi al tuo fianco; non averne paura, sappi che sarà normale sentirsi ostaggi tra le loro figure, impotenti, tristi- infinitamente tristi- è il loro compito, anzi compatiscile: non hanno che la tristezza da dare al mondo.

Io invece, dopo quel momento, ho avuto la fortuna di potermi sentire amata. C’era così tanto amore intorno a me, dentro di me, che non ho quasi più avuto il dispiacere di dover rendere conto ai miei sentimenti, ai miei buchi neri; è stato questo il mio problema: per mesi ho nascosto sotto un tappeto di amore la tristezza, il vuoto che avevo dentro; e quando quel tappeto è stato spazzato via da un tornado, in quel momento, mesi dopo, ho dovuto rendere conto di tutto. Con gli interessi.

Tesoro mio, innamorati, vivi, scopri ciò che possono darti di bello le persone- siamo tutti degli universi in fase di esplorazione, per noi stessi e gli altri- ma ricorda sempre: quello in cui ti
addentrerai è un mondo ignoto e spesso, nel tragitto, si possono perdere i compagni di viaggio, i complici di un’esperienza stupenda; non condannarti se non potrai salvarli tutti. Non è detto che
esista una cura per i dolori di un cuore che non è il tuo, non pensare che sia colpa tua…è solo la vita; e in quell’avanzare nella scoperta, non potrai sempre tener conto di tutti gli imprevisti- non si
può mai, anzi- e di quanto l’animo di ognuna delle persone che ti staranno vicino sia danneggiato.

Ama sapendolo. Io non l’ho fatto. Ho sempre amato forte, fino a sentirlo nelle ossa, convinta che non fosse possibile considerarlo amore se non provandolo così intensamente, ho amato così sempre; fin quando quell’amore è sparito- letteralmente- e non ne sono quasi morta di crepacuore.
Lui era la mia favola ma, cuore mio, come in ogni favola che si rispetti ci sono dei riscontri che ne possono far precipitare il corso degli eventi e così è stato: al mattino c’era e la sera stessa non c’era
più. Non ho mai compreso perché; spesso neanche delle spiegazioni possono davvero aiutarci a capire cosa si rompa dentro di noi e nei legami che costruiamo. Quello che posso dirti, amore mio, è
che, se mai dovesse succederti, ti farà male dappertutto: sarà come alzarti un mattino e riscoprirti cieca; sarà come avere degli elettrodi nel petto che ti lanciano scariche quando meno te lo aspetti,
fino a farti sussultare; sarà come girare nel mondo senza bussola, nel mezzo di una guerra- che è intorno a te, e soprattutto dentro di te. Sarà come vivere al di fuori di te stessa.

Dopo di lui il problema non è stato dire addio alla mia felicità, dopo di lui il dramma è stato dover riprendere in mano quel dolore che avevo sepolto per tanto tempo e farci i conti: capire che non
importa quanta vita accumuliamo nel mezzo, arriverà sempre un momento in cui quello che abbiamo lasciato da parte ci verrà a bussare sotto casa e noi dovremo aprirgli. Qualsiasi tipo di
dolore lo farà; non pensare, mia cara, che ci siano dolori meno importanti di altri, che i tuoi contino di più di quelli di coloro che ti sono vicino: il non conoscere non deve essere una giustificazione.

Così come non dovrebbe esserlo il passato; sì, perché in alcun modo quello che hai già vissuto dovrà privarti della possibilità di concederti un nuovo inizio- non possiamo vivere in ciò che
abbiamo avuto, non possiamo negarci al futuro. Per questo ti auguro, mio tesoro, di avere sempre il coraggio di aprire quella porta quando i mostri verranno a bussare, perché c’è di più: oltre la paura di quegli ospiti sconosciuti c’è ancora Vita ma non può entrare se l’uscio è occupato.

Quello che più spero per te, mio tesoro, è che tu possa farlo meglio di me, che tu non ti riscopra paralizzata dagli eventi, impaurita e titubante riguardo te stessa: vali, per il solo fatto di essere al
mondo e poter godere di quanto più meraviglioso esiste nella vita- che poi è la vita stessa- tu vali.
Vorrei averlo capito anche io in quel momento, invece mi son trascinata per un po’ come un corpo morto tra la gente; anzi, con un cuore morto e una mente pregiudizievole, che è molto peggio:
perché quando il cuore è arido e la mente è chiusa non ci sia apre più al mondo, non vivi- ti trascini, ti sposti in esso- ma sei solo materia in movimento. Ricordati perciò, bambina mia, di amarti
abbastanza ogni giorno della tua vita, soprattutto quando sarai da sola, affinché, anche nella solitudine, tu possa trovare la felicità e il coraggio che servono per vivere- che, a quanto dicono, è
difficile- e per farti vivere, quando avrai congedato i mostri.

La vita è difficile, i sentimenti ci rendono fragili e il passato busserà spesso a chiederti di saldare il debito ma tu, cuore mio, sii sempre fedele a te stessa: il dolore ha senso solo se scegliamo di affrontarlo per tornare a vivere. Il resto viene da sé.
Questo ti lascio, nella speranza che tu possa far meglio.
Con amore,
alla mia bambina

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