martedì , Marzo 19 2024

“L’invito”: un racconto di Giovanni Renella

L’invito

un racconto di Giovanni Renella

Ormai i due erano in viaggio da diversi giorni e, considerando l’andatura veloce con cui si muovevano, di strada dovevano averne percorsa un bel po’.

Non sapevano quanto distasse il luogo da raggiungere, ma pur camminando dall’alba al tramonto non avvertivano alcuna stanchezza: per nulla al mondo sarebbero arrivati in ritardo a quell’appuntamento!

L’invito, inatteso, era giunto in maniera insolita, recapitato da un fanciullo apparso all’improvviso mentre percorrevano la strada di ritorno verso casa.

Poche le parole pronunciate dal ragazzo, giusto per comunicare la data e il luogo, prima di allontanarsi e sparire dalla loro vista.

Il mattino seguente li vide già in cammino verso la meta indicata, anche se stentavano a capire il motivo di quella chiamata, accettata così, a scatola chiusa; oltretutto senza avere avuto nemmeno il tempo di chiedere il nome dell’ospite che aveva richiesto la loro presenza.

Lungo il tragitto ebbero modo di constatare che il padrone di casa doveva aver esteso l’invito a un gran numero di persone, poiché tanti erano gli uomini, le donne e i bambini che confluivano verso la loro stessa destinazione.

Di paese in paese, la comitiva dei viandanti cresceva sempre più e, né la neve alta, né il freddo pungente riuscivano a scoraggiare la marcia dei pellegrini.

Procedendo a tappe forzate, i due giunsero molto prima degli altri al luogo indicato dal misterioso giovinetto, ma non trovarono nessuno ad attenderli.

Delusi, immaginarono lo stupore dei tanti che sarebbero arrivati in seguito e pensarono di essere stati tutti vittime di una beffa crudele.

La stanchezza, però, ebbe il sopravvento sulla rabbia e, complice la rigida temperatura e i fiocchi di neve che venivano giù copiosi, i due ripararono in un fienile abbandonato, dove il sonno giunse rapido a lenire il loro sconforto.

Non seppero mai quanto tempo dormirono, ma il risveglio non lo dimenticarono per tutto il resto della loro lunga vita.

Quando aprirono gli occhi furono investiti da una luce che proveniva dal fondo del capannone, forse un raggio di sole che filtrava attraverso le travi del soffitto; ma, tant’è, creava l’effetto di un’aurea su quella donna che allattava al seno suo figlio e l’uomo accanto, che guardava estasiato sua moglie e il bimbo appena nato.

Avvicinandosi alla famiglia, che come loro aveva trovato rifugio in quel luogo, ai due venne spontaneo scoprirsi il capo e abbassare lo sguardo.

Fu la donna a toglierli dall’imbarazzo invitandoli ad avvicinarsi, mentre il bimbo, ormai sazio del latte materno, rivolgendo lo sguardo agli strumenti che i due viandanti portavano con loro, sembrava guardarli divertito.

Incoraggiati dal sorriso del neonato, con la zampogna e la ciaramella i due intonarono una melodia struggente e dolcissima, che risuonò lungo le strade e richiamò i pellegrini che nel frattempo erano giunti in paese.

Solo col tempo, quando conobbero la vera natura e la storia di quel bambino divenuto ormai uomo, ai due zampognari fu chiaro il perché di quell’invito: ai loro discendenti, nel corso dei secoli, sarebbe toccato il lieto compito di annunciare, con la novena di Natale, la nascita di quel bambino speciale chiamato Gesù.

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