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LAMIA PASSEGGIAVA SULLA RIVA DEL MARE…

LAMIA PASSEGGIAVA SULLA RIVA DEL MARE…

Renata Rusca Zargar

Lamia passeggiava sulla riva del mare. I suoi lunghi capelli neri, inanellati dolcemente, scherzavano con la brezza leggera e i suoi piedi accarezzavano la schiuma frizzante delle onde. Si percepiva, nell’acqua limpida, il sorriso dei pesci, dei granchi, dei polpi.

Lamia amava quelle passeggiate al mare oppure le piaceva cavalcare nel deserto, inseguendo il disco giallo del sole che spuntava al mattino o si immergeva tra le dune al tramonto. Allora, la sabbia diventava rossa e persino i suoi capelli prendevano dei riflessi arancio mentre i suoi occhi cangianti rilucevano di pagliuzze d’oro.

Quel giorno, Zeus se ne stava affacciato da una nuvola ricciola in cielo. Guardava di qua e di là, sulla terra, per trovare qualcosa da fare. Gli uomini, come categoria, gli piacevano molto. In fondo, erano simili a figli per lui. Soprattutto, però, gli piacevano le donne: andava proprio pazzo per le ragazze affascinanti.

Al crepuscolo, girando un po’ la testa verso destra, aveva scorto Lamia che cavalcava libera nel deserto.

“Ammaliante e fiera.” si era detto.

La mattina dopo, appena rimasto solo, non aveva potuto fare a meno di voltare di nuovo il capo verso destra.

In quel momento, Lamia scherzava con le onde del mare: la sua veste candida si era bagnata e si potevano cogliere le forme perfette e rotonde del suo corpo, come se fosse stata nuda.

Zeus si era trasformato, allora, in un aitante giovane dai capelli neri ricci e gli occhi azzurri e, in un attimo, si era trovato sulla riva vicino a lei.

Lamia non aveva mai visto un ragazzo così bello. Nessuno dei suoi tanti corteggiatori si poteva paragonare a lui.

Il giovane, poi, aveva iniziato a illustrare quanto fosse affascinante quella terra, con le onde scherzose, le creature del mare e una giovane donna tanto attraente come lei che ci giocava.

-Mi piacerebbe, però, anche cavalcare nel deserto… Credo che la sabbia, all’alba e al tramonto, prenda dei colori incomparabili e che dia un senso di libertà assoluta…- aveva aggiunto.

-Anche a me piace molto cavalcare nel deserto. – aveva risposto la fanciulla inconsapevole.

-Bene, andremo insieme, al tramonto, e cavalcheremo liberi, verso il sole, fino a notte. –

 

Il Sole se n’era andato ed era spuntata, infine, la Luna, a sancire un grande amore appena nato e che, forse, non sarebbe finito mai.

 

Era passato, così, parecchio tempo terreno e Lamia aveva avuto parecchi figli dal suo adorato compagno. Egli si perdeva ogni giorno nella bellezza e nella dolcezza della sua amata e tutto sembrava perfetto.

 

Hera, sull’Olimpo, intanto, era molto impegnata con il suo orto. Là, sul Monte Atlante, c’era, tra l’altro, l’albero delle mele d’oro che Madre Terra le aveva regalato per il suo matrimonio con Zeus e che non poteva essere trascurato. Le mele d’oro donavano l’immortalità.

Inoltre, Hera si occupava dei quattro figli, Ares, Ebe, Eris, Ilizia, che le davano sempre qualche preoccupazione. Insomma, aveva tanto da fare.

In quel periodo, infine, suo marito era particolarmente gentile e premuroso. Si complimentava con lei per la sua bellezza e per come sapesse gestire bene gli affari della famiglia.

La seguiva ovunque per abbracciarla, mentre curava le piante, mentre assisteva i figli e si occupava delle loro faccende, tanto che era proprio lei a doverlo respingere.

-Zeus, ora non è il momento, ho da fare! – gli diceva.

Lui, mortificato, se ne andava, allora, a curare le sue incombenze di capo degli Dei.

Cioè, correva da lei, da Lamia, dal suo meraviglioso amore.

-Nessuno potrà mai separarci! -le assicurava sempre.

La sera, infine, Zeus si addormentava sfinito ed Hera si sentiva persino un po’ in colpa per averlo trascurato.

Così andavano le cose da un bel po’.

Un giorno, però, Ares ed Eris avevano litigato furiosamente. Lui, minacciava una strage e lei di seminare la discordia su tutta la terra. Bisognava castigare i due prepotenti ed Hera aveva deciso di cercare il marito perché fosse lui a punirli severamente.

Si era affacciata anch’ella dalla nuvola riccia e l’aveva scorto là, nella deliziosa terra di Libia, che amava appassionatamente la bella Lamia.

Era venuta anche a sapere, improvvisamente, che la felice coppia aveva dei figli.

-Ah, il malvagio traditore! – aveva esclamato furibonda.

In un attimo, aveva capito tutto. Da quanto tempo la stava ingannando? Da parecchio, a giudicare dal numero dei figli. Ecco perché il marito era diventato tanto gentile: per non insospettirla. Ecco perché l’abbracciava quando lei era indaffarata: così lei avrebbe rifiutato. E pensare che lei si era sentita pure in colpa!

Ma gliel’avrebbe fatta pagare a caro prezzo.

In un attimo, aveva fatto uccidere i figli di Lamia.

Zeus, allora, vistosi scoperto, era tornato rapidamente a casa, sul Monte Olimpo, mente la povera madre aveva iniziato a disperarsi e a piangere i suoi amatissimi bambini.

A furia di piangere, però, Lamia era diventata rabbiosa. Il suo corpo si era trasformato in un mostro: la parte superiore era rimasta di donna ma quella inferiore era diventata un enorme serpente.

Strisciando, cercava i bambini delle altre madri nelle culle per divorarli o succhiarne il sangue. Se trovava, poi, un giovane uomo, ritrovava intatta la sua straordinaria bellezza per sedurlo e bergli, poi, tutto il sangue. Il suo bacio era diventato assassino.

Voleva che altre madri provassero quello che aveva provato lei nel perdere i suoi figli. Voleva che nessuno potesse essere felice perché lei non lo era: l’odio non la lasciava dormire, né giorno né notte. Allora, vagava in continuazione con il solo scopo di distruggere la gioia delle donne e degli uomini.

Zeus, intanto, si era impietosito del suo crudele destino.

Lamia aveva avuto la sola colpa di averlo amato con tutto il cuore e di avergli dato dei figli. Non aveva fatto nulla di male se non cedere a una grande passione per lui.

Allora, per sollevare la sua pena, Zeus le aveva concesso di potersi togliere gli occhi quando voleva riposare.

E così era stato. Lamia lasciava gli occhi in un vaso e dormiva.

Ma, quando si svegliava, si rimetteva gli occhi e partiva alla ricerca di bambini da uccidere o di giovani da sedurre per bere il loro sangue e, persino, divorare il loro cuore.

 

Erano passati molti secoli. Zeus ed Hera facevano parte di una storia che nessuno ricordava più.

Non così Lamia, anzi, le lamie, cioè le streghe, divoratrici di bambini.

 

Renata Rusca Zargar è autrice del libro “Pietre e piante: portafortuna, talismani e benefici effetti curativi per ogni SEGNO ZODIACALE”

 

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Portare una collana di angelite, ad esempio, ci avvicina alla pace e alla serenità, mentre un anello di corniola allontana il malocchio e i piccoli teschi di osso tibetano portano fortuna. Oppure, sapevate che il quarzo rutilato, abbinato alla labradorite, aumentasse il fascino personale e l’autostima? O che un rametto di acacia appeso dietro la porta tenesse lontano chi non ci vuole bene?

Il testo è, dunque, un manuale di curiosità pratiche sui benefici effetti delle pietre secondo i SEGNI ZODIACALI o secondo l’attrazione personale. Illustra i vantaggi che ci offrono alcune piante, spiega la terapia dei colori e, infine, insegna a fare per sé il profumo che ci renderà ancora più affascinanti e felici.

Chi è Renata Rusca Zargar

Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.

Tra gli ultimi nati c’è una raccolta di lavori delle signore anziane che hanno seguito i suoi corsi gratuiti di Lettura e Scrittura Creativa: “Leggere e scrivere …per divertimento, raccolta di racconti, poesie, disegni, calligrammi dei Corsi di Lettura e Scrittura Creativa”, pubblicato da Amazon.

Si occupa della Biblioteca di volontariato Libromondo e, prima del Covid, portava i libri in prestito nelle Scuole. Cura un blog di cultura, ecologia e società Senzafine: Arte, Cultura e Società di Renata Rusca Zargar  link

 

 

 

 

 

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