giovedì , Novembre 14 2024

“La giusta conclusione” di Renata Rusca Zargar

La giusta conclusione

di Renata Rusca Zargar

Leusi si affaccia dalla porta della sua modesta dimora. Con un braccio si appoggia allo stipite: osserva il susseguirsi dei campi e dei boschi e il saliscendi delle colline che chiudono l’estremo orizzonte. Niente mare, né navi, né clamori all’intorno, solo l’ovattata pace della campagna. Sta per piovere, gonfi nuvoloni scuri si addensano nel cielo grigio. Tra poco lui tornerà a casa dai campi così come i loro tre figli che giocano poco lontano con gli altri bambini del villaggio. Essi non andranno mai in battaglia, mai getteranno la vita nell’Ade per combattere altri esseri umani.

Leusi si massaggia la schiena dolorante: il suo corpo inaridito le pesa, non è più la ragazza della giovinezza svelta e radiosa. Anche il suo viso sta sfiorendo: l’inarrestabile moto della vita consuma il suo tempo.

 

 

Leusi era uscita dalla porta per andare a raccogliere delle erbe. Non aveva detto nulla a nessuno, altrimenti la mamma non glielo avrebbe permesso. Ma quelle erbe facevano comodo per la cena, ora che gli Achei avevano assediato Troia da tanto tempo e non se ne andavano mai; le loro navi erano fermamente ormeggiate di fronte alla città.

Erano crudeli gli Achei, molti valorosi guerrieri troiani erano caduti sotto i loro colpi e tutta la città, le donne, i bambini, i vecchi, soffrivano la fame.

Ma i terribili Achei, per fortuna, non sapevano che quella porta sul retro ogni tanto veniva aperta per ricevere del cibo dalla zona circostante. Ed ella, qualche volta, ne approfittava.

Etrobio, il soldato che stava a guardia, era suo amico, e quando lei glielo chiedeva, la lasciava passare perché potesse andare a raccogliere qualche verdura e frutta nei campi nascosti ai vigili occhi dei Greci.

Leusi era parente di Paride, il principe che aveva rapito la bella Elena, in quanto la sorella di Priamo era sua nonna da parte di madre.

Qualche volta, si soffermava a pensare a quell’amore così grande di lui per la moglie di un altro che li aveva condotti tutti a una guerra senza fine. Come si poteva amare tanto?

Leusi non lo capiva, ancora non aveva provato nessun vero sentimento per uno qualsiasi dei giovani della tribù, anche se sapeva che, finita la guerra, sarebbe andata sposa a uno di loro. Ma quella guerra sembrava eterna e tutto ristagnava: solo c’era tempo, purtroppo, per le sepolture.

Leusi canticchiava mentre si inoltrava nella campagna, non c’era molto da prendere, a dire il vero, nessuno aveva piantato più nulla, per cui non si trovava se non qualche erba spontanea, qualche frutto.

Il sole era forte e metteva allegria, e così pure la sua gioventù, così che ella aveva continuato a camminare fino ad arrivare a un boschetto. Là si era seduta sotto un albero a riposare. E si era addormentata.

Un rumore di foglie smosse l’aveva svegliata e subito aveva scorto il bagliore di un’armatura: era un greco e la stava osservando! Non portava elmo e i suoi capelli neri brillavano tra lame di sole che occhieggiavano dalle foglie della fitta vegetazione.

Leusi non aveva più sangue nelle vene. Era impietrita. Sapeva bene il destino di una donna catturata dal nemico: era condotta schiava all’accampamento nemico e, nella migliore delle ipotesi, concubina di qualche guerriero, se piacente, altrimenti domestica o peggio!

Il guerriero nemico rimaneva anch’egli immobile ed ella, ritrovato un minimo di coraggio, si era alzata ed era fuggita via correndo.

Egli non le aveva sbarrato il passo, né l’aveva rincorsa.

Velocissima, nonostante le gambe tremanti, Leusi era giunta alla porta, aveva bussato, era entrata in fretta, né aveva risposto alle domande di Etrobio che le chiedeva come mai non avesse nulla tra le braccia.

Per tutta la notte, Leusi non aveva chiuso occhio: l’immagine di lui le tornava davanti, spaventosa e terrificante.

Ma egli –le sembrava di ricordare- non aveva poi un’espressione così feroce, appariva stupito…

E, inoltre, perché non l’aveva fermata? Perché non l’aveva condotta, schiava, al suo accampamento?

I dubbi le avevano tormentato le lunghe ore del buio e anche il mattino seguente.

Il pomeriggio, era salita sulle mura e aveva puntato lo sguardo verso quel bosco lontano dove l’aveva incontrato. Naturalmente, non si vedeva nulla, se non la piatta tranquillità della campagna.

Quel giorno, Leusi non aveva avuto il coraggio di uscire ancora dalle mura, ma non era stata capace di far nulla se non pensare a lui e chiedersi perché aveva rifiutato di prendere schiava una donna giovane, magari anche solo per chiedere un riscatto.

La notte seguente era stata ancora più lunga della precedente: appena si addormentava, sognava di lui, il suo scudo, la sua corazza, ma soprattutto il suo viso, ed egli la chiamava!

Un qualche Dio voleva, forse, farle perdere la ragione? Come era possibile che lui la chiamasse? Poi richiudeva gli occhi e quell’immagine era ancora là, davanti a lei e la chiamava…

La mattina si era recata al tempio a pregare. –Oh, Afrodite, stammi vicina. Allontanami dai pericoli! –

Eppure, il tormento continuava.

Dopo tanta indecisione, infine, nel pomeriggio del giorno appresso, si era presentata alla porta di Etrobio. –Aprimi, fammi uscire, andrò a raccogliere della frutta. – gli aveva detto.

-Ma l’ultima volta sei tornata senza nulla e mi sembravi molto affannata. Ti è successo qualcosa?

-Sì, mentre mi trovavo nel bosco, ho visto un serpente, era lunghissimo, ho avuto paura e sono scappata. Ma oggi farò più attenzione.

-Sii cauta, ci potrebbero essere degli Achei in giro, anche se non vengono da questo lato delle mura perché i nostri soldati glielo impediscono. Essi sono molto più infidi e pericolosi dei serpenti!

-Farò molta attenzione, te lo prometto. –

Lentamente, Leusi si era avviata verso il bosco: il cuore le batteva nel petto all’impazzata, le mani le tremavano ed erano ghiacce, ma non poteva fare diversamente.

Una forza che non aveva mai conosciuto prima la spingeva verso…

Forse, verso la sua fine, pensava.

Il Fato aveva dunque stabilito per lei una vita da schiava presso l’odiato nemico!

I suoi passi, intanto, seppure timidi e circospetti, si erano fatti più veloci.

Vivere o morire, dolore o gioia, l’eterno dualismo delle situazioni che doveva essere, per la prima volta, indagato dalla sua mente e dal suo corpo.

Ecco, i primi alberi, ecco il sentiero che aveva seguito due giorni prima, ecco lo spiazzo erboso dove si era seduta e addormentata.

Il silenzio avvolgeva l’ora calda del meriggio, solo gli uccelli si divertivano a saltare da un ramo all’altro cinguettando e non c’era anima viva.

D’altra parte, cosa avrebbe voluto? Incontrare un nemico, magari un uccisore di qualche suo fratello o parente o amico? Credeva poi che lui sarebbe restato là due giorni ad attenderla?

Eppure, come una stanca tristezza le era scesa sull’animo. Aveva sperato. E ancora si era seduta, appoggiando il capo sulle ginocchia e rinchiudendolo tra le braccia. Il viso di lui le tornava sempre davanti agli occhi. Perché questo scherzo degli Dei? Perché volevano tormentarla facendola pensare a un assassino dei suoi concittadini?

Era stato appena un fruscio, non più del brusio di un fragile vento tra le foglie; Leusi aveva alzato il capo ed egli era lì, davanti a lei. Non aveva scudo, né corazza, né armi: una semplice tunica lo ricopriva e i suoi capelli neri rilucevano ancora.

La guardava, immobile, ed ella anche rimaneva là, ferma, senza parlare, con il volto in fiamme, la paura a tormentarle le vene, incapace di fuggire di nuovo.

Poi, egli le aveva offerto dei frutti. Ella li aveva presi ed era andata via, in silenzio.

Dunque, egli aveva capito cosa ella facesse nel bosco: la volta precedente, spaventata, ella aveva lasciato là ciò che aveva raccolto prima di incontrarlo. Era tornata in città senza nulla e, se fosse successo di nuovo, qualcuno avrebbe potuto sospettare qualcosa d’insolito.

Anche questa volta, egli non l’aveva fermata né seguita.

Leusi era volata verso casa, la gioia l’invadeva tutta, anche se non ne capiva completamente il motivo.

O, forse, sì: egli era venuto là per lei!

Ma erano nemici, che significato poteva esserci? E se fosse stato tutto un tranello?

Se ci fosse stato dietro quel comportamento qualche progetto, magari, attraverso di lei, poter entrare da quella porta in città e chissà cos’altro?

Di nuovo la notte era stata tormentata: un po’ si addormentava felicemente con l’immagine di lui davanti, un po’ si svegliava preda di un terrore irrefrenabile.

Ma gli occhi di lui non potevano essere cattivi, non le volevano male, lo capiva benissimo!

Così, il pomeriggio seguente era tornata nel bosco.

Questa volta, era lui a essere seduto sullo spiazzo erboso, in attesa, con un cesto di frutti e verdure accanto a sé. Vedendola, si era alzato. Lei era rimasta in piedi, davanti a lui, i loro occhi si cercavano, timidamente ma avidamente. Solo così lei poteva sapere di lui, delle sue intenzioni, dei suoi pensieri. E non ne aveva paura.

Poi lui le aveva teso una mano e lei vi aveva messo la sua. Insieme, avevano imboccato un sentiero che si inoltrava ancora di più nel bosco.

-Non avere paura di me, – le aveva detto subito lui –lo so, sono un nemico per te, ma non ho intenzione di farti del male. Quando ti ho vista la prima volta, nel bosco, addormentata, mi sei sembrata una Dea. Eri così bella! Poi tu sei fuggita, ma io ho sperato che saresti tornata, ho creduto che avessi letto nei miei occhi le mie sensazioni. Il giorno dopo, tu non sei venuta, ed è stato assai triste per me. Non avrei mai potuto ritrovarti, in una città nemica, senza neppure sapere il tuo nome. Ho aspettato fino a che non è scesa la notte, poi ho dovuto rientrare al mio campo. Ma non ho perso la speranza e sono tornato qui, e tu c’eri. Allora avevi capito, ho pensato, allora il Fato non è poi così crudele con me! Ma ora dimmi, per favore, come ti chiami?

-Leusi.

-Io sono Archifeo, sono venuto qui con mio padre che è un amico di Achille. Ero solo un bambino, dieci anni fa. Imparerai la guerra, mi hanno detto. Intanto, sono cresciuto, adesso sono un uomo, ma non ho ancora combattuto, se non insieme a molti altri, in gruppo. Per fortuna, non mi ritengono ancora pronto per un duello. O, forse, mio padre lascia passare il tempo perché ha paura di perdermi, sono il suo unico figlio maschio.

-Non hai ancora ucciso nessuno?

-No, e non ho intenzione di farlo. La guerra non mi piace e me ne tengo un po’ lontano. Ogni giorno dico che vado in perlustrazione, che mi alleno per il combattimento, e vengo da queste parti a passeggiare. Per ora, non si sono resi conto che sto evitando gli scontri.

-E quando se ne accorgeranno?

-Mi manderanno in prima linea oppure mi bolleranno come vile traditore.

-E come farai?

-Davvero, non so, non ci ho ancora pensato. Al campo non fanno molto caso a me, perché sono comunque ancora giovane e perché hanno tanti problemi. Da alcuni giorni, poi, siamo stati colpiti dalla peste e la gente muore con facilità. Pare che un Dio ci voglia punire, ma non sappiamo ancora perché.

-Ma, prima o poi, dovrai combattere!

-No, non lo farò. Questa è una guerra ingiusta, siamo venuti sul territorio di un’altra città, nessuno ci ha minacciato!

-Sì, ma Elena?

-Ella è stata consenziente, è fuggita con Paride, non è stata rapita con la forza. Ella desidera rimanere qui.

-Sì, è vero, Elena ama stare qui, è una vera principessa troiana, ormai.

-E allora perché uccidere tanta gente per lei?

-Non ho mai sentito nessuno parlare così.

-Perché nessuno ha il coraggio di dire la verità. Elena non è la vera ragione, è solo una scusa per permetterci di conquistare Troia e avere il dominio di questo mare e dei suoi commerci, questa è la vera ragione!

-Ma tu non puoi cambiare le cose. Né andare contro l’onore del tuo popolo.

-No, non posso, ma posso non contribuire.

-Si sta facendo tardi, ci siamo allontanati molto, devo tornare.

-Ti accompagnerò solo al limitare del bosco, non ti verrò dietro verso la città, così non penserai che voglia rubare qualche vostro segreto. Ma ti aspetterò domani, al nostro solito posto.

-Verrò. –

Leusi aveva preso ancora i frutti che Archifeo aveva preparato per lei ed era tornata in città.

-Tutto bene, eh, oggi? – le aveva chiesto Etrobio, indicando il piccolo bottino di cibarie.

-Sì, per fortuna, ho trovato un luogo tranquillo dove c’è ancora qualcosa. –

La notte era stata densa di emozioni: il buio rende sempre tutto diverso. Poteva fidarsi? Il suo istinto le diceva di mettere la mano nella sua e di seguirlo, ovunque lui volesse andare. Ma che esperienza aveva lei di uomini? E di nemici, per giunta? Nella sua città, tutti parlavano male dei nemici!

Nonostante i suoi dubbi, il giorno dopo, nel primo pomeriggio, non aveva potuto resistere e si era ancora avventurata al solito luogo.

Egli non c’era: per un po’ aveva girellato là intorno, aveva raccolto qualche erba, si era seduta, il tempo era passato, ma di lui, del suo bel greco, neppure l’ombra! Confusa, era tornata in città.

Il giorno dopo ancora, aveva ripreso la strada dei campi e l’aveva atteso nuovamente. Invano. Dunque, non sarebbe più venuto. Dunque, si era già stancato di lei!

O, forse, aveva avuto un inconveniente, forse, era stato seguito da qualche suo compagno e non voleva tradirla…

Forse, era morto in combattimento…

Forse, l’avevano obbligato a combattere e si era rifiutato, così l’avevano imprigionato o, addirittura, ucciso…

I dubbi erano atroci e per tutta la notte ne era stata consumata. Non sarebbe più andata all’appuntamento, avrebbe finito quella storia che, comunque, non avrebbe mai portato da nessuna parte.

Eppure, ancora non riusciva a cancellare il suo volto che le veniva ininterrottamente davanti, i suoi occhi dolci che sembravano cercare comprensione, affetto, unione reciproca delle anime…

La sua mano anelava quella di lui…

Per tutta la mattina seguente, dalla cima delle mura, aveva seguito i combattimenti, nella speranza e nel terrore insieme di scorgerlo sul campo di battaglia.

Ma, naturalmente, non poteva riconoscerlo nella mischia, egli non era un grande campione dalle armi famose e ben identificabili!

Nel pomeriggio, infine, era tornata all’appuntamento tanto desiderato, per rimanere ancora disillusa.

Il giorno dopo, invece, non era andata e la notte successiva non aveva potuto dormire perché le domande senza risposta, i tentennamenti, le angosce, non le lasciavano tregua: e se lui si fosse recato fin là e non l’avesse trovata?

Se avesse avuto qualche problema?

Si sentiva egoista e, infine, nel primo pomeriggio della giornata successiva, il più presto possibile, trascinata dall’emozione, si era nuovamente avviata là.

Archifeo, però, non c’era neppure quel giorno e, mentre le lacrime sgorgavano copiose dai suoi occhi, si era appoggiata a una roccia.

Non c’era più dubbio alcuno, il suo sogno (ma di che cosa poi?) era finito. Egli non sarebbe mai più venuto, mai più le avrebbe stretto le mani guardandola con gli occhi del cuore, mai più avrebbe reso le sue guance bollenti di emozione.

Ed ella non avrebbe mai neppure saputo il perché!

I singhiozzi squassavano il suo petto, le lacrime a fiumi le impedivano di vedere così che una mano le aveva stretto le spalle, l’aveva attirata a sé e il suo capo era andato ad appoggiarsi naturalmente nell’incavo del collo di lui. I baci avevano sciolto la sofferenza di lei e la gioia che lui aveva provato a trovarla là, piangente.

Dunque, anche lei provava un sentimento per lui, tanto forte da farla singhiozzare per non averlo visto. Gli Dei non potevano fargli un regalo più gradito!

-Non sono potuto venire qui, -le aveva spiegato subito dopo, continuando a stringerla e ad accarezzarle i capelli – perché al nostro campo c’è stata molta confusione. Ricordi che ti ho parlato della peste? La gente moriva in gran numero per cui, dopo nove giorni di quello strazio, mentre ovunque ardevano le pire con i cadaveri, Achille ha chiamato tutti a consesso e l’indovino Calcante ci ha svelato il mistero.

Agamennone, dopo il saccheggio della città di Crisa, aveva ricevuto la figlia di Crise, sacerdote di Apollo, come ancella. Allora, il padre si era presentato da lui per riscattarla con ricchissimi doni ma, Agamennone, nonostante il parere contrario di tutti, aveva rifiutato. Agamennone è il re più potente tra di noi e non ascolta facilmente i consigli. Apollo, adirato per l’offesa fatta al suo sacerdote, ha deciso così di punirci mandandoci la peste che ha fatto morire tante persone. Ma non è finita qui. A questo punto, tutti hanno domandato ad Agamennone di restituire la fanciulla al padre senza alcun riscatto, ovviamente, e di offrire anche un’ecatombe1 al Dio offeso. Agamennone è diventato furibondo, sembrava volesse mangiarsi tutti quanti! Devi sapere, però, che, quando egli aveva ricevuto la schiava Criseide, Achille aveva avuto Briseide, figlia di Briseo. Allora Agamennone ha detto che avrebbe restituito Criseide ma, in cambio, si sarebbe preso Briseide. Molti lo hanno sconsigliato, spiegandogli che Achille, che è il più forte di tutti i guerrieri, si sarebbe adirato e non si poteva sapere che cosa avrebbe potuto fare! Agamennone, come al solito, non ne ha voluto sentir parlare. Ha mandato i suoi alla tenda di Achille e si è portato via Briseide. Non so come mai Achille non lo abbia ucciso sul momento e abbia permesso che gli portassero via la schiava, forse gli Dei gli hanno suggerito di aspettare ed egli ha obbedito perché si rende conto quanto sia caro agli Dei chi sa piegare la fronte al loro volere. Non ho udito altro, so solo che, per il momento, Achille non partecipa più alle battaglie né alle riunioni dei nostri capi. Appena mi è stato possibile, sono corso qui, sperando di trovarti. Ora che ci sei tu, devo essere più prudente nei miei movimenti, se qualcuno ci scoprisse sarebbe la fine per noi. Ma tu non devi piangere, devi essere sicura e sapere che io non ti abbandonerò mai. Se, qualche volta, non mi vedrai arrivare, sarà perché ho avuto qualche impedimento. Se sarò morto, invece, ti giuro che, prima di scendere nell’Ade, verrò da te e ti darò io stesso la terribile notizia. –

A quelle parole, le lacrime erano sgorgate ancora dagli occhi di Leusi. Dunque, il loro amore era vero, dunque, i dubbi non avevano ragione di essere.

La felicità era stata totale per tutti e due: nelle braccia l’uno dell’altro il mondo non esisteva più e l’attimo diventava perfetto ed eterno. Era stato molto difficile, verso sera, separarsi e prendere la direzione opposta verso due diversi popoli in guerra. Non c’era stato tempo per raccogliere frutti o altro.

-Non hai portato nulla oggi, – le aveva detto Eutrobio quando le aveva aperto la porta – e hai anche gli occhi rossi.-

-Ho trovato un’erba che mi sembrava buona e ne ho raccolto un po’. Ma poi ho visto che, toccandomi gli occhi, me li faceva bruciare e così l’ho gettata, for

forse è velenosa. Domani cercherò qualcosa di meglio. –

La sera, a casa, la sorella più grande, Liona, le aveva detto: – Leusi, mi sembri strana e distratta in questo periodo. Non stai bene, forse, o hai qualche problema? So che vai nel pomeriggio a cercare frutti ed erbe da mangiare e noi tutti te ne siamo grati, ma

devi ricordare che il nemico è alle nostre porte e non devi rischiare. Se ti prendessero, diverresti schiava e la tua vita finirebbe nella vergogna e nel dolore. –

Leusi era arrossita, nessuno doveva sapere il suo segreto, neppure la sua cara sorella. Ella non avrebbe capito e l’avrebbe denunciata ai capi per essere duramente punita.

–Non ti preoccupare, -le aveva risposto quanto più tranquillamente possibile – sto molto attenta, conosco la crudeltà del nemico e non voglio diventare loro schiava. Come tutti noi, però, sono preoccupata per questa guerra che non finisce mai e che sta uccidendo molti dei nostri. Il pensiero di aver perso da tempo la normalità della vita mi disturba e mi rende triste, il futuro incerto mi dà ansia…

-Come a tutti noi ma, non temere, ormai gli Achei sono stanchi, piegati da dieci anni di guerra e dalla peste che un Dio pietoso ha inviato loro, stanno per cedere e noi torneremo alla consueta vita.

-Sarà così senz’altro. – Con tali parole, Leusi era andata a coricarsi.

Il giorno seguente, ovviamente, era tornata al luogo degli incontri. Lo avrebbe fatto ogni giorno, senza più ripensamenti né dubbi, confidando negli Dei. Archifeo non era venuto e neppure nei giorni successivi, ma ella si recava là ogni pomeriggio, raccoglieva erbe e pregava. Ogni mattina, invece, dall’alto delle mura, cercava di intravederlo, pur sapendo che probabilmente era impossibile. La notte lo sognava desiderando i suoi abbracci, le sue mani, i suoi occhi, il suo cuore…

Intanto, però, nell’infuriare dei combattimenti, sembrava che i Troiani avessero la meglio. Forse, un Dio li proteggeva, forse, finalmente, il Fato aveva scelto di far concludere vittoriosamente la loro difesa. A guerra finita, di lei e Archifeo che ne sarebbe stato? Non c’era risposta a una simile domanda e i giorni trascorrevano solitari.

Infine, un pomeriggio, egli era arrivato. Dopo un forte abbraccio, mentre ella pendeva dalle sue labbra, le aveva spiegato: -I combattimenti infuriano, come sai. Ma devo farti capire cosa è successo da quando ci siamo lasciati. Intanto, un giorno, Agamennone ha chiamato tutti a raccolta e ci ha detto che saremmo tornati a casa. Non ti dico quanto tutti sono stati felici! Sembravano impazziti! Correvano verso le navi, raccoglievano le loro cose, i loro occhi sembravano umidi di pianto! Io ero un po’ frastornato. Come e cosa avrei fatto? Non mi aspettavo una partenza tanto improvvisa, è triste dirlo ma, senza più alcun combattimento, non avrei potuto neppure chiederti come mia schiava…

-Tu vorresti vedermi schiava? È questo, dunque, il tuo amore? – lo aveva immediatamente interrotto Leusi stupefatta. Quello era dunque ciò che lui pensava del loro futuro insieme! Ridurla in schiavitù!

-Ragiona, quale altro modo avrei avuto per portarti con me nella mia terra? Avrei dovuto partire e lasciarti qui? Oppure avrei potuto chiedere ai tuoi di lasciarmi restare a Troia? Credi forse che mi avrebbero accolto a braccia aperte e mi avrebbero dato te in sposa? A me? A uno degli odiati nemici? Non sei forse tu della schiatta di Priamo?

-Sì, non mi avrebbero data a chi ci aveva combattuti fino a un attimo prima…

-Quindi, vedi che la mia idea non sarebbe stata così malvagia. Come schiava saresti partita con me, saresti venuta nel mio paese, saremmo stati insieme e un giorno saresti poi stata la mia sposa perché io l’avrei voluto. Solo dovevi avere fiducia in me e abbandonarti totalmente nelle mie mani. L’avresti fatto?

-Sì, lo farei, sono pronta a seguirti ovunque. Scusa se, per un attimo, ho dubitato di te, non lo farò più.

-Lo so, tra di noi non c’è sfiducia, tutto è chiaro. Purtroppo, però, come ti dicevo, non c’era la possibilità di chiederti come schiava perché non ci sarebbero stati più combattimenti. Saremmo partiti subito. Ma, mentre pensavo come fare, tutto è cambiato. Agamennone non diceva sul serio: gli animi pronti a rivedere le patrie mura, le spose, i vecchi genitori, le sorelle, ebbero subito una brusca delusione. Ulisse ha riportato le menti al desiderio della battaglia, ha rincuorato i soldati e ci ha fatto capire che la conquista di Troia non è impossibile, come fintamente aveva affermato Agamennone per trarci in inganno e misurare il nostro valore. La guerra è durata già nove anni compiuti, ma Calcante ha profetizzato che così doveva essere e che nel decimo anno, e ci troviamo nel decimo anno, Troia cadrà.

-Sarà dunque la fine per noi!

-Se questo è il volere degli Dei, noi che potremmo opporre?

-Ma in questi giorni i Troiani hanno la meglio…

-Sì, è vero, perché Achille è ancora furibondo e si astiene dai combattimenti. Ma che succederà dopo? Chi può saperlo? Io e te dobbiamo pensare a noi e a noi solamente. Nessuno dei miei ci aiuterà, ne sono certo. E penso che neppure i tuoi vogliano uno come me che sarà bollato come traditore.

-Che possiamo fare dunque?

-Dobbiamo mantenere intatto il nostro coraggio e fredda la mente. In questi giorni, ci sono stati molti combattimenti, dal momento in cui siamo stati richiamati alla battaglia, nessuno ha potuto rimanere ozioso alle tende. Io stesso questa volta non ho potuto trovare scuse. Mio padre mi ha parlato per la prima volta da uomo a uomo e mi ha chiesto di dimostrare il mio valore e quello della mia gente. “Ti stai preparando da molto, figliuolo, questo è il momento della gloria. Va’ e torna vincitore. Sei il mio unico figlio, il mio nome riposa su di te, la nostra casa è ormai nelle tue mani che in questi anni da piccole e fanciullesche sono diventate adulte. Troia cadrà presto e voglio che tu sia uno dei conquistatori!” Così mi ha detto mio padre e mi ha spedito in battaglia.

-Allora hai dovuto combattere? Avevi detto che non l’avresti mai fatto.

-Sì, ho dovuto, sono andato con un piccolo gruppo di soldati organizzato da mio padre. La lotta infuriava, Ettore faceva strage di Achei, ognuno, da una parte e dall’altra, si batteva come un leone. Ma i Teucri erano senz’altro superiori. Poi c’è stato il duello tra Menelao e Paride, come tu sai senz’altro. Chi avesse vinto avrebbe avuto Elena con tutte le ricchezze e la guerra sarebbe finita. Abbiamo creduto tutti

noi Achei che Menelao, ben più forte e coraggioso, avrebbe vinto e, infine, saremmo tornati a casa. Ma non è andata così.

-Meglio sarebbe stato: chi ha scatenato la contesa, la risolva!

-C’è molto di più in questa guerra che la contesa per la bella Elena, come ti ho già spiegato. Intanto, Menelao non è riuscito a vincere, forse un Dio ha salvato Paride e il duello si è concluso con un nulla di fatto. Allora la battaglia si è riaccesa. Ognuno ha dovuto prendere le armi. Ognuno ha dovuto scegliersi un avversario da odiare e da desiderare di uccidere…

-Ho visto un po’ della battaglia dalle mura, ti ho cercato tra tutti quei terribili soldati che si dibattevano gli uni contro gli altri sollevando polvere e sangue e grida… Ma non ti ho visto, non conosco neppure le tue armi perché tu non le porti qui, solo la prima volta avevi l’armatura ma non l’elmo… Ho pensato che tu non ci fossi in battaglia perché così avevi detto, ma anche che forse avevi dovuto farlo, che eri là in mezzo a combattere… Ho tremato per te, ho creduto di intravederti in ogni Acheo che cadeva al suolo… Poi ho pensato anche: “O lui o uno dei nostri, magari un fratello, un cugino…” Come possiamo stare qui seduti insieme mentre i nostri si uccidono, si odiano, sognano la distruzione gli uni degli altri? Ma come ha detto Glauco a Diomede che l’interrogava prima del duello (ce lo raccontò lui stesso la sera): “Quale delle foglie, tale è la stirpe degli umani. Il vento brumale le sparge a terra e le ricrea la germogliante selva a primavera. Così l’uomo nasce e muore.”

-Anch’io mi pongo questi problemi andando in battaglia. Che ne sarà di noi se ucciderò un tuo caro? Che ne sarà di noi se un tuo caro mi ucciderà? Potrai tu vivere ancora con loro e ridere e scherzare e mangiare con loro? –

Nel mentre, Archifeo l’abbracciava stretta. Non c’erano risposte a tanti interrogativi. I nemici sono nemici e basta. Per questo la sofferenza li sovrastava mentre Archifeo continuava a parlare: -Poi Ettore ha combattuto contro Aiace, il giorno dopo la battaglia è divampata ancora più furibonda e sembrava proprio che avessimo la peggio. Ettore ha lottato così valorosamente da metterci in difficoltà. A quel punto, Agamennone ha inviato Ulisse, Aiace Telamonio e Fenice alla tenda di Achille per convincerlo a tornare in battaglia, restituendogli la schiava Briseide oltre a molti ricchi doni. Siamo rimasti tutti in attesa della risposta che avrebbe cambiato le nostre sorti. Ma Achille è stato irremovibile. Non sarebbe tornato a combattere. La notte è trascorsa per molti insonne: come sarebbe finita la guerra senza Achille? Veramente Troia sarebbe caduta come era stato profetizzato o gli Dei si erano presi gioco di noi? Infine, si decise di inviare Ulisse e Diomede a spiare le mosse nel campo nemico per poter trovare qualche punto debole in cui colpirli. Ma essi si accorsero che Dolone era stato mandato dai Troiani a spiare i greci, così lo presero prigioniero e prima di ucciderlo, gli carpirono molte informazioni. La più importante fu che i Traci, appena giunti in aiuto di voi troiani, dormivano poco lontano senza sentinelle. Ulisse e Diomede piombarono allora velocemente sulle truppe ancora addormentate e ne fecero grande strage. Indi, prima che i troiani si accorges

a giornata continuò con un’altra grande battaglia. La carneficina di persone, da una parte e dall’altra, è stata immensa. Intanto, Ettore guidò ancora i suoi all’attacco, voleva oltrepassare il muro costruito a difesa dei Greci. E ce l’ha fatta: ci ha messi in fuga verso le navi! Ma i Greci si ripresero per un poco e impedirono ai Teucri l’accesso alle navi e la battaglia riprese a infuriare più di prima.

-C’eri anche tu?

-Per forza, che altro avrei potuto fare? Ma sono qui ora e dobbiamo trovare una soluzione.

-E quale?

-La battaglia imperversava, Ulisse, Diomede e Agamennone erano feriti, ma i Greci si erano un po’ ripresi per cui i Teucri furono respinti e persino Ettore fu ferito da un grande sasso lanciato da Aiace. Ma anche Ettore aveva recuperato le forze e gli Achei erano fuggiti di nuovo… Come vedi, una dura battaglia con alterne vicende e, certamente, anche tu ne hai molto sentito parlare nel chiuso delle vostre mura.

-Sì, tutti speravano che avremmo vinto, che sarebbero state conquistate le navi greche, che la sofferenza di questi anni sarebbe finita…

– Ma non è stato così. Non c’è bene in questa guerra né per me né per te, né per nessuno. Molti sono già morti e moriranno ancora. A chi gioverà la vittoria? Numerose belle persone defunte non torneranno sulla terra, non godranno più della luce di questa vita. Altri trarranno i benefici della distruzione del nemico, ma non avranno pace essi stessi perché altre guerre li attenderanno e dolore e morte…

-È il destino degli umani…

-No, è il destino che alcuni umani vogliono e impongono ad altri. Per noi due, mia cara Leusi, per i nostri figli, dovrà essere diverso.

-E come potrebbe essere diverso?

-In questa guerra non ci sarà conclusione che possa renderci uniti. A te o a me la vita e la vittoria. Ormai, siamo a un punto sempre più pericoloso. Dopo aver visto gli Achei in così grave difficoltà, Patroclo ha chiesto ad Achille di prestargli le armi e di poter condurre i suoi fieri Mirmidoni per scacciare i Teucri dalla prossimità alle navi greche. Achille, che gli vuole molto bene, gli ha concesso tutto ma gli ha raccomandato di tornare subito non appena scacciati i guerrieri troiani senza ingaggiare una vera battaglia. Patroclo, invece, dopo aver spaventato i Troiani che l’hanno creduto il fortissimo Achille, si è fatto trascinare dalla foga fin sotto le mura di Troia e là ha incontrato Ettore.

-Sì, lo so, Ettore lo ha ucciso.

-Io sono venuto subito qui, sperando di trovarti. Tu, fedele compagna, ogni giorno hai raggiunto questo luogo, aspettandomi. Ora, però, per noi s’appressa la fine. Domani, Achille certamente combatterà con Ettore per vendicare il suo caro amico Patroclo. Achille è molto forte e, forse, vincerà. Allora, la sorte di Troia sarà segnata: senza il comando di Ettore, i Troiani saranno presto vinti. Ma, se così non fosse, se vincesse

Ettore, i Greci, perduto definitivamente Achille, sarebbero vinti. Se vinceranno i miei, Troia sarà distrutta e bruciata, se vinceranno i tuoi, bruceranno tutte le navi e uccideranno tutti noi. Non ci salveremo comunque.

-Se è questo il nostro Fato…

-No, il Fato sarà quello che noi ci faremo. Dimmi, ho visto che il territorio si allarga fertile intorno alla città. Ci sono altre città o villaggi?

-Certo, ci sono città e villaggi, la terra è fruttifera e dona molti prodotti. All’interno, ci sono piccoli villaggi di contadini e pastori che non conoscono la fame. Ho incontrato qualcuno di loro che viene in città a vendere le sue merci e mi ha parlato della loro vita tranquilla, della bellezza del loro territorio, della dolcezza delle acque che lo bagnano. Ma perché mi domandi questo?

-Vorrei sapere se potrebbe esserci un villaggio non molto lontano da qui, ma riparato da eventuali incursioni greche, che ci potrebbe accogliere. E se tu sei disposta a lasciare tutto e a venire a vivere là con me.

-Con te? In un povero villaggio di campagna? E tu cosa faresti?

-Il contadino. Conosco questo mestiere, ho sempre seguito con attenzione i servi di mio padre che lavoravano la terra. Preferisco quello al mestiere della guerra. La vita semplice e tranquilla mi attrae. Ma tu che ne pensi? –

Leusi si era alzata e, pensierosa, si era allontanata da lui. Lasciare tutto? Un probabile ricco marito tra i potenti troiani… Ma ci sarebbe ancora stata Troia? Non erano tutte infauste le profezie? Archifeo avrebbe lasciato davvero la sua terra per lei? Il padre? Le sorelle? Gli amici? E sarebbe diventato contadino invece di riportarsi a casa un bel bottino di guerra? Doveva credergli?

Il sole tramontava dietro una verde collina, gli ultimi raggi lanciavano lampi di fuoco sulle foglie verdi intense degli alberi che frusciavano leggermente. Un bagliore di quel sole brillava negli occhi di lui, erano occhi dolci che chiedevano comprensione, affetto, dedizione totale e infinita… Chiedevano tutto quello a lei ed era come se i loro spiriti si potessero parlare attraverso la luce degli occhi…

Egli, infine, si era alzato e le aveva preso le mani: -Mia Leusi, devi rispondermi sì o no, domani potrebbe essere troppo tardi… Forse non ci sarà un domani per noi se non lo costruiamo oggi stesso.

-Cosa devo fare?

-Oggi, tornerai a casa come al solito, ma domani prenderai le tue cose, il minimo indispensabile e, senza farti vedere, lascerai la città. Nessuno deve accorgersi questa volta, approfitta della battaglia, non si baderà a te che oltrepassi la porta, il momento sarà troppo drammatico. Naturalmente, non ne parlerai con nessuno, né madre, né sorelle, né amiche… È un prezzo da pagare per entrambi. Non verrai qui, ma ti avvierai a un villaggio che ti sembri non troppo lontano. Io farò lo stesso, ma per un’altra strada, in modo da non destare sospetti. Nessuno potrà immaginare perché nessuno sa di noi.

-Va bene, lo farò.

-Quale luogo pensi che vada meglio per vivere insieme?

-Andando per questo sentiero in direzione opposta al mare, a un giorno o due di cammino, c’è Drisa, una cittadina molto più piccola di Troia ma, a quanto mi hanno detto, abbastanza ricca. Non conosco nessuno di là, così non mi potranno identificare né denunciarmi ai miei parenti. Domani andrò a Drisa e là ti aspetterò.

-Domani, quando tutti saranno impegnati nella battaglia e nessuno baderà a me, lascerò l’accampamento con le mie poche cose e, per un’altra strada, raggiungerò Drisa. Là troveremo lavoro, ci faremo una piccola casa e vivremo serenamente lontani da ogni contesa, che è quello che desidero. Abbi coraggio, ma, intanto, vieni tra le mie braccia. Tra pochi giorni inizieremo una nuova vita diversa, non più Achei e Troiani nemici, ma solo io e te, due persone unite fintanto che gli Dei ci concederanno la vita. –

 

La mattina dopo, il sole si era levato radioso sulla città e sul campo degli Achei e ciascuno lo interpretava come un presagio di buon auspicio.

Leusi non aveva dormito quasi nulla nella lunga notte.

Aveva promesso ad Archifeo di lasciare tutto e andare a vivere con lui. Era un grosso rischio, ma il cuore le diceva di correrlo per essere felice.

D’altra parte, anche la ragione non aveva di meglio da suggerirle: in quel giorno si sarebbero battuti Achille ed Ettore, i due massimi campioni e le sorti della guerra sarebbero dipese molto dall’esito del duello.

Come già aveva rimuginato mille volte, se avessero vinto i Greci, lei sarebbe diventata schiava o peggio, se avessero vinto i Troiani, Archifeo sarebbe stato ucciso o fatto schiavo.

Se loro due volevano una vita insieme, dovevano conquistarsela lontano dalle loro case e famiglie. Eppure, le doleva lasciare la madre, la sorella, i tanti parenti, le amiche, tutti quelli con i quali aveva condiviso gioie e dolori, abitudini, parole e pensieri.

Lasciarli senza dire loro nulla, una rassicurazione, un abbraccio…

Ma non c’era altro da fare.

Così, non appena il duello era iniziato, mentre tutti erano sulle mura a osservare le sorti della battaglia, lei aveva aperto un poco la solita porta (abbandonata, quel giorno, perché anche Etrobio era con gli altri) ed era scivolata fuori inosservata.

Portava con sé un piccolo fagottino con qualche vestito e un paio di sandali.

Non aveva voluto prendere nulla di nulla tra le cibarie per non togliere a chi restava quello che avevano che già era così poco!

Un po’ di frutta e qualche erba da mangiare sperava di trovarle per la strada.

Il cammino non le era sembrato né lungo né faticoso: sapeva di andare incontro all’amore e alla felicità e, se qualche dubbio le veniva alla mente, lo scacciava, cantando una breve canzone che ripeteva così: -Il mio guerriero tornerà dalla guerra, /

mi verrà incontro con il terribile cimiero, / ma poi lo toglierà e il suo sorriso vincerà / il tempo dell’attesa. –

Archifeo non sarebbe tornato dalla guerra ma il suo sorriso avrebbe vinto comunque e non ci sarebbe stata che gioia.

Alla prima cittadina che aveva incontrato, si era guardata un po’ intorno per scoprire un viso che le desse il coraggio di chiedere asilo e l’aveva trovato facilmente in una donna non più giovane che tornava con un secchio d’acqua dalla fonte. Era stata molto contenta di ciò, perché ormai s’era fatto buio e non sapeva dove ripararsi per la notte.

–Buona donna, -le aveva detto –sono in viaggio per raggiungere Drisa dove si trova il mio sposo. È ancora molto lontana?

-Qui sei a Drisa. Chi è il tuo sposo? – aveva risposto la donna gentilmente.

-Non è di qui, deve arrivare, io sono partita prima di lui che aveva alcuni affari ancora da sbrigare. Il nostro intento è di trovare lavoro perché nel nostro paese, Crusa, non c’è abbastanza di che vivere. – aveva subito spiegato lei, inventando il nome di una città inesistente.

-Non ho mai sentito parlare del tuo paese.

-Ah, è un piccolo villaggio tra le montagne, la terra non è fertile, non c’è molta acqua, i nostri parenti sono morti, per questo abbiamo deciso di cercare un altro posto dove vivere.

-Bene, qui c’è tanta terra da lavorare e potrete senz’altro trovare qualcosa da fare. –

La notte scendeva, intanto, cupa, sulle piccole case sparse all’intorno.

-Sai dove dormire? – le aveva infine chiesto la donna.

-No, in effetti, non so proprio come fare per la notte.

-Vieni pure a casa mia, sono sola.

-Grazie, vengo volentieri. – Era inutile rifiutare, pensava Leusi, non avrebbe saputo dove andare e poi quella donna le dava fiducia.

-Come ti chiami?

-Leusi.

-Io sono Ora. –

In pochi momenti, avevano raggiunto una casupola un po’ scostata dalle altre. All’interno, uno stanzone con pochi oggetti e un giaciglio di paglia in un angolo. Nulla a che vedere con le abitazioni di Troia a cui ella era abituata.

-Come vedi, sono povera e la mia dimora è semplice. Ma ti ospito volentieri fino a quando non arriverà il tuo sposo. Poi vi costruirete una casa vostra, magari non lontano da qui, così ci faremo compagnia. – le aveva detto Ora.

-Ma tu sei sola?

-Sì, il mio vecchio sposo è morto da parecchio tempo. Avevo un figlio bello, forte, che era il mio orgoglio. È andato a combattere a Troia ed è morto. Gli avevo detto di non andare, che non gliene sarebbe venuto nulla di buono. Che importa a noi di Troia? Essi sono molto ricchi, si arrangino. Noi dobbiamo lavorare duramente per

vivere, coltivare la terra, pascolare il bestiame, da noi non c’è il mare o un grande fiume, tutto è più difficile. Ma mio figlio diceva che i nemici sarebbero giunti fin qui, se avessero vinto Troia, che ci avrebbero portato via tutto… Insomma, è partito e poi ho saputo che non l’avrei mai più rivisto. Neppure il suo corpo è stato restituito, giace là, nella città che voleva salvare.

-Mi dispiace tanto, ti capisco, è una lunga guerra, ci sono state tante perdite. Anche da Crusa molti sono partiti per andare a combattere e non sono più tornati.

-Ma non il tuo sposo.

-No, egli non ama combattere, desidera solo lavorare e vivere in pace.

-È giusto. Avrei tanto voluto che anche mio figlio la pensasse così! –

Poi, Ora le aveva sistemato un po’ di paglia in un altro angolo e così avevano passato la notte.

Il mattino dopo, Leusi aveva girovagato un po’ per il villaggio in cerca di Archifeo ma non l’aveva visto da nessuna parte. Leusi sperava che avesse potuto sfuggire ai combattimenti che sarebbero stati senz’altro terribili, una volta morto Ettore o Achille. Aveva molta paura.

-Ti fermerai qui con me fino a quando non arriverà il tuo sposo. –le aveva detto Ora –Mi aiuterai nelle poche cose che faccio, vedi, ho questo piccolo orto dove coltivo qualcosa per me, tesso la tela, lavo i panni di una famiglia importante… Qualcosa c’è sempre da fare e tu sei giovane e forte, puoi darmi una mano. –

Leusi era stata ben contenta, non sapeva dove andare né come comportarsi; fintanto che Archifeo non fosse arrivato, e non sapeva quando, doveva sopravvivere in qualche modo.

I giorni passavano lentamente. Leusi non si fermava un attimo, lavorava sempre, sia per ricompensare quella gentile vecchietta che l’aveva ospitata, sia per non cadere preda di pensieri negativi.

Ma la mente di notte, nel silenzio della capanna, si metteva in moto.

Perché Archifeo non arrivava? Non aveva detto che sarebbe partito lo stesso giorno in cui lei aveva lasciato la città?

Gli era forse successo qualcosa? Aveva dovuto combattere? Era salvo?

Non c’erano, naturalmente, risposte.

Dopo qualche giorno ancora, si era saputo che Ettore era stato ucciso da Achille e che addirittura il suo povero corpo era stato legato al cocchio del vincitore e trascinato nella polvere intorno alle mura di Troia.

Tutti piangevano per la fine di Ettore, anche lì a Drisa, presagendo, forse, la loro stessa fine. Si diceva anche che Priamo, recatosi da solo alla tenda del nemico greco, fosse riuscito a commuovere Achille con il suo dolore di padre e a ottenere la restituzione del cadavere del figlio. Così erano stati celebrati adeguatamente i funerali dell’eroe.

E Archifeo? Cosa gli era successo? Sarebbe riuscito a sfuggire a una simile situazione?

Leusi, ormai, piangeva tutte le notti. Non poteva parlare con nessuno della sua vera condizione, non poteva chiedere nulla di un nemico, né poteva recarsi al lontano campo greco a chiedere notizie.

Ma c’era ancora un campo greco? Non erano forse partiti gli Achei?

Ogni giorno sperava che lui sarebbe arrivato e, ogni tanto, alzava la testa dal filato o dalla terra dove lavorava e fissava la strada.

Ma non c’era nessuno.

Ogni notte, ancora, si poneva mille domande e non trovava risposte. Ma non aveva dubbi.

Se fosse stato vivo, Archifeo sarebbe arrivato.

Altri pensieri, inoltre, la tormentavano. Che fine avevano fatto i suoi parenti? Sua madre? Sua sorella? Stavano bene? Che cosa sarebbe successo loro?

Ma anche di questo non poteva chiedere nulla, nessuno doveva sapere che lei veniva da Troia e non da Crusa, come aveva detto.

Intanto, le settimane passavano.

Leusi si era accorta di aspettare un figlio. Ne era stata felice. Era il figlio dell’amore suo e di Archifeo, l’avrebbe accolto, nutrito e curato perché era l’espressione di loro due insieme. Nulla di più bello poteva esistere al mondo.

Anche Ora aveva manifestato la sua gioia, solo si preoccupava perché lo sposo tanto atteso da Leusi non giungeva. Che cosa gli era successo? Forse qualche feroce greco che si aggirava per la campagna lo aveva trovato e ucciso? Avrebbero comunque allevato il bambino insieme, anche se ella era molto povera.

Infine, dopo il giusto tempo, il bimbo era nato. Leusi lo stringeva tra le braccia felice e triste insieme, cercando di scorgere una somiglianza…

“Archifeo, perché mi hai abbandonata? –sussurrava nelle lunghe notti solitarie e buie – Cosa ti è successo? Vieni almeno in sogno ad avvisarmi come mi hai promesso… Se andrò nell’Ade, ti verrò ad avvisare, mi avevi garantito… Se non sei venuto, allora, grazie agli Dei, sei ancora vivo… Io ti attenderò sempre, un giorno tu arriverai e troverai me e il tuo bambino…”

Il piccolo bimbo, che aveva chiamato Archifeo per non dimenticare mai, cresceva.

-Leusi, -le aveva detto un giorno Ora- ormai il bimbo è un po’ cresciuto, può bere il latte dei nostri animali. Qui, adesso che siamo in tre, non c’è abbastanza lavoro per mantenerci tutti, dovresti andare in un’altra città più vicina al mare. Ormai Troia non esiste più, tutto è stato distrutto, ma ci saranno altri luoghi dove la vita è più ricca e forse potresti trovare qualcosa di buono. Il tuo sposo, purtroppo, non giungerà più, lo avranno ucciso, devi pensare ad arrangiarti da sola. Ormai, tu sei come una figlia per me ma io sono vecchia, potrei morire e tu ti troveresti senza aiuto. Devi andare via, per costruire un futuro per te e tuo figlio. Per il momento, Archifeo potrebbe rimanere qui, con me. Poi, se trovi lavoro, se ci sarà un posto dove stare, noi ti seguiremo. –

Ora aveva ragione. Ormai non c’erano dubbi. La guerra era finita da tempo, Troia era stata bruciata, le sue rovine erano state ricoperte dalla terra, i Greci erano tornati alle loro case ed era inutile aspettare chi non sarebbe venuto più.

Doveva pensare ad Archifeo piccolo, doveva fare in modo che non gli mancasse nulla.

Così, li aveva lasciati al villaggio ed era scesa verso sud, rimanendo lontana dalle rovine di Troia per il terrore di incontrare ancora qualcuno che l’avesse potuta riconoscere.

A sera, era giunta in un ricco villaggio della costa. Là, giravano molti Greci che si occupavano solo di commercio. Aveva chiesto se ci fosse una famiglia che volesse darle lavoro: era giovane, forte, capace di tessere, pulire, badare agli animali, coltivare…

In fondo, sperava anche che qualcuno avrebbe potuto darle notizie di lui, del suo amore, forse, qualcuno sapeva se fosse stato ferito, o peggio, se fosse morto. Forse, qualcuno sapeva se fosse tornato a casa col padre…

No, questo non era possibile, lui non sarebbe tornato a casa volontariamente col padre, lui aveva scelto di vivere con lei, insieme, non poteva aver cambiato idea, lei non gli aveva chiesto nulla, era lui che aveva deciso tutto, non poteva averla tradita e non ci voleva pensare. Doveva aver fiducia in lui. Sarebbe arrivato, se non era morto, e tutto sarebbe stato chiaro, c’era qualche motivo che lei non poteva sapere. Non era stato, forse, così anche quando lui non era andato all’appuntamento nel bosco? C’era un motivo e così era senz’altro anche adesso, solo che lei non lo sapeva.

“È caro agli Dei chi sa piegare la fronte al loro volere.” diceva Archifeo; ed ella voleva fare così, accettare il volere degli Dei e del Fato.

Infine, aveva trovato lavoro proprio da un Greco. Zosi era un commerciante quasi sempre in viaggio per comprare prodotti da rivendere in molti altri luoghi, al di là del mare. Aveva una piccola casetta, dove viveva la moglie con quattro figli, e serviva loro una ragazza che l’aiutasse ad accudirli e le facesse anche un po’ di compagnia nei lunghi mesi in cui il consorte era lontano.

Era la sistemazione più adatta per Leusi che, di buona voglia, si era subito messa a pulire, a lavare, a preparare cibi, a far giocare i bambini. Sperava così di farsi apprezzare e di poter chiedere di far venire lì il suo bambino e Ora.

Tutto sembrava andare in questo senso.

La moglie di Zosi, Antedoca, era entusiasta di Leusi. Finalmente, poteva chiacchierare con qualcuno, farsi accompagnare quando andava a passeggiare verso il mare per cercare di scorgere, magari in lontananza, la barca del marito che arrivava… Finalmente, c’era qualcuno che sapeva far tacere i suoi quattro maschiacci raccontando loro delle bellissime storie di dei ed eroi…

-Ettore aveva sposato Andromaca, una donna bellissima e dal loro amore era nato un bel bambino, Astianatte. Ettore era il sostegno del padre e di tutta la città: a lui si rivolgeva chi aveva bisogno, in lui confidava chi cercava amicizia e coraggio. Il

piccolo Astianatte aveva paura delle armi del grande Ettore: quando lo vedeva avvicinarsi con il cimiero lucente al sole che mandava forti bagliori, si stringeva ancora di più al morbido corpo della madre. Ma Ettore, che era un padre affettuoso, si toglieva il copricapo e si mostrava in tutta la sua dolcezza…

-Oh, – esclamavano i bambini –ma Ettore non insegnava ad Astianatte a combattere?

-Era troppo presto. –rispondeva Leusi- Poi Ettore morì, difendendo la sua città. E altri eroi, Greci come voi, vinsero la guerra. Il grande Achille, che aveva un cimiero ancora più spaventoso di quello di Ettore, lo uccise per vendicare la morte del suo amico più caro, Patroclo.

-Credi che anche a noi nostro padre insegnerà a combattere?

-Vostro padre va lontano lontano sul mare, cerca altre genti, altre città, per portare grano, frutta, olio, anfore e altri oggetti… Il suo lavoro è molto utile a tutti, non ha tempo per combattere e forse voi farete ciò che fa lui, solcherete i mari, alzerete le vele al vento per commerciare, conoscerete luoghi meravigliosi e inesplorati…-

Mentre novellava, il nome e il volto di Archifeo erano sempre davanti a lei. Ma non osava chiederne. E poi che ne sapeva Antedoca? Ella non si era mai avvicinata ai campi di guerra, né conosceva alcun guerriero. Forse, suo marito poteva saperne qualcosa, ma era sempre in viaggio…

-C’era una volta il re del mondo sotterraneo. –Leusi continua a narrare -Egli era sempre triste anche se possedeva tutte le ricchezze del sottosuolo della Terra perché non aveva una sposa. Così, un giorno, egli rapì una bellissima fanciulla e la portò nel suo mondo. Là le offrì un frutto di melograno ed ella ne mangiò solo sei semi. Però, chi mangiava dei frutti del mondo sottoterra, era costretto a rimanervi per l’eternità! La madre, che era la Dea dell’agricoltura, davanti al rapimento della figlia, scatenò un inverno così freddo, rigido e lungo che i contadini non avevano più nulla da mangiare. Tutti erano disperati: che fare? Dopo tanta disperazione, infine, si giunse a un accordo: la fanciulla, che aveva mangiato solo sei semi, sarebbe rimasta nell’oltretomba solo per un numero di mesi uguale ai semi mangiati e per il resto del tempo sarebbe tornata con la madre. Da allora, la madre, per accoglierla, fa rifiorire la natura per sei mesi all’anno e negli altri dispensa il freddo, il gelo, la tempesta…-

Frattanto, i mesi passavano. Dopo aver acquistato completamente la fiducia di Antedoca, Leusi le aveva chiesto se potesse farsi raggiungere dal suo bambino e dalla persona che l’aveva tanto aiutata. Antedoca non aveva esitato un attimo, la famiglia si sarebbe ampliata e sarebbero stati ancora più felici.

Così, il piccolo Archifeo l’aveva raggiunta insieme con Ora.

E, dopo qualche mese ancora, la nave di Zosi era rientrata in porto. Egli era sbarcato con molti doni per tutti. La moglie lo aveva informato della presenza di Archifeo e di Ora.

Zosi non si era mostrato contrario, ma una sera aveva chiesto a Leusi: -Questo nome, Archifeo, devo averlo già sentito… Mi pare che ci fosse un guerriero dei nostri che si chiamasse così… Perché avete dato questo nome al bimbo? –

Leusi si era sentita mancare, forse avrebbe saputo qualcosa di lui. –Il nome lo scelse mio marito, -aveva mentito – piaceva tanto a lui, non so perché. – Poi, aveva aggiunto cercando di essere leggera e quasi indifferente: -Perché, c’era un guerriero con lo stesso nome? Ed era molto coraggioso? Forse lo sarà anche mio figlio. –

Il cuore, intanto, le martellava e rombava nel petto.

-Veramente, non riesco a ricordare nulla di lui. Non mi ricordo se si fosse distinto in battaglia, non mi ricordo neppure da quale città provenisse…

-Ormai sarà tornato in patria…

-Non so neppure questo, non so se sia stato ferito o no, non so proprio nulla di lui, se non il vago ricordo del nome.

-Pazienza, -aveva dovuto concludere Leusi mascherando la sua delusione- sarà mio figlio a distinguersi un giorno e a far ricordare a tutti il suo nome! –

Zosi aveva sorriso davanti a quello che riteneva l’orgoglio ingenuo di una madre.

Poi c’era stato quel sogno…

Forse, influenzata dai racconti che ella stessa faceva, una notte a Leusi era parso di trovarsi in un luogo buio e assai strano. Molte persone le erano intorno e procedevano verso un punto che non riusciva a distinguere. Nell’aria, si avvertivano delle correnti gelide che le mettevano i brividi nelle ossa e tutti gemevano e sospiravano. Gli occhi di quelle persone erano come spenti, non vi era più nessuna luce, sembravano muoversi come attirati da una forza sconosciuta. Così aveva capito: si trovava nel regno dell’al di là. Ma lei era viva o morta? Non lo sapeva, ma il suo primo pensiero era stato di cercare Archifeo. Se fosse stato un morto l’avrebbe trovato là. Così, aveva iniziato a guardarsi intorno, cercando il suo volto, i suoi occhi, le sue forti braccia… C’era davvero poca luce, le persone non si distinguevano bene, e tutti continuavano ad andare senza guardarsi attorno, solo lei guardava da tutte le parti. Si affiancava a qualcuno, poi lo lasciava precederla e si affiancava ad altri… Ma Archifeo non si vedeva, non era nessuno di loro. Allora, aveva pensato di chiedere notizie a quei passanti. Forse, l’avevano conosciuto, forse qualcuno aveva notizie… Ma nulla, nessuno ne sapeva nulla! L’angoscia le attanagliava il respiro mentre anch’ella, come un fantoccio, procedeva nella stessa direzione della folla di anime. Ciononostante, continuava a chiedere a chi l’affiancava nel percorso: nessuno lo aveva conosciuto, nessuno sapeva darle notizie. In fondo al sentiero che tutti stavano percorrendo per attraversare un fitto bosco, c’era una grande porta davanti alla quale stava un mostro. Era un cane dalle molte teste e la coda di serpente che latrava in modo orrido. La gente passava e non avrebbe più potuto tornare indietro di là. Il mostro, però, non aveva permesso che anche lei entrasse. Seppur terrorizzata, Leusi aveva allora osato addirittura chiedergli di Archifeo, se fosse già giunto là, nel regno dei defunti. -Non lo troverai qui. – era stata la fredda risposta. Indi, il cagnaccio aveva ripreso a latrare così acutamente da assordare. –Perché, non è ancora morto o io non posso entrare da quella porta e lui è dentro e quindi io non avrò la possibilità di vederlo? – aveva

insistito Leusi affannosamente, ma il mostro non l’aveva più degnata di alcun interesse.

A quel punto, ella si era svegliata. La sua fronte grondava sudore, le mani erano ghiacce, il cuore battezza all’impazzata: era stato un sogno e non vi era stata, neppure là, risposta alle sue domande! Era vivo Archifeo? Se lo era perché non era venuto da lei? Cosa gli era successo? Cosa lo tratteneva? Era morto? E allora perché non aveva almeno mantenuto la promessa di avvisarla in sogno, di andare a salutarla per l’ultima volta?

Il tempo passava, Archifeo cresceva, eppure Leusi continuava con gli occhi, avidamente, a guardarsi sempre intorno nella speranza di scorgerlo, lui, il suo eroe…

Suo figlio Archifeo aveva ormai due anni quando un contadino di un villaggio dell’interno si era presentato ad Antedoca per chiedere Leusi come sposa. Egli aveva incontrato la giovane quando era venuto al mercato e ne era rimasto affascinato. Antedoca aveva consigliato a Leusi di accettare perché Ascadone, così si chiamava il contadino, non era affatto povero e le avrebbe garantito un’esistenza modesta ma serena. Inoltre, Ascadone accettava Archifeo come figlio.

Antedoca era molto dispiaciuta di perdere Leusi che le faceva tanta compagnia ma sapeva che, magari, un giorno suo marito avrebbe potuto decidere di far tornare in Grecia tutta la famiglia e Leusi sarebbe forse rimasta sola e senza lavoro, oppure avrebbe dovuto trasferirsi in un paese straniero. Anche Ora vedeva l’offerta di Ascadone come la soluzione migliore per tutti.

Così, Leusi aveva accettato.

 

 

CONCLUSIONE I

Leusi esce dalla casa di Zosi. I suoi capelli intrecciati con freschi fiori di campo fluttuano al fresco venticello del mattino e lasciano sfuggire qua e là qualche morbida ciocca. Anche la sua veste ondeggia al suo passo leggero, quasi felice…

Tra poche ore avrà una nuova vita, una nuova casa, non sarà più sola nelle lunghe ore della notte o del freddo… Dimenticherà il suo dolore, la sua fatica, il tradimento.

Ascadone la terrà come sposa e accetterà anche suo figlio che la raggiungerà domani con la sua fedele amica Ora.

Appena imbocca il sentiero che conduce alla casa di Ascadone, scorge come un’ombra di lontano.

Il cuore le balza in petto: è lui!

Subito chiama suo figlio che è ancora all’interno della casa e che le allaccia le gambe, stupito di quel grande uomo vicino a sua madre.

In un attimo è tra le sue braccia, il passato non ha più tempestose domande.

È giunto, finalmente, non c’è bisogno di tante parole, tutto è chiaro.

Era ferito, riportato in Grecia incosciente, ha sofferto lungo tempo per riprendersi dalle ferite. Appena libero, si è imbarcato su di una nave, è tornato sulla terra di Troia, ha cercato lei ma non c’era più.

Ha fatto fatica a trovarla ma, infine, c’è riuscito…

Saranno insieme per sempre, loro tre e gli altri figli che gli Dei manderanno loro.

Invecchieranno in pace, lontano da guerre e tormenti.

Saranno insieme per sempre, loro tre e gli altri figli che gli Dei manderanno loro.

 

CONCLUSIONE II

Leusi esce dalla casa di Zosi. La nebbia avvolge i campi che stanno per essere seminati, tutto è colorato all’intorno, così come il suo vestito rosso che svolazza al ritmo del suo passo.

Si avvia verso la sua nuova abitazione: tra poche ore avrà una nuova vita, non sarà più sola nelle lunghe ore della notte o del freddo… Dimenticherà il suo dolore, la sua fatica, il tradimento. Ascadone la terrà come sposa e accetterà anche suo figlio che la raggiungerà domani con la sua fedele amica Ora.

Tutti i convitati l’accolgono con affetto e l’abbracciano.

Siedono al modesto banchetto nuziale.

Leusi sorride, anche se negli occhi c’è sempre un’ombra di tristezza ed ella sembra spingere lo sguardo lontano, al di là della porta, a cercare ancora qualcosa o qualcuno…

Ascadone la comprende, ella gli ha confidato tutto. Sa che dovrà lottare con quel ricordo ma non ha paura, ama Leusi e desidera solo farla felice. Poi, avranno altri figli loro e lei sarà indaffarata, non avrà tempo di pensare a lui, all’eroe che le aveva promesso una vita d’amore, l’aveva spinta lontano dai suoi e abbandonata da sola.

Infine, il tempo passerà, il corpo perderà la sua bellezza e anche ogni tormento della gioventù sarà sedato.

Il banchetto è finito, tutti tornano alle loro case e sono soli loro due, ormai, nel chiuso della stanza…

Ascadone le si avvicina dolcemente e Leusi si abbandona a lui perché è ciò che deve fare.

“È caro agli Dei chi sa piegare la fronte al loro volere.” diceva Archifeo.

 

 

Leusi esce dalla casa di Zosi…

Quale sarà, dunque, la giusta conclusione?

Forse, sta scritta nell’anima di ciascuno di noi.

 

 

Renata Rusca Zargar

 

Renata Rusca Zargar è autrice del libro per bambini “Kara e il labirinto”

Kara è una bambina di Creta. La sua storia si intreccia con il magnifico palazzo di Cnosso, il suo tempio e il mistero del Labirinto e del Minotauro.

Dal testo: “-Come ti permetti di indossare una veste tanto preziosa? Chi sei? Sei una ladra? Perché sei qui?” – la voce era infuriata e sferzante. Una signora alta e altera era scivolata a piedi scalzi nella stanza.

Kara si era girata spaventata senza riuscire ad articolare una risposta.

“Il Minotauro aveva afferrato Teseo come per divorarlo e, intanto, soffiava fuoco dalle narici. Si sentiva puzza di carne bruciata. Teseo era molto forte ma la bestia era alta e possente: con gli zoccoli e le corna lo colpiva da tutte le parti.”

Adatto a tutti, a partire da 9 anni.

Disponibile sulla piattaforma Amazon, sia nel formato ebook (euro 2,99) che cartaceo (euro 4,00).

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Chi è Renata Rusca Zargar

Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.

L’ultimo nato è, però, una raccolta di lavori delle signore anziane che hanno seguito i suoi corsi gratuiti di Lettura e Scrittura Creativa: “Leggere e scrivere …per divertimento, raccolta di racconti, poesie, disegni, calligrammi dei Corsi di Lettura e Scrittura Creativa”, pubblicato da Amazon.

Si occupa della Biblioteca di volontariato Libromondo e, prima del Covid, portava i libri in prestito nelle Scuole. Cura un blog di cultura, ecologia e società Senzafine: Arte, Cultura e Società di Renata Rusca Zargar  link

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