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Antonio Galento il pugile più indisciplinato della storia

La dieta del pugile Dominick Antony “Tony” Galento era molto semplice: mangiava e beveva quello che gli andava, quanto ne voleva, quando aveva fame. Galento, però, aveva sempre fame!

Questa condotta, discutibile per un atleta professionista, gli permise di contare su un volatile peso-forma che andava dai 106 ai 112 chili, mal distribuiti su un metro e settantacinque scarso (alcune fonti lo fermano a soli 172 centimetri); fu definito da un giornalista specializzato come un “fusto di birra in movimento”.

Era soprannominato Two Ton perché un giorno arrivò in ritardo ad un match, dicendo che prima avesse avuto “due tonnellate” di ghiaccio da scaricare (gli americani con tonnellata intendono duemila libbre ossia 907 chili, nda).

Ignorante, gozzovigliatore e litigioso, riuscì ad arrivare ferito, la sera del match, dopo aver discusso ed esser venuto alle mani col fratello.

Prima di un altro incontro si fece trascinare in una scommessa tra amici per vincere la quale mangiò cinquantadue hot-dog.

Malgrado queste sue pittoresche sfaccettature, Galento era un pugile pericoloso, dotato di un corto gancio potente e di ossa pesanti, che soprattutto contava su una scorrettezza che presto divenne proverbiale: l’uso di testa, gomiti e pollici da parte di Tony, potrebbe far apparire il Mike Tyson del morso a Holyfield come un educato giovane lord.

Antonio Galento

Tony era proprietario di un bar, il Nut Club di Orange, New Jersey, nel quale fungeva da chef, maître di sala e sommelier, che doveva evidentemente contare su una clientela priva di maniacali pretese in fatto di igiene e qualità del servizio.

Una volta abbassate le serrande dell’esercizio, nel cuore della notte, Galento cominciava ad allenarsi.

Non correva, ma faceva tanto sacco e riprese di sparring con alcuni disgraziati che dovevano svegliarsi alle due del mattino.

Nella serata in cui avrebbe disputato l’incontro più importante della sua vita, ossia la sfida a Joe Louis per il mondiale dei massimi, davanti ai 40.000 spettatori in attesa allo Yankee Stadium, trovò il tempo di passare al suo club per bersi due birre da litro e mangiarsi degli spaghetti con polpette.

Giunto finalmente sul ring, con l’alito pestilenziale che lo contraddistingueva, disse a Louis che prima lo avrebbe preso a pedate nel deretano e poi sarebbe andato dalla “signora Louis” a farle vedere “un po’ di carne bianca”.

Louis ammise, a fine carriera, che Galento fosse l’unico avversario da lui realmente odiato sul ring.

Cominciato e giunto alla seconda ripresa il match, il mondo della boxe si zittì, esterrefatto, per tre secondi esatti, ossia per il tempo durante il quale Louis rimase al tappeto dopo esser stato atterrato dal gancio sinistro di Galento.

Il Brown Bomber, dato favorito 8-1 dai bookmaker, si rialzò e chiuse i conti alla quarta ripresa, forte della propria immensa classe.

L’impresa d’aver atterrato Joe Louis, ad ogni modo, fece passare Galento alla storia.

Il poco amore di Tony per l’igiene personale stordiva gli avversari, disgustati dal fetore che emanava: il grande Max Baer disse che gli era sembrato di combattere “in una vasca di liquore contro un tonno marcio”.

Ritiratosi con un record di 80 vittorie a fronte di 26 sconfitte, finì col recitare in alcuni ruoli cinematografici, si diede al wrestling e poi, sorprendentemente, ma nemmeno troppo, decise di combattere contro avversari non convenzionali: un canguro, un orso di 250 chili ed infine un’enorme piovra di un circo del New Jersey.

A sessantanove anni, rimasto solo ed in pessime condizioni economiche, morì per le complicazioni del diabete, dopo aver subito l’amputazione di entrambe le gambe.

Marco Nicolini

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