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1990 – 2015: da corpo-presenza a corpo-oggetto

Classe ’84, guardo Fashion Tv, passa la nuova collezione FW 15-16 di Chanel.

Cosa avrà creato Lagerfeld di nuovo? Location da togliere il fiato,geniale, numerose presenze, scorrono abiti preziosi, i colori non sono sfacciati ma i contrasti sono forti, al capospalla grande riguardo.

La mia attenzione è rapita dagli outfit.

Le modelle? Forse si staranno ancora preparando.

Il mio occhio le cerca ma non le “vede”.

Ondeggiano con grande classe e austerità presenze non presenze con indosso capolavori sartoriali. Il focus è qui. Il resto non conta.

Da questo spaccato vorrei riflettere su come e quanto siano cambiati l’immagine e il rapporto tra abito e corpo in passerella dagli anni ‘90 ad oggi.
20-30 anni fà non è un mistero che il corpo fosse al centro dell’ attenzione e nel fashion system ogni passerella era per lo stilista un’ occasione per mostrare il proprio mondo e la propria creatività ed avanguardia.

Nella cultura occidentale, in quegli anni, l’abito si adattava al corpo.

Stilisti di stampo Occidentale si sbizzarrivano a creare “garment” che fossero alla moda e confortevoli ed avevano il compito di esaltare ciò che racchiudevano.

Nella cultura Giapponese, ad esempio, accadeva il contrario: l’abito era struttura, era oversize, nascondeva il corpo, ieri come oggi.

Basta soffermarsi un istante a guardare un defilè di Yamamoto o di Rei Kawakubo per accorgersi che regna qualcosa di “insolito”.

Siamo di fronte a volumi importanti, che giocano con i più interessanti e ricercati tessuti, che nascondono forme e che spesso scombinano identità sessuali. Design, sovrastrutture.

sfilata

Con il passare del tempo la sfilata divenne sempre più opportunità per fare performances indimenticabili: nasceva “lo show”.
Protagonisti erano certamente i capi, ma anche i corpi, le identità del fashion system: le cosidette  “top model”.

Loro, Icone indiscusse di stile e di carattere, erano DONNE di sostanza che davano una materia e una personalità a ciò che indossavano. Erano considerate modelli da imitare, opinion leader,  avevano forme sinuose e tratti caratteristici e identificativi.

Contribuivano a dare “corpo” all’abito.

Le forme erano morbide, le curve vertiginose, la personalità forte, talvolta più “rumorosa” dell’abito stesso.

Ogni stilista scelse la preferita e in alcuni casi si crearono legami che contribuirono a rendere solide e glam le loro immagini.

Chi non ricorda il neo sul viso di Cindy Crawford, Elle McPherson soprannominata “the body”, Claudia Schiffer con la sua aria da ragazzina timida, la pantera Naomi Campbell?

Per essere considerata “Top” la ragazza doveva avere qualcosa in più di un bel viso: doveva possedere il “fattore X”. Karl Lagerfeld della sua musa Claudia Schiffer diceva: “Ha 10.000 espressioni diverse e un vero feeling con la macchina fotografica”.

Il binomio Stilista-Top model era fortissimo perché era fondamentale il carattere che esprimeva.

modelle

Poi, le esigenze mutarono e l’abito divenne protagonista su un corpo che sempre più dovette adattarsi ad esso.
Oggi il sistema è cambiato, se in meglio o in peggio ci rimane da sapere, forse il tempo saprà risponderci.

Il canone di bellezza in passerella è mutato, si vedono sfilare manichini, spesso dai tratti “nascosti e celati”.

Si arriva in alcune collezioni a coprire il volto della modella.

Più anonimi risultano, più il capo risalta e l’obiettivo è raggiunto; Gli abiti, talvolta, poco portabili.

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Leitmotiv: sconvolgere, stupire, far parlare di sé.

Già, la passerella è anche questo.

Ma su questi corpi cosi spogli,esili, su questi sguardi cosi “vuoti” dai make up “invisibili”, pallidi, i capi veicolano quel “carattere” che esprimevano gli anni passati?

Certamente la riflessione riguarda non solo la fisicità e la modella, ma direi tutto il contesto, la cultura,e il fashion system. Donne belle sono presenti oggi come ieri, ma non è questo il punto.

Io personalmente preferivo il bizzarro mondo della moda anni fà.

Avrei potuto dire: “Mi piace l’abito che indossa Cindy, Claudia, Linda, Naomi o la McPherson..” e senz’altro lo avrei ricordato a lungo.

Ma quindi, quale messaggio è meglio riuscito?

L’unica certezza: l’abito è ciò a cui ruota attorno tutta la messa in scena.

L’importante è che se ne parli giusto?

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