sabato , Aprile 27 2024

“Un amore” di Renata Rusca Zargar

Un amore

di Renata Rusca Zargar

Malini apre la porta che dà sul giardino. È sera inoltrata e l’intenso profumo dei fiori le penetra nelle narici. Intorno, il buio ricopre i vialetti ben curati e il prato verde, tagliato all’inglese. La porta si richiude alle sue spalle e con essa scompare anche il breve fascio di luce che rischiarava la veranda. Malini avanza sicura e, oltrepassato il cancello, si spinge nella notte, verso il fiume. Il velo bianco che le ricopre i capelli neri ondeggia leggermente all’aria e raccoglie i raggi della luna che spicca tonda nel cielo. Il terreno scende dolcemente ed ella ricorda che, da piccola, correva all’impazzata su quel pendio con gli altri bambini del villaggio e poi andavano, tutti insieme, al fiume a bagnarsi. Allora ridevano, scherzavano, ancora non avevano compreso che cosa fosse la vita. Ma, come un tempo, Malini vuole di nuovo abbandonarsi completamente alla linfa dell’esistenza e, al ridosso di un piccolo gruppo di alberi, si sdraia sul terreno. La terra umida le rinfresca le membra, vicino sente lo sciacquio dell’acqua che scorre tranquillamente sulle pietre levigate. I suoi occhi sono chiusi.

Lentamente e delicatamente, una mano estranea prende ad accarezzarla sul braccio, poi sul ventre e sul seno. Indi, le solleva il sari di seta e le toglie le mutandine: l’uomo giace con passione e amore su di lei.

Due ore dopo, Malini rientra in casa. I suoi capelli lunghi si sono sciolti, morbidi, tra le mani del suo amante e ancora risente sul corpo le carezze che le hanno bruciato il sangue. Ella trascorre il resto della notte sveglia, a rivivere quei momenti.

La sera successiva, ultimate le faccende domestiche e atteso che tutti siano finalmente a dormire nelle loro stanze, riapre la porta ed esce nel giardino. I suoi piedi, inanellati e calzati da sandalini decorati in oro, la conducono ancora verso il fiume. Si siede ansante, con la bocca carnosa leggermente aperta, appoggiate le spalle a un albero, la testa un po’ all’indietro, chiude gli occhi e attende.

E l’amore ritorna, forte, prepotente, e le sue braccia l’accarezzano con un sentimento che mai prima aveva provato. Infine, Malini apre gli occhi e scorge, per la prima volta, il viso di chi, nella notte, ha sedato la sua sete infinita…

Eppure, ella sapeva bene chi fosse, anche senza averlo guardato né avergli parlato. Il suo cuore non le aveva mentito!

-Vieni, – egli le diceva quando erano bambini –andiamo a pescare al fiume, ci sono dei pesci grandi quanto il mio braccio!

-Va bene, vengo, ma non mi importa dei pesci, voglio raccogliere i sassolini bianchi per farmi una bella collana…-

Insieme, mano nella mano, perlustravano la campagna circostante ed era lui a proteggerla se un serpente scivolava lento tra l’erba mettendole paura. Gopal… Erano stati anni di spensieratezza e gioia.

Uscire di nascosto la sera, ormai, era diventata un’abitudine: egli l’aspettava tra i cespugli e di nuovo potevano stringersi le mani, parlare, riempire il loro cuore di quell’amore che aveva atteso anni per esplodere.

Di giorno, invece, l’esistenza era sempre la stessa: la cognata la comandava a bacchetta e le diceva tutto ciò che dovesse fare e, persino, ciò che dovesse dire, agli ospiti che praticavano la casa o, addirittura, ai familiari… Da quando suo marito era morto, due anni prima, non c’era più nessuno a proteggerla ed ella si sentiva sempre più estranea in quella casa.

“Ma ora” ella pensava “ho il mio segreto, anch’io ho qualcosa che nessuno può portarmi via.” E sorrideva tra sé, ripensando agli abbracci, ai sussurri, alla dolcezza degli occhi di lui.

Infine, però, le sue passeggiate serali non erano rimaste del tutto inosservate. Sua cognata Ruini, moglie di Balù, il fratello più anziano di suo marito, aveva notato che ella aveva un volto più disteso e roseo e sembrava sempre un po’ distratta. Così, aveva preso a esaminarla con attenzione. Ma non aveva trovato niente di sospetto. Malini si comportava nello stesso modo: non parlava con più familiarità con gli ospiti, non usciva quasi mai di casa, né chiedeva di farlo più spesso. “Tutto si dimentica!” aveva concluso Ruini “Ormai, il marito è morto da parecchio tempo ed ella si sentirà, forse, più sollevata perché l’avrà già dimenticato. Anche lei, come me, non ha avuto figli che rimangano a far ricordare le sembianze di chi non c’è più… E per noi, in questa casa, adesso è solo un’inutile bocca da sfamare!”

Malini captava questi pensieri: sapeva bene che le vedove sono un peso per la famiglia e, se non hanno figli che le possano accudire, rimangono, come oggetti abbandonati, ad attendere prima la vecchiaia e poi la morte. Purtroppo, ella non aveva generato ed era stata accusata dalla suocera, quando era ancora viva, di essere una buona a nulla, di non saper dare il sospirato erede al marito, un ricco proprietario terriero, dell’onorabile casta dei vaisya. Ma, ormai, di tutte queste angosce non si preoccupava più. Viveva in un suo mondo, dove non esiste tempo né dolore.

Una sera, però, Ruini, quando tutti erano già a letto, era scesa a piedi scalzi in cucina alla ricerca di qualcosa che le facesse passare il mal di stomaco. Per non disturbare i familiari che dormivano, non aveva acceso la luce. Allora, aveva scorto un’ombra scura aprire la porta che dava sul giardino ed allontanarsi svelta nella notte.

La luna era offuscata dalle nuvole che preparavano le piogge dei monsoni e l’ombra scendeva svelta il pendio con un dupata giallo che veleggiava leggero intorno ai suoi lunghi capelli sciolti. Era Malini! “Dove va, a quest’ora?” si domandava la donna “È pericoloso uscire di notte, inoltrarsi nella campagna!” Ma non l’aveva chiamata, né si era fatta scorgere. L’aveva seguita. Quasi vicino al fiume, un’altra ombra dal lunghi bianco l’aveva avviluppata: i due si erano uniti in un abbraccio travolgente come quelli che si vedono nei film, poi, avevano proseguito mano nella mano, bisbigliando e ridendo felici come due bambini.

Tenendosi dietro agli alberi, ella si era avvicinata a loro ed aveva potuto distinguere chi fosse l’uomo. Lo conosceva bene, Gopal, l’intoccabile, colui che non poteva neppure avvicinarsi alla loro casa per non sporcarla, che non poteva sfiorare ciò che loro usavano! Essi erano discendenti di proprietari terrieri da molte generazioni, la loro famiglia stimata manteneva intatto il suo prestigio nel villaggio… E quella svergognata stava per distruggere il loro buon nome! Chi non accetta le divisioni di casta –tutti lo sapevano- non potrà procedere nella catena delle incarnazioni, sarà costretto a reincarnarsi in un essere inferiore, forse, addirittura in un animale! Inoltre, se la storia fosse diventata pubblica, nessuno dei nipoti, figli degli altri fratelli di suo marito, avrebbe potuto più avere una moglie o un marito onorevoli, degni della loro casta!

In silenzio, Ruini era tornata a casa. Il giorno seguente, e quelli successivi, non aveva detto nulla. Forse, il suo tono, quando comandava a Malini qualche lavoro domestico, era più acre del solito, ma non tanto da farci caso. E Malini, presa dalla sua passione, non vi aveva badato. Inoltre, da qualche giorno non si sentiva bene, aveva sempre un po’ di nausea, anzi, una mattina aveva persino vomitato.

L’estate stava per finire, ma il giardino era ancora zeppo di fiori dai mille colori. Era uno spettacolo ammaliante. Così pure il “loro pendio” era tutto verde, fertile di cespugli, arbusti, foglioline profumate. Là, nell’erba, mentre il cielo blu appariva e scompariva tra i rami scossi da una leggera brezza, ella dimenticava tutto, pianta tra le piante, foglia tra le foglie, anima nell’eterno divenire dell’universo. Era con lui, il suo tutto, l’unica ragione di vita, il diretto filo che la univa al Creatore.

E ogni sera si affrettava a raggiungerlo.

Quella volta, però, era un po’ in ritardo. I suoi cognati le avevano lasciato una grande quantità di lettere da battere a macchina (incarico sempre affidato a lei che aveva avuto una discreta istruzione superiore) ed ella voleva finirle per sentirsi più libera. Così, quando, di corsa, aveva disceso il prato nero per l’oscurità, non l’aveva trovato ad attenderla come al solito. “Forse, stanco di aspettare, sarà andato a fare un giro.” aveva ragionato e si era seduta appoggiata al solito albero. Indossava uno splendido sari rosso con ricami in oro che spiccavano anche sul velo, ugualmente rosso ma trasparente. Sapeva che gli sarebbe piaciuto.

Forse, si era appisolata, perché stava già per spuntare il primo chiarore dell’alba e un brivido di freddo le scuoteva le membra. Ma egli non era ancora arrivato. Un po’ preoccupata, si era alzata per rientrare a casa e, girando lo sguardo all’intorno, aveva notato qualcosa di bianco spuntare da un cespuglio. Si era avvicinata. Gopal giaceva con la faccia in giù, la bocca nella terra scura e un coltello piantato nella schiena! Era morto!

Malini era tornata a casa tremando e si era messa a letto. Quel giorno non era scesa nel soggiorno, come faceva di solito, per i pasti e la cognata Ruini era venuta in camera a portarle il pranzo.

–Forse hai un po’ di influenza. – le aveva detto premurosa – ti ho portato un po’ di brodo, ti farà bene. –

Il suo stomaco non avrebbe potuto ingerire neppure una goccia d’acqua, per cui ella aveva gettato il brodo dalla finestra che dava sul prato del lato posteriore della casa, perché non si accorgessero di nulla, e aveva detto a tutti di avere la febbre.

Il giorno dopo, la cognata era salita nuovamente nella sua camera: -Sai, – le aveva raccontato con la voce bassa che usano le donne per confidarsi qualche pettegolezzo -nel nostro piccolo paese ne succedono proprio di tutti i colori! Un certo Gopal, figlio di un bracciante agricolo che, per anni, ha lavorato sulle terre di tuo suocero, è stato trovato morto vicino al fiume, con un coltello nella schiena.  Sicuramente tu non lo ricordi perché, anche se eravate bambini nello stesso periodo, egli è un intoccabile e quindi tu l’avrai sempre evitato, come fanno tutte le persone delle caste superiori. Chissà, avrà fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare, si sarà avvicinato a chi non avrebbe dovuto avvicinare… Era un intoccabile e doveva rispettare il suo ruolo. È la giusta punizione, tutti lo dicono, oggi, al villaggio.- Con un sorriso sulle labbra, Ruini l’aveva salutata ed era tornata al piano di sotto, in soggiorno.

“Ecco, -ora un lampo le squarciava la mente- in qualche modo Ruini sapeva. Tutto era tornato come allora…”

Infatti, un giorno lontano, mentre era al fiume con Gopal, intenta a cercare nella ghiaia qualche pietrolina colorata, suo fratello l’aveva scorta. Immediatamente, l’aveva trascinata a casa dove il padre l’aveva castigata rinchiudendola per qualche mese nella sua camera. Là le venivano serviti i pasti ed ella non poteva uscire neppure per andare in bagno.

–Possibile che tu abbia tradito la mia fiducia in questo modo!- aveva affermato seccamente il padre – Nessun uomo per bene ti vorrà più, se si saprà che hai frequentato un intoccabile! Come ti è saltato in mente? Non ricordi che noi non possiamo neppure toccare ciò che è stato toccato da loro? Ora sarai in castigo fino a che non avrai compreso il tuo errore. Verrà un guru a insegnarti i sacri testi Veda, in modo che tu sappia ciò che è giusto e non debba mai più sbagliare. Non andrai più a scuola insieme agli altri, ma svolgerai le tue lezioni qui, a casa, sotto la guida di un buon maestro. Poi, cercheremo una famiglia in cui sistemarti, prima che tu distrugga il nostro prestigio. E ricordati di non parlare mai con alcuno di questo increscioso incidente! –

Un anno dopo, l’avevano fidanzata con quello che sarebbe stato suo marito e non era più uscita di casa se non al momento del matrimonio, quattro anni dopo il fidanzamento, per trasferirsi nell’abitazione di lui.

Aveva quattordici anni. Altro che harijan, amati da Dio, come chiamava Gandhi gli intoccabili! Nonostante la Costituzione del 1947 avesse soppresso le caste, esse rimanevano spesso tali nella pratica.

Era vero ciò che le aveva raccontato Gopal in una notte in cui ella giaceva tra le sue braccia forti e il silenzio del creato sottolineava le sue dure parole: -La nozione di casta apparve nel clan degli Arii (bianchi) che avevano conquistato la pianura indo-gangetica. Le caste, varna, in sanscrito, che significa, appunto, colore, sono state rifiutate da tutti i riformatori, tra cui anche Budda, eppure hanno attraversato i millenni. Oggi non esistono più per legge, anzi, sono stati previsti dal Governo un certo numero di posti di lavoro riservati a beneficio degli intoccabili, specialmente nelle carriere mediche e paramediche, proprio per eliminare le distanze tra gli uni e gli altri. Eppure, dopo aver concluso gli studi all’Università, il posto in ospedale a me riservato, non mi è stato dato.  Le manifestazioni contro queste evidenti ingiustizie hanno insanguinato lo Stato, ci sono stati centinaia di morti, migliaia di feriti… Io stesso sono stato arrestato e quindi ho deciso di tornare qui, non come medico ma ancora come contadino. In India i cambiamenti sono molto più lenti dello scorrere delle vite! –

Dopo qualche giorno, Malini aveva dovuto alzarsi dal letto e riprendere le solite faccende. Ruini non sembrava diversa dal solito con lei, per cui spesso ella dubitava che avesse saputo veramente della sua relazione e concludeva che era solo la paura a scatenarle l’immaginazione.

Ella continuava, però, a non sentirsi bene, qualche volta vomitava la mattina, aveva dei capogiri. Un pomeriggio di sole, Ruini, gentilmente, l’aveva accompagnata dal medico e, durante la visita, era rimasta ad aspettarla pazientemente nella sala d’attesa.

-Signora, – le aveva detto il medico dopo aver ascoltato la descrizione dei sintomi e averla visitata accuratamente – lei attende un bambino. Non ci aveva pensato?

-Un bambino?!- aveva ripetuto Malini e il sangue le era affluito alla testa. -Ma io non so fare bambini. Mia suocera me lo diceva sempre!

-Da quanto tempo non ha le mestruazioni?

-Mah, non ricordo, adesso che ci penso, potrebbero essere due mesi, forse tre… Credevo fosse per l’età, ormai non sono più giovanissima, e non ci ho fatto caso…

-No, lei non ha l’età per la menopausa. Mancano ancora diversi anni per quello. –

Il medico la conosceva bene, curava tutti i membri della famiglia. Sapeva anche che suo marito era deceduto due anni prima. Anzi, era stato proprio lui a costatarne la morte!

-Dottore, lei è al corrente che mio marito non c’è più. La prego, non dica nulla a nessuno, troverò una soluzione…

-Stai tranquilla bellezza. Non dirò niente a nessuno. – aveva risposto l’uomo cambiando improvvisamente  tono di voce e atteggiamento. Intanto le sue mani frugavano avidamente sotto il sari di Malini e le abbassavano le mutandine: -Stai buona. Vedrai, non succederà niente. Non vuoi fare uno scandalo, vero? –

Malini era rimasta immobile, come di pietra. Il terrore, misto a disgusto, la paralizzava mentre il medico, visibilmente eccitato, la toccava dappertutto, ansimando. Il suo alito puzzava di cipolla. La mente di Malini indagava freneticamente se potesse fare qualcosa, se potesse ribellarsi e come.

Ma non poteva fare nulla. Aspettava un bambino da un uomo che non era suo marito, un intoccabile che, per giunta, era stato ucciso! Per questo, con gli occhi chiusi, pregava solo che tutto quell’orrore che contaminava il suo corpo finisse presto. E infine, finalmente, egli si era abbattuto esausto su di lei.

–Sei bellissima. Torna presto. Il tuo corpo è caldo come una profonda tana dove entrare a ristorarsi. Ti curerò volentieri. Non rimpiangerai – una risatina aveva accompagnato quelle parole – chi ti ha messo incinta! –

Malini si era ripulita e ricomposta. Il medico l’aveva riaccompagnata nella sala d’aspetto e a Ruini, che s’informava della salute della cognata, aveva spiegato:

-Trovo la signora un po’ affaticata, ma nulla d’importante. Le prescrivo queste pastiglie che le ridaranno vigore. Gliene dia una al mattino prima di colazione e una prima di pranzo e cena. Ma me la riporti presto, però, che devo ricontrollarla e vedere se la cura fa effetto. –

A casa, i pensieri impazziti e le emozioni giostravano nella testa di Malini: “Un bambino! E tu Gopal non ci sarai a vederlo. Non ero, dunque, io l’incapace, ma mio marito! Cosa farò adesso? Tra qualche tempo si vedrà la pancia e che ne sarà di me? Sarà lo scandalo, mi scacceranno di casa, diventerò una mendicante, forse mi uccideranno… e con me nostro figlio! Il medico, quello schifoso maiale, ha subito approfittato della situazione… Come posso sopportarlo? E fino a quando tacerà? Cosa potrei fare? Un bambino tuo, Gopal, il figlio del nostro amore! Egli continuerà la tua vita.”

Varie e improbabili soluzioni affaccendavano la sua mente ma, poi, nel giro di qualche giorno, aveva messo a punto un suo piano: sarebbe rimasta in quella casa finché la sua condizione avesse potuto essere nascosta sotto gli abiti. Intanto avrebbe messo via un po’ di denaro, sottraendolo, poco per volta, alla cassa comune. Poi, sarebbe andata via e si sarebbe recata nella città dove si trovava la ditta alla quale la famiglia inviava i prodotti agricoli della loro terra per essere inscatolati e alla quale ella scriveva, per conto dei cognati, le lettere commerciali. Là avrebbe trovato un lavoro e si sarebbe sistemata. Avrebbe cresciuto il figlio di Gopal, Gopal junior, dalla pelle un po’ scura come quella dei membri delle caste inferiori, ed egli sarebbe vissuto ancora.

Nonostante il tremendo dolore per la perdita dell’unico amore della sua vita e dell’orrida relazione con il medico, pensando al piccolo Gopal, Malini riusciva a sopravvivere.

In famiglia, tutto sembrava tranquillo ed ella era ormai sicura che nessuno avesse intuito il suo segreto. Anzi, Ruini era abbastanza gentile, le raccomandava sempre di prendere la medicina per riprendersi al più presto e, ignara del comportamento del dottore, l’accompagnava spesso da lui.  Egli, infatti, le praticava delle iniezioni di ferro per via endovenosa e, nel frattempo, approfittava per fare i suoi comodi sul corpo di Malini.

–Sei sempre più bella! – le diceva mentre la penetrava –Il tuo seno è inturgidito, mi fai impazzire. – e si agitava su e giù con foga.

Malini sopportava con pazienza. Chiudeva gli occhi e si concentrava sulle lettere da scrivere, le incombenze da sbrigare, i libri che aveva letto negli ultimi tempi…

Ma che altro avrebbe potuto fare? Ella sapeva, anche se non ne aveva mai viste, che esistevano delle donne, le prostitute, che sopravvivevano accettando che gli uomini facessero i propri comodi con il loro corpo. “Se esse, che sono donne come me, possono subire uomini spesso ripugnanti che si dimenano su di loro, perché non io dovrei farcela? Tutto ciò è per salvare mio figlio. Ormai, manca poco tempo alla partenza e quest’orribile tortura sarà finita! Gopal, perdonami, il mio cuore, come vedi, è solo tuo. Me ne andrò, dirò che sono vedova e che mio marito è morto da poche settimane. Nessuno dubiterà.”

Qualche volta, Ruini si rammaricava di non poterla aiutare: -Mi dispiace di non poterti sostituire nel disbrigo della corrispondenza in modo che tu possa riposarti almeno qualche giorno. Ma, come tu sai, non so leggere né scrivere. Mio padre non ha ritenuto utile farmi imparare.

-Non ti preoccupare – rispondeva lei – non è un lavoro faticoso ma piacevole. E mi mette in contatto con altri paesi e città, è un po’ come aprire una finestra sul mondo. –

Intanto il bimbo cresceva, ella lo avvertiva. Iniziava anche a muoversi dentro il suo ventre, a scalciare, ad allungare le braccine come a comunicare con lei, darle coraggio, farle sentire la sua presenza. A sera, dopo cena, si sdraiava sul letto nella sua camera, chiudeva gli occhi, si accarezzava il ventre e Gopal era lì, accanto a lei, e l’amava come qualche mese prima. Il suo respiro si faceva veloce e il bimbo si agitava felice.

Una notte, però, che sembrava come tutte le altre, aveva iniziato a provare dei tremendi dolori dappertutto nel corpo. Spaventata, aveva tentato di chiamare i parenti, ma la voce le usciva assai debolmente dalla gola e non ce la faceva neppure ad alzarsi dal letto. Solo Ruini, dunque, in attesa, l’aveva sentita. Ed era giunta, ma non certo in suo aiuto. L’osservava, come si osserva un ributtante insetto che si contorce mentre sta concludendo la sua vita.

Nella mente di Malini, infine, era tutto chiaro e, mentre la cognata se ne andava in silenzio, rinchiudendo lentamente la porta senza far rumore, ella aveva compreso che la vita del suo piccolo si era già spenta nel suo ventre. Indi, prostrata dal cocktail di veleni per uso agricolo che le era stato somministrato, misto alle verdure piccanti che condivano il riso, con la bava alla bocca, anch’ella aveva terminato quell’incarnazione tanto dolorosa.

 

Tutto il resto si era svolto assai velocemente. Il giorno dopo, il medico, chiamato dal cognato poiché Malini era stata trovata esanime nella sua camera, aveva redatto il certificato di morte per collasso cardio-circolatorio. Subito, il suo corpo era stato avviato verso il fiume per la cremazione. Proprio in fondo al “loro” pendio, era stata innalzata la pira sulla quale Malini era bruciata con il suo amore e il suo futuro.

Poi, le sue ceneri erano state disperse nelle acque del fiume, come era successo a Gopal, non tanto tempo prima.

La sera, Ruini si era coricata nel letto matrimoniale, fatto venire molti anni prima apposta da Bombay. Le sue mani accarezzavano dolcemente il prezioso copriletto di broccato di seta ricamato a mano di Benares. Vicino a lei, suo marito, dormiva tranquillamente.

La tresca, che avrebbe potuto distruggere la famiglia, addirittura con la nascita di un figlio intoccabile e illegittimo, era definitivamente finita. L’onore era salvo e, anche se nessuno ne avrebbe saputo mai niente, era stata proprio lei a proteggerlo.

Con un sospiro di soddisfazione, si era girata su di un fianco e si era addormentata serenamente.

 

 

Renata Rusca Zargar è autrice di IL TEMPO IN CUI I GALLI INIZIANO A CANTARE

 

Negli ultimi anni, a Pompei, sono state fatte nuove e meravigliose scoperte.

Il romanzo, perfettamente in accordo con la ricchezza e bellezza del sito archeologico, racconta la storia d’amore appassionante, proibita e pericolosissima, tra una ricca e affascinante fanciulla di Pompei e uno schiavo ligure colto, capace e attraente. Infine, ci sarà l’eruzione del Vesuvio.

Dalla sinossi: “Avevano portato un po’ di uva per la merenda e, scherzando, Minor aveva attaccato qualche acino all’amo e l’aveva buttato in acqua. In un attimo, la lenza aveva preso a tendersi e sembrava che ci fosse attaccato qualcosa di grosso! Tra le risate entusiaste di Minor, Aeris l’aveva aiutata a tirare a terra uno storione, a occhio, di dieci libbre abbondanti.” “Quasi davanti alla porta d’ingresso, un’ombra scura le si era parata dinanzi. L’aveva presa per le braccia rudemente, spinta contro il muro e abbracciata appassionatamente. -Perdonami, non ho saputo resistere. Non riesco a stare senza di te. Odio vederti soffrire e mi odio per esserne la causa. – […] -Perché non sei più venuto ai nostri appuntamenti? -Avevo deciso di non vederti più, almeno in privato. So bene che non ci può essere nulla tra di noi, è inutile fingere questa amicizia.

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Chi è Renata Rusca Zargar

 

 

Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.

L’ultimo nato è, però, una raccolta di lavori delle signore anziane che hanno seguito i suoi corsi gratuiti di Lettura e Scrittura Creativa: “Leggere e scrivere …per divertimento, raccolta di racconti, poesie, disegni, calligrammi dei Corsi di Lettura e Scrittura Creativa”, pubblicato da Amazon.

Si occupa della Biblioteca di volontariato Libromondo e, prima del Covid, portava i libri in prestito nelle Scuole. Cura un blog di cultura, ecologia e società Senzafine: Arte, Cultura e Società di Renata Rusca Zargar  link

 

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