martedì , Aprile 30 2024

Raccontami una storia: “Oscurità e speranza”

Oscurità e speranza

autore Paolo Galli

 

La sua pelle emanava un lieve calore mentre la mia mano ne accarezzava le forme di giovane donna. Non ne conoscevo né il nome né l’età, ma non aveva importanza. Il suo corpo anche solo sfiorandola diceva molto di sé. Il tatto era la migliore delle conversazioni e docile si faceva percorrere dalle mie mani che lentamente la assaporavano e memorizzavano ogni centimetro. Presi a risalire dalle ginocchia verso l’inguine e lei mi guidò sul pube parzialmente depilato.

Ne immaginavo il volto mentre con l’altra mano indugiavo sul profilo, su quel suo naso piccolo e sulle labbra carnose parzialmente dischiuse. Tenevo le palpebre chiuse come per non guardare, tale era il piacere che il solo contatto era capace di darmi. Al calore della pelle si aggiungeva l’odore inebriante del suo corpo. Un odore delicato che mi fece indugiare rimanendo immobile per attimi come per non perdere ogni minima sensazione. Le mie palpebre rimanevano abbassate, ma quella era solo un’abitudine, rimasta dal tempo in cui gli occhi vedevano. Cercai di immaginarmi la donna. Ero abituato a distinguere gli odori. Quando le giovani si spogliavano, riuscivo a distinguere le sottili differenze tra l’una e l’altra e le avrei riconosciute solo dal lieve profumo che emanava da quei loro corpi. Pensai che l’olfatto è un senso meraviglioso che purtroppo va perdendo di importanza in coloro che rimangono immersi nelle immagini. Delle donne che avevo frequentato ricordavo perfettamente la morbidezza dei loro capelli, la plasticità dei loro corpi che tornandomi alla mente provocavano più eccitazione dell’immagine stessa. Con la cecità i miei ricordi si erano maggiormente legati agli altri sensi ed ero sicuro che non avrei certamente ricevuto maggior piacere dalla lei che mi giaceva accanto se solo avessi anche potuto vederla.

Mantenni le dita su quelle labbra socchiuse e fecero da guida per la mia bocca che si unì a quella di lei. Prima dandole un piccolo bacio e poi piccoli morsi su entrambe le labbra che lei ricambiò mentre apriva lentamente le cosce perché la mia mano potesse accarezzarla più in profondità. Emetteva lenti e profondi sospiri e io non perdevo neanche una vibrazione del suo corpo, concentrato totalmente su di lei come sa solo chi non vede.

La lingua lo invitava a che i suoi baci si facessero sempre più intensi, più profondi. Il sapore di quella bocca non poteva essere uguagliato dalla pietanza più raffinata. Quel gusto mi scendeva lentamente in gola come il più prezioso dei nettari.

Cominciò a gemere sommessamente e abbandonai le labbra per immergermi nel suo inguine già bagnato al contatto della mia mano. I sapori si unirono, si potenziarono dandomi un afrodisiaco piacere mentre la mia lingua si spingeva in lei sempre più decisa. Ripensai alle donne della mia vita e non ricordavo di aver mai provato un piacere così intenso procedendo nella scoperta di quell’essere meraviglioso che si andava appagando di me. La feci girare e delicatamente presi a carezzargli la rosea mucosa al centro del suo posteriore, prima con leggerezza e poi inumidendomi le dita la andavo dolcemente divaricando, mentre lei non opponeva alcuna difesa, ma al contrario spingeva in fuori quel suo culo delizioso perché potessi più facilmente penetrarlo. Alle dita subentrò la lingua. Quando la giudicai pronta, ormai totalmente decontratta spinsi lentamente ma con decisione il pene che sembrava quasi scoppiare dall’eccitazione in un’erezione dolorosa quanto rigida. A un primo gemito ne seguirono altri sempre più intensi mentre le mie mani ne attiravano con forza i fianchi. Non volevo che quel piacere avesse fine. Mentre la prendevo lei si carezzava il clitoride aumentando l’eccitazione. Mi ritrassi lentamente facendola girare, mentre lei mi afferrò il membro e lo fece sparire nella bocca. Al tatto con quelle labbra calde mi eccitavo sempre più, ma non volevo raggiungere l’orgasmo, non ancora. Volevo prima saziarla di piacere. I suoi gemiti avevano già raggiunto l’apice ma volevo di più. Volevo stordirla. Le fui sopra, le baciai i seni e poi mettendogli un cuscino sotto il bacino la sollevai quel tanto da poter entrare totalmente nel suo ventre e lì mi persi con la mente e con ogni senso mentre mi spingevo sempre più profondamente finché lei emise un lungo gemito più profondo dei precedenti e si abbandonò totalmente appagata. Ma la volevo ancora dove era più stretta e lì entrai con foga finché l’orgasmo mi invase.

Rimasi in completo abbandono per lunghi attimi  col respiro profondo di lei che scandiva il tempo che andava. Mi carezzò il volto prima di lasciare il letto per recarsi in bagno. Ne uscì dopo alcuni minuti sedendosi di fianco a me mentre lentamente si vestiva.

Sul comodino trovi ciò che ti è dovuto. – le dissi – mi hai donato momenti esaltanti. Anche se non ti vedo, credo che niente avrebbe potuto aggiungersi al piacere che mi hai dato.

Sentivo che non si allontanava e avevo la sensazione del suo sguardo che indugiava su di me.

Può essere di qualche interesse un cieco per una donna così bella quale tu sei? C’è qualcosa che va oltre il tuo dovere professionale?

Chi ti dice che io sia bella?

Anche se non posso vederti ho un’immagine di te trasmessa dal tatto. Le mie mani hanno percorso ogni centimetro della tua pelle. La tua figura è perfetta e tale mi immagino il tuo volto.

– Il tuo modo di fare l’amore rivela desiderio e disperazione.  La tua passione è tale che sembra…

– Sembra un angoscioso tentativo di sopravvivenza. Il piacere che cerca di attenuare il dolore. Lo hai reso possibile per lunghi meravigliosi momenti.

Seguirono lunghi attimi di silenzio interrotti dal lieve rumore delle sue gambe fasciate nel njlon delle autoreggenti.

Parlami un po’ di te. – mi disse.

La cosa mi sorprese. I rapporti con le altre, più o meno appaganti si concludevano e in fretta se ne andavano verso altri impegni.

Di che interesse possono essere i vissuti di un cieco? Se anche fossi capace di trasmetterti le immagini di quando i miei occhi vedevano non capiresti mai le emozioni che vissi.

Vorrei conoscerti meglio. Il calore che mi hai trasmesso va ben oltre il desiderio. Nel modo in cui mi hai presa oltre l’erotismo c’era la disperata ricerca di qualcosa che ti manca e che tu cerchi di colmare con disperazione. Il tuo corpo su di me mi ha dato emozioni esaltanti che però non sapevano celare l’angoscia che ti affligge. Raccontami di te, ti prego. –  disse portando una mia mano a carezzarle il volto.

Mi manca Marie.

Sentii il suo corpo che si distendeva accanto al mio mentre non lasciava la mia mano che lentamente carezzava.

Sei stata capace di attutire la mia pena. Marie era la mia compagna e ha lasciato un vuoto incolmabile.

– Raccontami di lei. Ciò che ti ha lasciato ha fatto di te un amante unico.

Ti narrerò solo un episodio che dette una svolta alla nostra vita e ci vide a lungo uniti prima della sua prematura scomparsa. Eravamo in India. Viaggiavamo spesso e le nostre destinazioni erano sempre verso paesi capaci di meravigliare la vista ed esaltare l’animo. La sua vicinanza rendeva uniche quelle nostre esperienze. Le sue riflessioni erano così fertili da farmi vivere la magia dei luoghi come una esperienza unica, esaltante. Per un tragico vissuto durante l’adolescenza si era in seguito negata alla sessualità. Era attratta da me. Le piaceva stare a parlare e ascoltava con entusiasmo ogni storia che le raccontavo, ma se solo provavo a sfiorarla e comunicargli il mio desiderio in un primo momento si abbandonava per poi fuggire in preda all’angoscia suscitata dai suoi ricordi. Viveva violenti attacchi di panico mentre le tornavano alla mente i tragici trascorsi. L’angoscia la invadeva e il terrore  come se la morte fosse imminente la assaliva con tremenda irrazionalità. Si era concessa dodicenne a un amico di famiglia coetaneo di suo padre. Furono scoperti e la morte successiva del suo amante fece cadere sul padre l’ombra pesante del sospetto. Fu mandata in collegio a finire gli studi e successivamente fu affidata a una zia. Cresciuta nel rimorso si era punita negando il suo corpo giovane a ogni pulsione.

Lei lo osservava e vedeva su di lui tutta la pena suscitata dai ricordi. Ma dal tono con cui pronunciava quelle prime parole capì che il desiderio di aprirsi era superiore.

Dunque in India… – gli sussurrò a bassa voce.

Ci imbarcammo su di una lancia a motore, disponendoci a prua, mentre a poppa il timoniere guidava. Percorremmo un piccolo fiume, quasi un canale. Alcuni bufali continuarono le loro abluzioni incuranti del nostro passaggio. Marie mi descriveva il luogo e per gioco me ne stavo con gli occhi chiusi cingendole la vita. Quasi un tragico presentimento di quello che sarebbe stata in seguito la mia vita. Immaginare il mondo senza vederlo. Era come vivere un sogno in cui la mente era più potente di ogni vista e vedevo attraverso la sua voce.  Conoscevo quel paese per esserci andato più volte. Presto raggiungemmo il fiume, l’immenso Brahmaputra, che benché ancora molto lontano dalla foce era largo più di dieci chilometri e punteggiato di piccole isole. Lungo la riva alcuni elefanti traevano dalle acque alcuni tronchi, giunti fin lì con la corrente. Uno di loro, ancora troppo giovane per lavorare veniva lavato e spazzolato diligentemente da un ragazzetto. 

– Quel giovane che accudisce un elefantino è il suo mahut. – le dissi attirandola ancora più a me.

– Che vuol dire mahut?

– Il mahut è l’educatore, il suo futuro conduttore, colui che provvede a che l’animale si mantenga sano e cresca forte e ubbidiente.

– Ne è anche il proprietario?

– Quasi mai. Questi poco più che ragazzi provengono da famiglie povere e vengono scelti per crescere in simbiosi con questi pachidermi. Praticamente vivono due vite parallele. Il mantenimento di questi animali sarebbe troppo costoso per chi non ha mezzi.

– Mahut mi sembra un bel mestiere. – mi disse appoggiando la testa sulla mia spalla.

Davanti a noi spiccarono il volo alcuni aironi, mentre sulla riva, da cui andavamo progressivamente allontanandoci, un gruppo di gazzelle si abbeverava. La vicinanza di Marie mi inebriava. La mano, che le cingeva la vita riceveva il calore della sua pelle. Pensai con angoscia come sarebbe stata la mia vita senza di lei. Non c’era logica in quel suo starmi appresso. I miei vissuti avrebbero ripreso a torturare la mente a cui si sarebbe aggiunto anche quello di lei. Il rollio della barca ci spingeva uno contro l’altra e il contatto con le sue gambe, appena velate da pantaloni di seta faceva aumentare il ritmo del mio respiro. Sapevo di avere alle spalle un osservatore, ma l’impulso di baciarla e spingere le mie mani in mezzo a quelle cosce invitanti era contenuto a stento. L’unica consolazione se l’avessi persa era che sarebbe finita quella tortura della mente dettata dal desiderio inappagato di lei. Anche se non si concedeva una forza violenta mi obbligava a starle vicino e mai l’avrei lasciata. Il pensiero angoscioso che un giorno l’avrei persa in alcuni momenti diveniva insopportabile.

Ci inoltrammo tra isolotti dove miriadi di uccelli curavano i loro nidi. Molte di quelle lingue di terra sarebbero scomparse con l’arrivo del monsone per l’aumentato livello del fiume. In lontananza vedemmo un’isola più grande sormontata da una collina sulla quale svettava un tempio. Ci dirigemmo in quella direzione costeggiando una bassa sponda su cui ardevano dei fuochi. Avvicinandoci lei notò che erano pire sulle quali giacevano alcuni cadaveri. Una salma sopraggiunse su di una semplice barella di bambù. Il corpo era ornato di nastri colorati luccicanti al sole del tramonto.

– È un luogo per le cremazioni – dissi  – non scatteremo immagini. Dobbiamo rispettare il dolore.

Circondata da una piccola folla silente la salma arrivata al fiume vi fu immersa totalmente e poi adagiata sulla riva. Un uomo, forse il figlio maggiore ne scoprì il volto, quasi per far dare al defunto un ultimo sguardo sul mondo circostante. Il percorso di quella vita stava per concludersi. Anche il Bramaputra era considerato sacro e le sue acque si sarebbero unite a quelle del Gange prima di disperdersi nel Golfo del Bengala. I paria, gli ultimi, che avevano trasportato quel corpo, ora andavano preparando la pira. Prima la base, su cui deporre la salma e poi altra legna a coprirne il corpo totalmente. In mezzo tronchi di sandalo, che col loro profumo avrebbero nascosto ogni altro odore. Aspiravo a pieni polmoni la fragranza di quella legna.

– Quando la pira sarà pronta spetterà al bramino appiccare il fuoco. – le dissi – La tradizione vuole che sia quello sacro del tempio, mantenuto sempre acceso.

La barca che ci conduceva aveva spento il motore e procedeva lentamente a remi, increspando appena l’acqua. Marie si avvicinò ancora di più e mi strinse una mano tra le sue.

– L’essere cremato sulla riva di un fiume sacro interromperà il ciclo delle reincarnazioni, permettendo all’anima del defunto di unirsi a Dio, per divenire Puro Spirito.

Alcune di quelle pire avevano quasi finito di ardere e i fuori casta ne andavano raccogliendo i resti per abbandonarli al flusso delle acque insieme alle ceneri.

– Tutti i defunti vengono cremati?

Mi accorsi dello stato di profonda prostrazione che stava vivendo.

– No, non tutti. Intanto questo è un rito riservato solo agli induisti. Le salme dei bambini, delle donne gravide, degli storpi e dei sadù vengono avvolte in un sudario e abbandonate alla corrente. La fauna provvede.

Quando ci fummo sufficientemente allontanati il barcaiolo depose i remi e dette di nuovo motore. Nei pressi del tempio c’era un pontile a cui erano ancorate alcune barche per il trasporto dei pellegrini. Facevano la spola con l’imbarcadero di Arimerah, sulla sponda destra del fiume. Era quasi un continuo salpare e attraccare e ognuna trasportava almeno cento passeggeri. Probabilmente si celebrava qualche ricorrenza.

Mi interruppi mentre il mio petto riviveva le emozioni di quei momenti. Il raccontare mi era penoso ma al contempo le parole ripresero a uscirmi come se una forza tenuta incatenata per troppo tempo andasse a liberarsi. La ragazza aveva appoggiato la testa sul mio petto e un suo braccio mi cingeva la vita.

– Forse assisteremo a una puja. – le dissi.

– Cos’è una puja?

La voce di Marie e della ragazza distesa accanto a me quasi si confusero nella mente.

– È un rito religioso. – dissi come se parlassi a entrambe. – È una cerimonia talvolta complessa e suggestiva; significa riverenza. È un atto di adorazione verso una particolare forma della Divinità. Siamo nella terra di origine del Tantra…

– Quello che conosciamo anche da noi?

Ancora le due voci confuse in una sola.

– Non proprio. Il suo significato qui è profondo, mentre noi ne diamo una interpretazione tra il folcroristico e il sessuale. L’aspetto erotico anche qui è predominante, ma è vissuto come strumento di liberazione dal senso oppressivo del peccato. In realtà è fuga dalla morte, della quale abbiamo appena avuto un’immagine assai toccante. La sessualità, anche nelle forme più estreme, è strumento di crescita ed elevazione verso il Divino. La parola tantra significa trasmissione. È una tecnica che cerca di riunire le energie individuali alle forze universali. Le radici di questa filosofia risalgono nel tempo di ben settemila anni. Essa considera il piacere sia fisico che psichico un mezzo per unirsi alle forze primarie del cosmo.

– Allora andiamo! – mi disse – È una cerimonia da non perdere. Magari, se è una forma di illuminazione, chissa!

Mentre pronunciava queste parole la vidi bella come mai prima nella luce del tramonto che infiammava le acque del fiume.

Eravamo entrambi percorsi da profondo turbamento. Quel luogo sapeva trasportarti in così breve spazio dalla morte alla vita, suscitando pensieri profondi e forti emozioni. Scendemmo al pontile e ci incamminammo in mezzo alla folla di pellegrini diretti al tempio. Nei pressi dell’entrata c’era una lunga coda che lentamente scorreva. Le donne erano molto numerose. Un po’ più avanti un uomo dal dorso nudo con una cordicella che gli attraversava il torace era appena coperto da un perizoma. Si volse verso di noi e ci salutò con le mani giunte. Rispondemmo inchinando leggermente la testa. L’ aspetto di costui mi fece intuire che si trattasse di un sadhu, a cui la folla dedicava attenzione e venerazione. Pensai che la cerimonia fosse strettamente riservata agli induisti e stavo per esprimere questa mia perplessità a Marie, quando l’uomo, che ci precedeva, si volse e come se avesse letto il pensiero, mi invitò a proseguire appoggiando la sua mano sul mio braccio quasi a sostenerlo. Sulla fronte aveva tre segni; uno rosso centrale e due bianchi ai lati. Marie mi disse che si chiama tilak l’usanza di tracciare quei segni. Potevano essere segni di appartenenza a Shiva, Visnù o ad altre divinità; nelle donne un segno rosso centrale aveva il significato di appartenenza al marito e viceversa per l’uomo, oppure era un buon auspicio nelle cerimonie come quella.

Procedendo lentamente ci avvicinammo all’ingresso di una lunga galleria quasi in completa oscurità.  Un religioso con un manto giallo applicava un tilak sulla fronte a chi ne fosse sprovvisto. L’uomo col perizoma fu accolto con grande devozione e rispetto da quello in giallo e lasciò che fosse lui ad applicare il tilak a noi stranieri, mentre continuava a precederci in quell’oscuro corridoio, in cui i canti e i mantra provenienti dal tempio si facevano sempre più intensi.

Alle pareti nell’oscurità si intravedevano bassorilievi scolpiti nella pietra con immagini femminili dai seni turgidi e perfetti in movenze sinuose come di danza, che ricordavano le sculture che tappezzano i templi dell’amore a Kadjuraho. Espressi mentalmente un desiderio, che mi salì dal profondo dell’animo. Desiderai ardentemente che Marie fosse in qualche maniera colpita da quel luogo e che le sbocciassero in seno amore e desiderio così intensi paragonabili alla passione che mi stava invadendo. Il bramino mi dette una stretta al braccio come se avesse percepito la pena che mi serrava l’animo. Il suo era un contatto sereno, pieno di forza e mi passò l’altra mano sul petto. Quella presenza era rassicurante, ma allo stesso tempo inquietante. Sembrava avesse la capacità di leggere nelle menti.

Per ben due volte aveva dato risposta ai miei pensieri. Continuammo a procedere lentamente verso il centro del tempio, dove si svolgeva la cerimonia. I suoni e i canti si facevano progressivamente sempre più distinti, creando come un’onda in quell’atmosfera densa di spiritualità, ma insieme così pregna d’attese per le umane pulsioni. Ci fece segno di seguirlo. Imboccò uno stretto corridoio laterale, anche quello quasi in completa oscurità, dopo aver intimato al guardiano di quel passaggio di lasciarci passare. Questi si inchinò con deferenza. Facemmo un percorso semicircolare. Probabilmente si stava girando esterni alla cripta centrale e infatti, saliti alcuni gradini, ci trovammo nel centro del tempio dove si stava svolgendo la puja.

Marie fu quasi accecata provenendo dall’oscurità. Il bagliore di quel luogo era sostenuto da numerose fiaccole alle pareti, mentre in alto su di un altare ardeva il fuoco sacro. Centinaia di candele, al centro di quella grande costruzione ottagonale, circondavano una grande yoni scolpita nella pietra del basamento di quella imponente struttura. Era il simbolo della procreazione. Una grande vagina che accoglieva facendolo ergere un possente fallo alto alcuni metri. Era il lingam di Shiva, simbolo della fecondità e del piacere. Alcune giovani donne spargevano petali che ricadevano sulla yoni. Petali di rose rosse, lasciati scendere mollemente mentre alzavano le braccia verso quel lingam possente. I canti e la musica si facevano progressivamente più intensi e il luogo emanava un’atmosfera di magia, di abbandono. I molteplici messaggi che quella atmosfera unica inviava e che i miei sensi carpivano con avidità mi facevano sentire partecipe dell’evento e il calore delle numerose torce unito ai canti faceva volare la mia mente nell’immaginare il tutto con grande suggestione come se stessimo vivendo un sogno. Tutta quella folla era come un unico essere. Le giovani donne si avvicinarono sempre più a quel totem e presero a sfiorarlo.

I loro corpi erano coperti solo da leggeri sari e i movimenti armoniosi della  danza mostravano la loro pelle ambrata, la tonica perfezione di quei fisici. Marie catturata totalmente respirava quasi in affanno mentre osservava ciò che avveniva sussurrandomi dolcemente parole ed emozioni. Presero ad abbracciarlo e baciarlo, quell’enorme simulacro, mentre vi aderivano con movenze dall’indiscutibile carica erotica. Probabilmente si stava per raggiungere l’apice della celebrazione. Il bramino si scostò leggermente di lato per concedere a Marie una migliore visione di quell’evento. Teneva stretta nella sua la mia mano facendomi pressione con le unghie, che lentamente incidevano la mia pelle. Mi abbandonavo a quel dolore senza reagire. Dall’apice di quel fallo cominciò a sgorgare del latte, sempre più copioso. Ne sentivo il lento scivolare lungo quella pietra perfettamente levigata. Scendeva giù raccolto dalle mani e dalle bocche delle danzatrici. Era come una gigantesca eiaculazione. Un’orgasmica liberazione di fluido vitale. L’esplosione del piacere come mezzo di elevazione. I canti e la musica si attenuarono progressivamente fino a essere come un lieve lamento.

È meraviglioso il tuo modo di raccontare – mi disse la lei distesa accanto a me.

Era rimasta vicina,  quasi aggrappata al mio torace ascoltando attentamente ogni mia sillaba.

– Le emozioni della mente rimangono indelebili come il più forte dei vissuti. Marie si esaltava a ogni istante ed io come ti ho detto prima della  cecità avevo più volte visitato quel paese. La commozione di Marie sapevo ben legarla a immagini già incontrate e con lei al mio fianco diveniva un unico esaltante vissuto. Stavamo entrambi subendo il contagio di quel luogo. I nostri cuori pulsavano aumentando progressivamente il ritmo e provai qualcosa di così invadente, permeante del corpo e della mente, che quasi facevo fatica a respirare e sorreggermi. Il bramino mi toccò nuovamente in mezzo al petto trasmettendomi la sua consapevolezza. Fece cenno a due delle danzatrici, che stavano abbandonate sul bordo della yoni. Queste si alzarono e ci presero per mano per condurci fuori da quel luogo. Percorremmo lo stretto corridoio semicircolare, ma non completamente. A circa metà ci condussero attraverso una stretta porta in un patio circondato da alte mura. Capì dall’aria fresca della sera che eravamo usciti e volgendo lo sguardo in alto vidi le stelle. Era un luogo dalle alte mura che separava da ogni sguardo estraneo. Il bramino ci aveva lasciati consapevole dello svolgersi dell’evento. Al centro di quello spazio c’era una pedana ricoperta da un telo trapuntato di un verde cangiante, bordato da una balza di seta dal colore giallo intenso. Una delle ragazze portò del tè e a turno andarono a cambiare il sari della cerimonia, con uno molto più minimale, che lasciava libere le braccia e le gambe. Una delle ragazze mi prese una mano e guidato ne percorsi il corpo. Ci fecero distendere, l’uno accanto all’altra e con grazia e lentezza presero a spogliarci. Eravamo ancora come in trance, ancora trasportati da quella atmosfera. Ci lasciammo togliere i vestiti senza mostrare il minimo disagio e rimanemmo nudi.

Le ragazze delicatamente ci fecero girare mettendoci proni, con i volti rivolti uno verso l’altra. Iniziarono a cospargere i nostri corpi con olio di sandalo e presero posizione sedute con le gambe incrociate ospitando le teste a contatto col loro bacino. Potevo odorarne le carni nude, percepire quella prorompente sensualità. Prima con delicatezza e progressivamente aumentando la pressione, prese a massaggiarmi il dorso. Me le immaginavo mentre entrambe percorrevano con le abili mani i nostri corpi. Erano come speculari. Si muovevano all’unisono. Accarezzavano il collo per poi scendere giù lungo la schiena fino ai glutei, facendo leva sulle ginocchia, scorrendo le cosce sulla testa, appena sfiorandola. Il corpo si andava lentamente adeguando al massaggio di quelle dita abili. Quando la ragazza si sporgeva sopra di me per raggiungere il mio fondoschiena sentivo la pressione della sua carne.

Mi venne da pensare che avrei desiderato prendere Marie con la forza, di farla lottare, gridare, proseguendo nel mio stupro, impassibile, tanto era il desiderio di lei da aver pensieri di pura aggressività, mai provati prima.

Mi ricordai di una mia amante quando insieme alla vista tutto il mondo mi apparteneva. Abbandonandomi la rividi come in un sogno. Si giocava sulle ambiguità. Lei fingeva di non volere ma faceva tutto il possibile per eccitarmi. Quelle mani così stimolanti e sfacciatamente invitanti sul mio corpo, stavano stravolgendomi la mente. Come in preda a un allucinogeno mi arrivavano immagini, parole, dialoghi:

“Oh! Un biliardo. Non mi avevi mai detto di possederne uno.”

“Fra le tante cose che non ti ho detto, questa è una delle più insignificanti.”

La mia immaginazione mi stava trasportando lontano.

“Tu scherzi sempre con me, ma vedrai, che io piano, piano farò in modo da farmi prendere molto sul serio.”

Finì la frase schiudendo impercettibilmente le labbra, ma tanto da far luccicare quei suoi denti bianchi, perfetti.

“Non ne dubito, se poi mi guardi, come mi stai fissando ora.”

“Come ti guardo, sentiamo?”

“Hai sfoderato il tuo sguardo da ammaliatrice e quando fai così, sento di non aver più scampo.”

“Sei completamente fuori strada, mio bel figliolo. Non farti idee sbagliate, non mi concederò a te, neanche se ti metti a piangere.”

Questo ricordo mi assaliva incalzato da quelle mani esperte che stimolavano il mio corpo in maniera sublime. Il senso di colpa che provavo nei confronti di Marie nell’inquinare quei momenti con pensieri solo miei si faceva sempre più tenue via via che le immagini occupavano la mente senza controllo.

Camminava intorno al tavolo carezzandone il panno verde. Per tenere  l’equilibrio su tacchi vertiginosi era costretta a spingere in fuori quel suo delizioso fondoschiena da cui era semplicemente doloroso staccare lo sguardo.

“Non credo tu ci abbia mai giocato.”

“No, ma mi piacerebbe.”

“Non sei proprio abbigliata per il biliardo.”

“Perché c’è una divisa come nel baseball?

“Non fare la finta scema.

“Su, su dimmelo! Come dovrei essere vestita?”

Mentre pronunciava queste ultime parole sculettava dolcemente fissandomi in volto con quei suoi occhi di gatta. Quando mi guardava in quel modo sentivo che perdevo ogni controllo. Era un dannato perfetto animalino. Forse altre donne potevano avere nei particolari qualcosa di più, ma nel complesso, lei le avrebbe tutte stracciate. Se la mettevi in mezzo a cento, dopo pochi minuti tutti gli uomini avrebbero guardato solo lei e lei non avrebbe certamente fatto niente per passare inosservata. Queste immagini si confondevano guidate dal desiderio e stringevo gli occhi quasi per trattenere in me ogni visione che andava nascendo come provocata da un allucinogeno.

“Intanto la gonna. Andrebbero meglio i pantaloni, oppure una gonna larga in quanto si devono divaricare le gambe per colpire meglio con la stecca.”

“Ma io posso fare così!”

Prese ad allargare le gambe e contemporaneamente facendo pressione sui fianchi con le dita curate, fece salire la gonna lentamente, ben sopra la fine delle calze.

“Dimmi, può andar bene così?”

Feci di tutto per sembrare impassibile, ma i miei sforzi purtroppo risultarono vani.

“E poi le scarpe. Ehm… le scarpe. Non ci vogliono col tacco.”

“Per le scarpe basta fare così.”

Con due colpetti delle caviglie le fece saltare via. Prese una stecca e se la mise fra le gambe, come una strega a cavallo di una scopa. Ridendo forte e piegandosi in avanti disse:

“È questo lo stile giusto?”

Mi pulsavano le tempie. Mi avvicinai. Le cinsi la vita da dietro e mi appoggiai con forza sul suo fondoschiena. Mentre con un braccio la tenevo stretta, con l’altra mano feci pressione sul suo collo, piegandola in avanti e facendole poggiare i seni graziosi sul panno del tavolo.

“Cosa fai?”

“Ti insegno questo gioco.

“Quale gioco?”

Mentre la piegavo in avanti, la maglietta che la fasciava come una guaina, le salì lungo il dorso.

“Il biliardo. Ti insegno il biliardo.”

Provò a resistermi, ma già in quella posizione non poteva aver successo. Tentò di divincolarsi ma senza convinzione. Anche quello faceva parte del gioco. La mia mano le premette la testa sul panno verde, facendola girare di lato in modo che i nostri sguardi potessero incontrarsi. Con l’altra mano le feci salire completamente la gonna, completando il lavoro, che lei aveva iniziato in precedenza, per stuzzicarmi. Aveva un reggicalze di pizzo nero e sopra un tanga nero quasi invisibile.

“No aspetta, aspetta! Se io non volessi imparare questo gioco?

“Ma certo che vuoi! E sono sicuro che imparerai velocemente.”

Così dicendo mi piegai un po’ su di lei e la fissai in quegli occhi fintamente impauriti. Poi presi a carezzarle le cosce, risalendo fino all’inguine. Sentii che si stava bagnando e cominciava a premersi contro di me.

“Ma non ho la stecca, mi è caduta!

“Non ti preoccupare.”

Le feci arrivare da dietro qualcosa di simile, con tocco perfetto.

Lei sarebbe comunque rimasta un ricordo indelebile quando la mia mente fosse pervasa dal desiderio, ma vedevo anche in Marie la perfezione e quel suo corpo avrebbe avuto il potere di cancellare, di allontanare quell’amante dalla mia mente, forse per sempre, dandomi tregua, se solo si fosse innamorata di me, come a me stava accadendo.  Davanti ai miei occhi chiusi tutte queste visioni si componevano come un complesso patchwork e la mia mente confusa non sapeva distinguere i ricordi. La realtà di quel momento esaltante si confondeva con le immagini di precedenti vissuti.

– Come vedi…

– Ti prego non interromperti. Vai avanti. Sei così bravo nel raccontare da far vivere le tue esperienze in chi ti ascolta.

– Volevo dirti che pur essendo il mio cuore di Marie la mente rimane libera di vagare nei ricordi, come accade nei sogni e ben poco può la volontà contro le immagini che ti invadono, complice quell’atmosfera il cui ricordo mi toglie ancora il respiro.

– Comunque quello che stai descrivendo è un’esperienza molto eccitante e dal momento che con Marie il tuo rapporto a quanto ho capito era soltanto platonico…

– Vuoi dirmi che approvi la divagazione porno-sessuale che si impadronì di me in quei momenti?

– Voglio dirti che codesta divagazione, come vuoi chiamarla, l’ho ampiamente sperimentata stasera e l’ho trovata coinvolgente e sperabilmente ripetibile.

Rimanendo disteso sul letto la accarezzai. Con quella pelle perfetta al mio tatto  ripresi  il racconto.

– La danzatrice aprì lievemente le cosce e la mia testa poté muoversi sollevando di poco il mento mentre l’olfatto si perdeva nell’inguine glabro di lei. La ragazza si sollevò da quella posizione e potei vedere Marie abbandonata, con gli occhi chiusi, come sognante. Le due giovani si spostarono verso i piedi, divaricarono le nostre gambe quel tanto da fare entrare le cosce a contatto con quelle mie e di Marie riprendendo lentamente il massaggio. Risalivano le gambe su verso i glutei e il perineo. Quel contatto era via via sempre più inebriante e superata la sorpresa di quella delicata invadenza mi abbandonai ancora di più a quei tocchi sapienti. Si muovevano in sintonia e dentro di me mi angosciava il pensiero che Marie improvvisamente potesse alzarsi e fuggire. Dall’inizio di quel massaggio non avevo più udito la sua voce e mai gli avrei rivolto parola nel timore di rompere quell’incantesimo. Cercavo di cogliere in lei il minimo sussulto, la minima eccitazione, quell’eccitazione che in me stava salendo progressivamente.

Il mio udito attento non raccoglieva alcun segnale. Non mi meravigliavo che il Tantra fosse considerato pratica peccaminosa e fosse sconfessato dalla dottrina yoga e addirittura indù, ma evidentemente non sempre e non in tutti i luoghi. Quello che stavamo vivendo ne era un esempio. Con l’arrivo dei musulmani nel X secolo la situazione divenne ancora più critica, sia per le pratiche sessuali esaltate in quella disciplina, ma soprattutto per il ruolo della donna, che il Tantra esalta e mette alla pari dell’uomo. La donna Madre Divina dell’Universo che genera la vita attraverso l’unione col lingam di Shiva e conduce all’atto sacro della nascita.

Questo portò alla distruzione di templi dedicati alle divinità femmine, quali Parvati e Kalì. Ma nel diciottesimo secolo ne fu rivalutata la dottrina nei suoi risvolti filosofici e rituali. Grande fortuna pensai mentre la danzatrice mi carezzava i glutei, portandosi delicatamente con la punta delle dita a sfiorarmi l’ano per scendere a toccare con dolcezza lo scroto, facendomi inarcare la schiena e sollevare il bacino facilitando la discesa di quelle mani sapienti fino al pene. Mi domandai ancora cosa stesse provando Marie; forse anche il suo dorso andava inarcandosi facendole sollevare quel suo sedere delizioso, mentre la seconda ragazza con grande delicatezza le andava carezzando le grandi labbra da dietro fino alla loro congiunzione, tornando indietro lentamente sul clitoride. Temevo che da un momento all’altro sarebbe fuggita. Mi trattenevo  dall’osservarla!

Quali reazioni ne avrei intuito? La sua conoscenza delle usanze e del loro significato andava ben oltre quella mia. Se si era abbandonata così, mi venne da pensare, non sarà stato per caso. Qualcosa in lei stava emergendo con forza. Qualcosa andava mutando il suo essere.  Potenza di quel luogo, che avvicinava così prepotentemente la morte e la vita? La sua consapevolezza sul significato di quella cerimonia e il suo seguito non la trovava impreparata, come invece era accaduto a me, eppure non aveva manifestato turbamento alcuno, ma al contrario desiderio di andare avanti, proseguire quell’esperienza. Ecco perché celava ogni reazione, ogni sospiro; si era isolata quasi in estasi, forse pensando a me, ma non osavo sussurrargli alcunché per paura di rompere quell’incantesimo e farla tornare alle sue angosce, al panico, che l’avrebbe paralizzata interrompendo tutto in preda ai fantasmi che avevano martoriato la sua vita dall’adolescenza fino a quel momento. La delicatezza di quelle mani, lo sfiorare le parti più intime, con leggerezza e senza alcuna furia, mi mantenevano in uno stato di intenso piacere. Il godimento fisico non deve essere né breve, né forzato, ma continuo, lento, spontaneo e prolungato.

Sentivo che il mio Kundalini, ascesa del piacere, stava salendo vorticosamente, ma non mi chiedevo se questo avrebbe elevato il mio spirito. Pensavo che l’epilogo più esaltante e appagante per me sarebbe stato possedere Marie.

Le danzatrici si tolsero quel minimo sari che le copriva e rimasero completamente nude. Sentii il lieve strusciare della seta che liberava quelle membra deliziose. Si posero di lato ai nostri corpi distesi e lentamente, senza alcuno sforzo apparente ci posero supini, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le gambe divaricate, lasciandoci in attesa per istanti interminabili, durante i quali andavano carezzandosi vicendevolmente per cospargere anche i loro corpi ambrati di olio di sandalo. Quel dolce profumo si diffondeva e io avrei voluto catturarlo interamente. Tenevo gli occhi chiusi, conscio che quella posizione stava mettendo in mostra il mio pene ben eretto.

Nella fantasia lo immaginavo come il lingam della cerimonia. Debolezze tipiche del maschio. Le danzatrici, cosparse di olio presero a massaggiarci non più con le mani, ma con tutto il corpo. I loro seni di giovani donne, sodi ed eretti, presero a sfiorarci e così le loro cosce, che si serravano intorno al torace, per scivolare lentamente in basso. Cosa più facile, pensai, sul corpo di Marie, ma problematica sul mio, per quel coso che sporgeva e che faceva da ostacolo a ogni movimento. Ma la ragazza era abile e il pene la sfiorava, la percorreva, senza mai penetrarla. La lentezza di quei movimenti mi lasciavano senza reazione in fiduciosa attesa di ciò che sarebbe accaduto e anche Marie sembrava come in preda a un sonno ipnotico, non udendosi neppure un sospiro. La vedevo con la testa leggermente reclinata all’indietro. La ragazza procedeva con maestria e i suoi movimenti sembravano dettati da spontanea naturalezza. In una situazione diversa avrei afferrato quel seno turgido, quel culo giovane e duro e altro che Tantra…

Ma a pensarci, quello che stava avvenendo era emozionante. L’attesa era di per sé intenso piacere. La prima fase di un incontro amoroso prevede un saluto rituale, che spesso si svolge a occhi chiusi, ma che trasmette il desiderio di entrare in contatto con l’essenza dell’altro. Il rituale era stato rispettato e l’assenza della vista esaltava gli altri sensi. Mi chiedevo cosa sarebbe successo da lì in poi, mentre ogni mia cellula era deliziata da intenso piacere.  Le danzatrici facevano da tramite e avevano impedito fino a quel momento ogni contatto tra noi. Ebbi la sensazione che anche Marie stesse raggiungendo il culmine dell’eccitazione. Il contatto con gli altri due corpi in qualche modo dilatava i tempi, il piacere era intenso e induceva ad attendere pazientemente l’esplosione di un’estasi più grande. Ma ci sarebbe stata? Lei mi avrebbe accolto? Bastava attendere in quell’immersione di godimento che stemperava l’angoscia.

Anche la mia ragazza prese ad accudire Marie. Iniziarono un massaggio a quattro mani, mentre immaginavo quei tre corpi perfetti. Si portarono alle braccia e ai piedi di lei e lentamente la fecero girare. Avvicinarono i nostri bacini, ma con posizioni invertite. La mia testa guardava i piedi di lei e viceversa. A quel punto sollevarono il corpo di Marie, dolcemente, quasi non avesse il minimo peso e lo misero prono su di me, così che lei potesse abbracciare le mie gambe aperte e io toccarne i piedi. I nostri corpi erano inversamente sovrapposti. Avevo su di me tutta la dolcezza del peso di lei. Le danzatrici intonando a bassa voce un canto melodioso si portarono ai lati e presero a sollevare con delicatezza il bacino di Marie e una delle due prese ad accarezzare il mio lingam, che aveva mantenuto il suo vigore e con lenta perizia lo fecero entrare nella yoni di Marie. Avevano creato una posizione del Kamasutra, chiamata posizione X, perché le cosce aperte degli amanti formavano una croce. Ero inebriato dal corpo di lei, ma Marie pur abbandonata e come modellata su di me, restava immobile.

Mentre proseguivano quel canto armonioso, presero a cospargerci di petali di rosa, dal profumo intenso. Il mio pene era così teso che quasi mi provocava dolore. La paura di perderla, di vederla fuggire da me mi serrava la gola e il piacere si andava trasformando in angoscia. Una delle ragazze prese a massaggiarmi il petto scendendo lentamente verso l’addome e le sue gambe aperte si flettevano a ogni movimento avvicinandomi l’inguine al volto, lievemente sfiorandolo, mentre la seconda seduta sul dorso di Marie ne andava massaggiando i glutei, facendo scendere quelle mani esperte fino a incontrare il mio vigore. Il tatto mi rivelava meglio di ogni visione ciò che stava avvenendo. Lievi movimenti succedettero alle contrazioni, prima lievi e poi più intense della vagina di Marie. Le ragazze li assecondarono operando una lieve pressione sulle cosce e sul bacino.

Continuarono anche senza l’aiuto di quelle mani sapienti, ma quando il ritmo andava aumentando, operarono un cambiamento della nostra posizione. Portarono le cosce di lei in avanti facendole piegare le ginocchia e ne sollevarono il busto facendole cavalcare in quel modo il mio fallo, che godeva estasiato l’ondeggiare del bacino della mia amata. La mia mano ne risaliva la schiena cercandone il volto. I suoi occhi rimanevano chiusi, anche se il piacere andava salendo. La sua bocca dischiusa con la lingua che ne umettava le labbra testimoniava il suo profondo coinvolgimento. La sentivo mentre quasi impercettibilmente si sollevava, per poi tornare a premersi su di me, per ricevermi completamente. Mi venne da pensare alle sculture dei templi dell’amore. Ne stavamo ripetendo alcune posizioni e capivo come nella lentezza di quei movimenti fossero inclusi anche in quei bassorilievi le immagini di due giovani donne dai seni grandi e perfetti che aiutavano gli amanti a raggiungere le posture più stimolanti. A Marie avevano fatto assumere la posizione della tigre accovacciata, o cavalcata all’indietro. Era quello che faceva premendosi sul mio pene. Ma anche nel piacere più intenso si finisce per volere sempre qualcosa di più. E così desiderai toccarle la bocca, penetrare le sue labbra dischiuse con le mie dita.

Le danzatrici, come mi avessero letto il pensiero, fecero girare Marie lentamente, sul mio pene che fece da perno, così da averla in grembo e sollevandogli le ascelle la posero a sedere tra le mie gambe incrociate. Anche quella era una posizione classica dell’amore, ma non mi detti più pena di cercare di ricordarne il nome, troppa l’eccitazione che mi pervase. Presi a baciarle il volto e a stringerla a me. Sentivo i suoi seni contro il mio petto. Lei mi afferrò la testa e unì la sua faccia alla mia facendomi sentire le sue ciglia aperte sulle mie guance.

Le nostre menti si unirono come i corpi e il ritmo di quell’amplesso prese rapidamente ad accelerare, con buona pace del Tantra e di tutta la filosofia orientale. Lei mi sommerse di baci mentre mi stringeva a sé con forza.

Le giovani donne ritennero fosse giunto il momento di dileguarsi e rimanemmo soli su quel tappeto di raso verde, cosparso di petali di rosa e il canto dolce delle ragazze fu sostituito da intensi gemiti per il piacere che ci davamo. Le posizioni che ci scambiammo senza aiuto alcuno furono numerose e mal classificabili e l’orgasmo ci raggiunse entrambi, lasciandoci stremati e incatenati tra braccia e gambe serrate, da sembrare due serpenti che si fossero soffocati tra le loro spire.

Rimanemmo a lungo in silenzio, senza scambiar parola, ma continuando a carezzarci.

Le giovani rientrarono con un ampio recipiente in argento lavorato, che trasportavano sollevandolo ognuna per un manico. Nel frattempo si erano lavate e indossavano una bianca veste. Depositarono il bacile di lato al giaciglio e ne estrassero in una nuvola di vapore panni profumati e caldi, con i quali presero a detergere dall’olio i nostri corpi, dopo averli nuovamente distesi vicini, come all’inizio.

Le nostre mani si cercarono fino a incontrarsi e a stringersi, quasi increduli di quel vissuto, come per aver conferma di quella realtà. Asportato l’olio di sandalo dai corpi, che comunque rimasero impregnati dal profumo di quell’essenza, ci aiutarono a rivestirci. Poi ci servirono il tè e si congedarono.

Uscimmo dal tempio e ci incamminammo verso l’imbarcadero con gli ultimi pellegrini, che abbandonavano la magia di quel luogo.

Ci imbarcammo senza rompere il silenzio. Il ritorno al lodge era verso occidente, dove ancora il cielo era rosa per il tramonto da poco avvenuto. Marie con lo sguardo percorse la lingua di terra appena affiorante dall’acqua dove ardevano le pire. Cercò quella con l’ultima salma giunta in quel luogo. Il fuoco era alto e presto avrebbe terminato il proprio compito.

Tra noi il silenzio era come il più caldo dei dialoghi, mentre le nostre mani si stringevano continuando quella meravigliosa unione. Solo durante la cena si riprese la nostra normalità, conversando e ridendo, ma eravamo diversi. Chi ci avesse osservato avrebbe capito di quale felicità fossimo pervasi. Tornammo presto in camera. All’alba ci aspettava l’escursione nel parco. Lei mi si gettò addosso come una tigre e riprendemmo la ginnastica finale del tempio. Dopo oltre un’ora di scambi amorosi tutt’altro che tantrici, mi riuscì di imprigionarla tra le mie braccia e tra un bacio e l’altro le dissi:

– Non è che vuoi recuperare il tempo perduto tutto in una notte?

– No, solo quello trascorso da quando ti ho conosciuto.

Così continuammo ancora finché il sonno ci fece crollare.

Mi abbandonai stremato sul letto dopo aver rivissuto quei momenti che avevano così segnato la mia vita. Lei mi era rimasta vicina in silenzio rapita dal mio racconto:

– Ti ringrazio per avermi fatto partecipe dei tuoi ricordi. Prima mi hai fatto sentire donna desiderata e credo di aver provato ciò che fosti capace di trasmettere a Marie. Anche se la sua scomparsa fu prematura ebbe dalla vita la grande fortuna di incontrarti.

– Prima del rientro in Italia subimmo un attentato. Lei morì ed io persi la vista. Quelle immagini di lei che furono tra le ultime mi arano costantemente la mente senza tregua alcuna. Anche se i miei occhi non vedranno più quello che ho vissuto non potrà essermi tolto. Tu hai donato una pausa alle mie angosce e dato conforto. – le dissi.

Le mie dita ne percorrevano delicatamente le labbra. Si alzò lentamente quasi l’abbandonare quel letto le fosse di gran pena.

– Non accetto i tuoi soldi perché non sono donna che si vende. Desideravo incontrarti e un amico comune ha reso possibile questo nostro scambio d’amore. Solo a te spetta la decisione se vuoi ancora stare con me. Pur di conoscerti e starti vicino mi sono finta prostituta. È da molto che ti osservo. Ti vedevo passare per la via e lentamente mi sono innamorata e da lì è sorto il desiderio. Ti ho voluto perché intuivo quale dramma fosse nascosto nel profondo del tuo animo e in me la speranza di lenirlo mi ha fatto agire. Ti ho incontrato con l’inganno ma mai colpa mi fu più piacevole. Sono sicura che se mi vorrai saprai vedermi ben più nel profondo di quel che anche lo sguardo più acuto possa fare.

 

Paolo Galli è un medico e un viaggiatore. La sua professione gli ha fatto conoscere storie e leggende e le sue scorribande in ogni continente ne hanno fatto un testimone fedele nelle descrizioni dei luoghi dove ha ambientato i suoi racconti. Questa “Oscurità e speranza” breve racconto è l’ultimo suo lavoro che fa seguito a sei romanzi: “La donna francese” (2016), “Verso Mombasa” (2017), “La locanda di Monteloro” (2018) “Santiago cammino nella mente” (2019) e “La ragazza che danza” (2020). 

“Oscurità e speranza” ha partecipato al concorso “Raccontami una storia: parlami di te” organizzato dalla Carlo Biagioli srl.

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