mercoledì , Novembre 13 2024

“La scuola della vita” di Renata Rusca Zargar

La scuola della vita

di Renata Rusca Zargar

La ragione ci assisterà durante l’esistenza. Oltre, nella vita, sarà la mente a guidarci.

 

Alberto si agita sulla sedia, poi si alza, s’inginocchia a terra e raccoglie un pezzo di carta che si infila in bocca arrotolato come un sigaro.

-Un due tre…- grida il maestro – nella gara di concentrazione vince la squadra arancione!-

Il gruppo di scolari che indossa una fascia color arancio urla felice.

Suona la campanella. La lezione è finita. Entra l’insegnante di meditazione e inizia a parlare:

-Siamo sulla Terra come naufraghi in balia delle tempeste del desiderio. Possesso, ricchezza, potere sono flutti che tormentano la nostra debole barchetta…-

Marika ha un nastrino verde e rosa con pendagli d’argento che le pende dai capelli. Erika sbadiglia, appoggia le mani al banchetto oscillando avanti e indietro sulla sedia, poi accarezza il bel nastrino verde e lo tira un pochino. Marika si volta bruscamente.

–Basta!- sentenzia con forza il maestro. La sua tonaca rosso scuro lo avvolge completamente, il capo rasato riflette la grande luminosità dell’ambiente di classe.

–Presto dovrete impegnarvi nell’esistenza, -egli continua- dovrete compiere un lungo percorso: crescere, studiare, lavorare, amare… Sarà importante se avrete compreso la vostra lezione. Avanti, prendete la penna che correggiamo il compito. Leggi, Ravi.

-Nella vita sulla terra accade che gli insetti velenosi non pungano il lattante, gli animali del bosco non lo attacchino, le fiere non lo graffino. Anche se le sue ossa sono ancora deboli e i muscoli appena accennati, egli afferra con forza tutto ciò che gli viene davanti; anche se strilla per molto tempo, non diviene rauco. Il lattante agisce mosso dall’intuito (e non ancora dalla ragione) e non soffre i condizionamenti della società. Egli sa. Per questo l’universo si piega di fronte alla sua integrità.

-Bravo, hai fatto un ottimo lavoro, Ravi. –

Marta, intanto, con la manina appoggiata al viso paffutello, fissa il maestro con i grandi occhioni verdi; Hans alza la mano per rispondere e si aggiusta gli occhiali sul naso. Mao, seduto di traverso, con la camicia azzurra tutta stropicciata, mastica un bastoncino di carta; Bill, che indossa una maglietta a strisce blu e bianche, sorride soddisfatto.

All’orizzonte, il cielo è trasparente e azzurro.

Arturo, Jessica e John hanno il permesso di uscire per andare in un’altra classe a seguire la lezione di visualizzazione.

Marta dondola le gambette rotonde, tenendo le dita sul capo ad arricciare i capelli.

Un grande cartellone pende dall’alto. È un mandala.

– Il mandala è il cerchio sanscrito.-spiega sempre il maestro- Il mandala è l’universo. Il mandala siamo noi. Pensate a un albero: nasce da un seme, cresce, muore e si trasforma. È l’eterno divenire dell’universo. Proprio come noi. Ora il mandala… Gisella stai attenta! Dunque, il mandala indica la via per l’illuminazione: dal perimetro esterno si giunge all’interno attraverso il percorso della meditazione, che simboleggia la gradualità del cammino. Raggiunto il centro, i pensieri egoistici ci abbandonano perché siamo arrivati al centro dell’universo e quindi al nostro.-

Mao fissa un punto lontano, perduto nei suoi pensieri.

-Noi possiamo scomporre la giornata nelle nostre azioni: mi sono alzato, sono andato a scuola, ho mangiato, ho studiato, ho dormito, sono tornato a scuola… così come il mandala è composto di tante parti. Solo attraverso la scomposizione si giunge poi all’unità e alla capacità di cogliere l’insieme. E in ogni azione il nostro tutto sarà visibile come in ogni parte del mandala è visibile il tutto… Mi pare che siate stanchi, certo questi concetti non sono di facile comprensione. Ravi, puoi andare a seguire la lezione di fisica del tempo: ho notato che la tua educazione procede bene e la tua conoscenza avanza rapidamente.-

Ravi esce e intanto suona la campana dell’intervallo.

Tutti si alzano, si sgranchiscono le gambe, afferrano qualche fiocco delle nuvolette bianche a riccioli sulle quali posano i loro banchi e le tirano come palle di neve. Qualcuno si affaccia birichino a guardare in basso: laggiù, lontano, gira la Terra dove gli uomini si affaccendano come formichine ansiose…

Dopo un tempo che non è tempo, nell’aula ubicata lassù, in cielo, sulle nuvole, si torna seduti nei banchi.

Entra l’insegnante di valori: -Una volta, sulla Terra, -racconta -c’era una bimba che chiedeva sempre alla nonna un regalo speciale per Natale. Voi sapete, anche se venite qui da ogni diverso continente, che Natale è una festa religiosa che commemora la nascita di Gesù e che vuole ricordare agli uomini la necessità di seguire il bene. Dunque, -continua la maestra nel suo lungo abito candido- la bimba chiedeva un regalo e la nonna le confezionò un pacchetto rosso. “Sarai felice, le disse, ma non devi aprire questo bel pacchettino altrimenti il contenuto volerà via. Puoi però regalarlo ad altri e anch’essi saranno felici.” Così il pacchetto, fasciato di carta rossa fiammante con un nastro d’oro, fece il giro del mondo: prima giunse nella casa di un pescatore che aveva otto figli, poi in quelle di una lavandaia, di un autista, di un impiegato, di una mamma rimasta sola… Tutti furono felici perché compresero quali fossero i veri valori dell’esistenza. Ora – invita la docente- dovrete confezionare anche voi il vostro pacchettino rosso e ognuno dovrà mettere dentro una storia che possa fare il giro del mondo e insegnare la verità.-

Tutti i bimbi preparano una vicenda da scrivere, ripiegare e chiudere nel pacchetto.

Il pacco, con i racconti di tutti gli allievi della classe, sarà inviato sulla Terra per aiutare chi si trovi in difficoltà. Forse, comprendendo quegli esempi di fatti già accaduti in altre vite, qualcuno troverà la forza di credere.

Wu e An Ni, in un passato molto lontano, si erano già incontrati.

Allora egli era stato un pastore di nome Zircon e abitava nel villaggio greco di Karon.

Durante l’estate usava salire su per il monte Smolikas per raggiungere i verdi pascoli della bella stagione con il suo gregge di pecore. L’accompagnavano solo il suo bastone, un flauto e il cane Orgòs. Le giornate erano assai lunghe: a volte egli intrecciava canestri o raccoglieva tenere erbette per cucinare la cena. Poi la sera, al tramonto, suonava dolcemente il suo flauto e quindi si ritirava in una misera capanna per dormire. Ma, prima di abbandonarsi al sonno, egli ripensava alla casa che aveva lasciato, una capanna anche quella, dove viveva d’inverno con la madre e sette fratelli. Tutti erano impegnati nel lavoro dei campi e la loro vita era assai povera. Infine, l’immagine di Penelope entrava con dolcezza davanti ai suoi occhi. Essi si conoscevano fin da quando erano bambini e il padre di lei gliel’aveva promessa come sposa. Ancora qualche anno e si sarebbero sposati. Allora le notti non sarebbero più trascorse sulla fredda paglia in solitudine, ella avrebbe diviso il giaciglio con lui e avrebbe aiutato sua madre, ormai vecchia e stanca, nelle faccende domestiche. Spesso la vedeva, nelle poche giornate di primavera che trascorreva al villaggio, china a lavare i panni al fiume. Egli passava di là con un carico di fieno sulle spalle

e si sentiva subito felice, come se l’esistenza fosse un semplice prato vestito di fiori. Attraverso questi pensieri, la quiete della notte lo abbracciava nel suo profondo silenzio.

Un pomeriggio assolato e bruciante, si era allontanato con gli animali lungo prati lussureggianti di vegetazione. Infine, aveva scorto una grotta scura ed era entrato, ansioso di concedersi un fresco riparo dalla calura estiva. Al buio non riusciva a distinguere bene i contorni e solo verso il fondo intravedeva una luce così che, lentamente, passo dopo passo, si era avventurato alla scoperta della caverna. Poco dopo, si era trovato di fronte a un lago sotterraneo le cui acque lambivano dolcemente la terra dove frusciavano piccoli alberi dalle rotonde forme perfette. Si respirava un dolce profumo. Allora egli si era seduto sulle sponde del lago, si era appoggiato a un tronco e aveva iniziato a suonare la musica più ammaliante che avesse mai saputo comporre. Una fanciulla bellissima, dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri come il cielo sereno, vestita solo di foglie e che sembrava comparsa dal nulla, aveva intrapreso a danzare davanti a lui. Poi, l’aveva accompagnato per mano in una radura riparata: là l’aveva baciato a lungo con amore.

Molte ore più tardi, Zircon si era trovato solo. La notte era scesa e le pecore belavano affannate. Di malavoglia, Zircon le aveva ricondotte all’ovile e, appena giunta l’alba, era tornato alla grotta e aveva ricominciato a suonare il suo flauto. Subito era giunta la fanciulla che l’aveva abbracciato e reso felice ancora e ancora.

Molti giorni erano passati, anzi mesi, le pecore avevano avuto gli agnellini e il tempo s’imbruttiva: bisognava ritornare a valle. Zircon non sapeva decidersi perché non poteva lasciare la sua meravigliosa fanciulla. Ella non gli parlava mai, non sapeva neppure il suo nome, solo si stringeva a lui come un naufrago al suo relitto e Zircon non capiva come potesse fare per portarla con sé.

Suo fratello Aseo era venuto a cercarlo sui monti: -Come mai non torni a casa? La stagione è finita, ti aspettiamo e abbiamo bisogno di te nei lavori dei campi.-

Zircon aveva confessato la verità al fratello che l’aveva accusato di sognare.

-No, ti porterò da lei. La vedrai, ella mi ama.-

Alla grotta, però, nessuno aveva risposto al dolce suono del suo strumento.

-Tutti sanno – gli aveva detto il fratello- che i monti racchiudono pericolosi spiriti maligni. L’esplorazione delle grotte è sempre rischiosa e chi vi si è inoltrato, spesso, è arrivato alla follia e all’ossessione! Non continuare con questa pazzia, torna a casa, alla certezza della tua esistenza di sempre.-

Zircon non aveva voluto credere ad Aseo: era tornato il giorno dopo e molti altri giorni ancora nell’interno della montagna, ma purtroppo mai più nessuna fanciulla era accorsa al suo richiamo!

Infine, aveva dovuto fare ritorno a casa.

Penelope si era fatta trovare al fiume a lavare i panni. Ma egli non vi aveva fatto caso. Ogni giorno, andava nei campi a zappare, seminare, sarchiare, eppure la sua mente era lontana e la sera, appoggiato a un ulivo nodoso, esprimeva con il flauto tutta la sua disperazione. Gli sembrava allora quasi di vederla, lei, la sua amata fanciulla senza nome, sentire il suo profumo divino, le sue mani accarezzare lievemente il suo volto, quasi un soffio di vento… Aprendo gli occhi, invece, non trovava nulla. Ella non c’era, non rispondeva ai suoi appelli accorati.

Infine, anche i mesi erano trascorsi, era tornata la bella stagione ed egli, incurante degli occhi rossi di Penelope, aveva risalito le pendici del monte Smolikas con le pecore. Questa volta, però, si era accampato proprio vicino alla grotta per non dover tornare la sera alla vecchia capanna.

Appena sistemati gli animali, si era addentrato nello splendido paesaggio di fiaba. Gli alberi erano tutti fioriti ed emanavano un sentore così piacevole che egli non riusciva ad allontanarsi di là. L’acqua del lago, cristallina e tiepida, invitava a immergersi. E il pastore l’aveva fatto.

Subito, un’onda si era alzata e l’aveva inghiottito. Trascinato sul fondo, Zircon aveva potuto scorgere molti spiriti della montagna. Essi abitavano un enorme palazzo rosso scuro dalle finestre nere come la notte e ridevano e si divertivano tra di loro.

Ma, soprattutto, Zircon aveva visto lei, la sua adorata fanciulla, un tempo vestita solo di foglie. Ella ora se ne stava abbracciata stretta a un mostro dalla testa di tigre. I suoi capelli erano fatti di serpenti che si agitavano continuamente, estraendo dalle bocche le loro lingue biforcute. Il bellissimo corpo era ricoperto dalla pelle degli uomini che aveva condotto alla morte.

No, Zircon non poteva sopportare questo! Egli era balzato fuori dalle onde e, ripreso il flauto, si era messo a suonare con tutto il dolore dell’uomo di fronte al tradimento.

Giorni e giorni erano passati ed egli continuava a suonare. Non aveva mangiato né bevuto, né ricordato le sue pecore abbandonate che morivano una a una attaccate dalle fiere.

Infine, la fanciulla dai capelli di serpente gli era apparsa ancora una volta nella sua vera natura. Ora non lo accarezzava più come un soffio di vento ma, intorno a lei, fremeva la tempesta. Le acque torbide del lago alzavano spaventosi cavalloni, intorno si ammassavano venti da spazzare via tutta la

terra.

-Vattene, non voglio la tua vita.- gli aveva detto ridendo quella donna orrida e crudele –Volevo giocare con te, ridurti in mio possesso e ci sono riuscita! Ormai hai perduto tutto: le tue pecore sono state divorate dagli animali feroci, Penelope non ti vorrà più e neppure la tua famiglia. Vai pure!-

Con un’ultima risata di scherno, lo spirito si era sprofondato di nuovo nelle acque, mentre intorno infuriava la bufera.

Zircon non si era mosso di là e aveva continuato a suonare. Lentamente, l’atmosfera si era rasserenata, morbidi petali di fiori erano scivolati sulle sue membra e gli sembrava ancora che fosse lei ad accarezzarlo come in un soffio di vento.

Nessuno l’aveva visto mai più.

Molti secoli della Terra erano trascorsi prima che allo spirito maligno fosse stato concesso di tornare ad avere un corpo umano.

-Se devi faticare tanto nella vita terrena – spiega il maestro in cielo – è perché devi scontare tutto ciò che hai sbagliato in una vita precedente. Il tuo karma conosce ogni cosa del passato e del futuro: nella catena delle incarnazioni nulla avviene a caso ma ogni evento è conseguenza dei fatti precedenti. Se, invece, fai qualcosa di buono sarai ripagato nella prossima incarnazione.-

L’insegnante, un samniasi dalla lunga tunica arancione, i capelli bianchi e la barba incolta, chiarisce ancora:

-Non dobbiamo confondere la Vita con l’Esistenza. L’Esistenza riguarda la nostra comparsa fisica sul pianeta e si conclude con la nostra morte. La Vita, invece, non conosce fine: essa è impermanente. La Vita non è soggetta a inquinamenti; è immutabile, inalterabile, oltre la dualità dei contrari.

-Ma io voglio un’esistenza migliore!- si lamenta Maria.

-Un’esistenza migliore non è fuori, è dentro di te, nel livello di coscienza che avrai raggiunto.- risponde Chiara.

-Brava!- approva il monaco.- Ognuno deve percorrere la propria strada e acquisire un livello di coscienza sempre più profondo. Spesso le strade dei nostri amici e di coloro che amiamo corrono parallele alla nostra per un arco di tempo e noi riusciamo a trarre beneficio dalla condivisione e dall’aiuto reciproco. Se qualcuno, infatti, può insegnarci qualcosa, dobbiamo ascoltarlo con umiltà ed essergli riconoscenti perché ci dà la possibilità di migliorare. Infine, però, ognuno è responsabile di se stesso e la strada da percorrere è quella individuale. Siamo soli nella progressione dello spirito così come al momento della nascita e della morte.

-Ogni attimo è quindi estremamente importante. –asserisce Elisa- Ad esempio, nella mia ultima esistenza terrena, ho dovuto affrontare tante

sofferenze. Eppure, non sarei tornata indietro, per evitarmi qualche dolore, neppure di un mese, perché ogni giorno capivo di sapere qualcosa in più del precedente.-

Alcuni alunni, stanchi, si alzano e passeggiano intorno al banco…

-Attenti, ragazzi. – richiama il maestro – Questi sono concetti essenziali. Chi vuole dire qualcosa?-

Ilaria china il capo spaventata…

-Vediamo chi non è stato attento. Tutti mettano la testa sul banco senza guardare i compagni e chi non è stato attento alzi la mano. Così solo io, il maestro, vedrò chi si è comportato in modo immaturo e non è pronto per ritornare in un’altra condizione terrena. –

Gli allievi appoggiano le testoline dai vari colori sui loro banchetti. Qualcuno, vergognandosi un po’, alza la mano. Il samniasi sorride dolcemente. Egli ha concluso la lunga catena delle incarnazioni e ora si occupa di educare gli altri.

-Vieni, Ravi. Per te è scritto che potrai condurre molte altre persone sulla via della luce, insegnare la rotta a chi è confuso, perché Dio è con te. Tornerai presto sulla terra e Rosaria ti accompagnerà lungo il cammino.-

An Ni, che un tempo si era chiamata Penelope, guarda con i suoi occhioni neri Wu. Presto, anche a loro sarà concesso di avere un’altra esistenza. “Non importa quante volte dovrò tornare sulla Terra, – pensa -mi basta che ogni volta Wu sia con me.”

 

Renata Rusca Zargar è autrice del libro “Pietre e piante: portafortuna, talismani e benefici effetti curativi per ogni SEGNO ZODIACALE”

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Chi è Renata Rusca Zargar

Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.

Tra gli ultimi nati c’è una raccolta di lavori delle signore anziane che hanno seguito i suoi corsi gratuiti di Lettura e Scrittura Creativa: “Leggere e scrivere …per divertimento, raccolta di racconti, poesie, disegni, calligrammi dei Corsi di Lettura e Scrittura Creativa”, pubblicato da Amazon.

Si occupa della Biblioteca di volontariato Libromondo e, prima del Covid, portava i libri in prestito nelle Scuole. Cura un blog di cultura, ecologia e società Senzafine: Arte, Cultura e Società di Renata Rusca Zargar  link

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