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Il grande valore del “Principe nero”, pugile dei tre mondi

Peter Jackson fu un peso massimo australiano di fine ‘800, soprannominato “the Black Prince”, il Principe Nero.
Affermare che fosse un pugile straordinario, è dir poco.

Sebbene la sua famiglia fosse originaria della Giamaica, era nato nell’isola caraibica di Christiansted, a quel tempo appartenente alla Danimarca, da un cambusiere di una grande proprietà, anch’egli di nome Peter Jackson, a propria volta figlio di uno schiavo liberato.

Peter JacksonDopo una buona educazione scolastica basica, Peter divenne marinaio e nel 1880, a diciannove anni, approdò in Australia, dove prese a lavorare in un hotel costiero.
Nel 1882, a Brisbane, cominciò a praticare il pugilato sotto le indicazioni di Larry Foley, vecchio campione di bare-knuckle.

In conseguenza di un brillante avvio di carriera, il 25 settembre del 1886 affrontò Tom Lees, per il titolo australiano dei massimi, avendone ragione sulla distanza delle trenta riprese.
Alto 187 centimetri, pesante 85 chili, Peter Jackson era un pugile rapido ed intelligente, capace di lunghe combinazioni complesse, molto rare per l’epoca.

Il 18 aprile del 1888 salpò per gli Stati Uniti e per la Gran Bretagna, da cittadino australiano.
Tra il 1888 ed il 1892 combatté con ventotto degli uomini più forti del mondo anglosassone, non uscendone mai sconfitto.

Il 21 maggio del 1891, a San Francisco, lui e James J. Corbett si affrontarono in un epico match sulle sessantuno riprese, terminato in un salomonico no-contest.
Dopo quell’incontro, il campione John Sullivan rifiutò di mettere in palio il proprio titolo mondiale contro un “negro”.
Pure Corbett, una volta divenuto padrone del mondiale, si guardò bene dall’incontrare nuovamente il Principe Nero ma, da vero gentiluomo qual era, ammise che Peter Jackson avrebbe battuto qualunque massimo in circolazione.

Non trovando avversari si imbarcò per il Regno Unito, dove arrivò a fregiarsi del Titolo dell’Impero Britannico, difendendo il quale si procurò l’infortunio che gli accorciò la vita.
Durante il match con Frank Slevin, infatti, due costole gli bucarono un polmone.

Si ritirò dal pugilato, ma il richiamo del denaro lo fece tornare per affrontare il gigantesco Jim Jeffries.
Malato e ben distante dal pugile che era stato, riuscì a tenere il ring per soli tre round.
Tornato in Australia, morì nel 1901 vittima di tubercolosi, malattia contratta in seguito all’infortunio di nove anni prima.

Aveva solo quarant’anni.

Di carattere onesto e sincero, Peter Jackson si era fatto benvolere in vita guadagnandosi, inoltre, il massimo rispetto dovuto all’enorme valore come combattente.

I suoi amici eressero una tomba nel cimitero di Toowong, Queensland, con l’iscrizione “This was a man”, ‘questo era un uomo’.

Appena divenuto il primo campione del mondo dei pesi massimi di colore, Jack Johnson, il gigante di Galveston, si sobbarcò un lungo viaggio per rendere omaggio alla tomba di Peter Jackson, il quale non era divenuto campione del mondo esclusivamente per il colore della propria pelle.

Marco Nicolini

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