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Storia surreale di una vita reale N # 1

Storia surreale di una vita reale N # 1

Sono nata ufficialmente in un caldo pomeriggio dell’agosto del 1978 dopo un lungo travaglio terminato con parto cesario, non volevo alzarmi!

Stavo cosi bene li accudita e dormiente che agli stimoli dell’ ostetrica e alle urla di Mamma ho risposto girandomi dall’altra parte …letteralmente!

Feci una mezza torsione e mi misi di traverso, stramba per natura, tirai il mio primo tiro mancino, non per cattiveria ma da vera mancina, sono sicura che svoltai a sinistra, perché è quello il lato su cui mi adagio se voglio sognare, in quel momento come oggi non ne volevo proprio sentire di alzarmi, di venire al mondo, non c’erano e non ci sono sveglie che possono interrompere il mio sonnecchiare quando il mio cervello dice ancora cinque minuti, perché? Perché è altrove.

Il surreale e il sogno hanno sempre scandito la mia vita, e credo che l’ inizio sia stato proprio li, in quel ventre materno: perfetto, caldo, autosufficiente e protettivo. Non potevo che non essere mancina!

Sono nata il 1° agosto, ma rinata tante volte in questa mia vita, trasformandomi e trasformando materia, alterando irrealtà, fondendo insieme e montando alla meglio con un tagli e cuci simile all’antica arte cinematografica il mondo reale con quello onirico.

La mia prima volta, la mia prima rinascita quella più antica, quella che ricordo vividamente fu durante una notte di un imprecisato giorno del mio 7° anno, era sicuramente inverno perché ricordo il caldo delle coperte e il loro peso sul mio corpo, rincalzate ogni sera come rituale benevolo da Mamma … dormivo… come ogni notte precedente a quella fantasmagorica notte, spiritelli cattivi e demoni della mente facevano capolino nel mio magico mondo fatato, e a loro piacimento trasformavano le mie notti in un’altalena d’emozioni: curiosità, paura, impotenza e disperazione.

Il sogno era sempre lo stesso; me felice in un mondo tutto mio, pieno di luci e colori, popolato da strambe creature con cui mi dilettavo in giochi piacevoli, come una piccola Alice in erba rincorrevo già il mio Bianconiglio dalle molteplici forme, ma la sua tana piena di pericoli e tenebra era sempre pronta ad inghiottirmi in un volo interminabile verso l’abisso… precipitavo e urlavo per un tempo che sembrava eterno, era troppo reale, troppo angosciante, troppo per me piccola.

Quel dannato buco era sempre in un posto diverso, impossibile da prevedere, impossibile da evitare!

Mi svegliavo sempre madida di sudore, urlante muta nella notte buia della mia camera e troppo orgogliosa per chiedere aiuto ai miei genitori che dormivano nella stanza di fianco, tremavo per un freddo irreale che proveniva da dentro, sobbalzavo ad ogni minimo rumore percepito dalle orecchie tenute dritte come un coniglio in aperta campagna, cercavo rifugio sotto le coperte o meglio sotto quell’armatura invincibile, super scudo protettivo attivo contro ogni male, attentissima a non far entrare nemmeno uno spiraglio d’aria, e a non scoprire nessun centimetro di pelle. Non mi ricordo se all’ epoca conoscessi Alice nel Paese delle meraviglie, credo comunque che sia un archetipo ricorrente quello di cadere nel vuoto, e comunque quel mio mondo era lontano anni luce dalla brughiera dell’inglese Carrol, nei miei sogni c’erano paesaggi a me conosciuti, non c’erano tazze di the o cappellai matti, ma tanti animali parlanti con cui giocare tratti direttamente da quelli vivi in carne e d’ossa accuditi da Nonno nella sua magica campagna, luogo per me fatato, teatro di mille avventure soprattutto d’estate quando stavo li per tutte le vacanze finita la pallosa scuola. Mi sembra ancora di sentire il sapore dei fichi d’india, delle susine o pesche bianche appena raccolte per colazione, il gusto dell’Orzobimbo disciolto rigorosamente nell’ acqua calda, l’odore della terra ancora carica dell’ umidità della brina notturna e il mare all’ orizzonte incorniciato fra carrubi, mandorli, olivi e agavi giganti.

Il cantare degli uccelli che cambiava, non più quello notturno a tratti inquietante come le civette o i cuccumeo così chiamati da nonno, ma nuovi suoni: gracchianti delle gazze ladre, bassi dei colombacci, ammiccanti delle tortore, curiosi dei fagiani, ipnotici delle galline, divertenti delle papere, ritmati delle cicale e melodiosi degli uccellini di ogni tipo sia liberi che in gabbia. Ma primo su tutti era il gallo, tromba militaresca che faceva a gara coi rivali del vicinato, sveglie puntuali, come orologi svizzeri.

Quel giorno imprecisato d’inverno del mio 7° anno di vita arrivò portando l’inaspettato, il miracolo; un evento magico che mi trasformò nell’ argonauta del surreale, pilota astrale, eroina di prodezze inimmaginabili sia ad occhi chiusi che aperti, quel giorno o meglio quella notte era arrivata…era arrivata in punta di piedi senza avvertire, per mutare per sempre la direzione della mia vita.

Come ogni notte ero dentro l’ incubo, stavo precipitando, l’abisso mi stava inghiottendo nelle sue fauci di terrore senza fine, vedevo le mie codine raccolte negli elastici a forma di ciliegie rosse sobbalzare, allungarsi, contorcersi sopra la mia testa e fu li in quel momento che senti un fortissimo calore al petto, quell’ onda di calore potente presto avvolse tutto il mio piccolo corpo, mi raggomitolai accelerando la caduta ad ogni capriola, ruotavo come una palla incandescente, come una grande stella che entra nell’orbita terrestre lasciavo sopra di me una scia di polvere lucente, e li in quella posizione raccolta, con le gambe al petto strette dalle braccia in una morsa impenetrabile decisi che stavolta sarebbe andata diversamente.

Concentrai tutta quella forza e calore per me nuove in ogni centimetro del mio essere e in un singolo istante mi aprì come pronta ad atterrare su un grande tappeto elastico, come una atleta che atterra dal suo salto carpiato da medaglia olimpica con le punte dei piedi toccai l’aria che si era tramutata in materia, con una forza mai sentita prima caricai sulle ginocchia e come cigno spiccai il mio primo grande volo.

Ricordo ancora la sensazione di stupore, di vittoria, di rivalsa contro quel buco interminabile, come per incanto planavo nel grande cielo, potevo vedere stelle e pianeti oltre quel labile orizzonte terrestre su cui volteggiavo, sospesa fra la terra e le porte dell’universo avrei potuto superare quel limite invisibile fra Gea e le infinite galassie, ma volsi lo sguardo in basso e riconobbi il tetto della mia casa, le strade attorno luogo di giochi all’aperto quando il sole splendeva caldo, il campanile della chiesa a pochi passi da me, il mare all’orizzonte, volteggiai su tutti i luoghi a me cari e conosciuti, stavo volando, stavo volandooo!

Non c’era più paura, non c’era più terrore, un piacere immenso; leggera, gioiosa, determinata, LIBERA.

Penso di aver volato e ispezionato ogni angolo per tutto la notte, stavo cosi bene in quella realtà dove potevo scegliere e decidere d’andare a zonzo senza controllo che fu davvero difficile per quelle parole dette dolcemente all’orecchio far breccia …

“Simonetta, Simonettaaa, SimonetAAA!”

Era Mamma, si tornava alla realtà, alla colazione, alla vestizione prima della scuola.

Ricordo che avevo 7 anni perchè era da poco che dormivo in quella stanza, e quella notte fu l’ultima volta che entrai nella mia luminosa stanza della vecchia casa, c’erano ancora tutti i giocattoli sparsi sul pavimento, volteggiando leggera sul giardino salutai Tarta e Ruga le mie prime due tartarughe d’acqua e il pesciolino rosso li seppelliti comprati alla fiera di Santa Rosalia.

La paura sconfitta nel sogno di quella notte mi rese più forte anche nella realtà, divenni più ribelle che mai; ingestibile perché credevo d’essere invulnerabile e capricciosa perché volevo rivivere quella sensazione di libertà così lucidamente sperimentata da sembrar vera.

Non potendo farmi spuntare le ali nella realtà ripiegai per qualcosa di più semplice e raggiungibile per la mia giovane età… mi segnai a pallavolo.

La Simonetta dal corpo fragile che a 14 giorni della nascita il destino avrebbe voluto portar via attraverso una bottiglia di vetro d’acqua Sangemini addizionata di Acido Borico, lasciata distrattamente sul tavolo della cucina dalla Bisnonna, e usata come sacra acqua aggiunta al latte in polvere per le poppate di quel giorno di Ferragosto del ‘78, finalmente si sentiva più forte, si sentiva che avrebbe anche potuto affrontare il dramma del cibo.

CIBO…perché per me era solo quello, non fonte di piacere come per ogni bimbo che cerca leccornie e piaceri della gola, a me questa goduria era negata, l’acido anche se diluito aveva danneggiato le mie budella di poppante e anche se erano passati 7 anni ancora non ero guarita del tutto, nel sogno potevo mangiare tutto quello che volevo, ingozzarmi di arancine, pizzette, formaggi, cannoli, cioccolata, caramelle e panna, proibitiSSIMI dalla mia dieta a base di pasta e riso in bianco, verdure bollite o crude e carne alla piastra! Due Palle !!!

E se sgarravo Plasil, siringone sulle chiappette per almeno un paio di giorni dopo il consueto rituale, ovvero gli incontri ravvicinati con la tazza del wc tenuta a debita distanza dalla mano di Mamma che pressava sulla fronte. Per iniettare il liquido dolorosissimo dovevano tenermi in tre, mi trasformavo in Linda Blair dell’Esorcista! Come poteva non essere cosi? D’altronde ci si assomigliava anche per il vomito verde mescolato alla bile, per essere uguali mancava solo il particolare di ruotare la testa di 360°,

e se avessero mollato un pò la presa per scappare al supplizio anche la facoltà di arrampicarmi sul soffitto.

Quel primo volo, quel primo vero atto di ribellione della mia anima fu il primo di una lunga serie, il mio primo rinascere, il mio vero luogo dell’immaginazione, dove potevo sentirmi mago in azione, dove potevo ritornare tutte le volte che avevo paura, dopo che il cibo ritornava in gola e mi saliva la febbre o semplicemente per sentirmi felice e creare i mie mondi di perfetta armonia.

Cresce Simonetta dopo quel volo e crescono anche le possibilità, inizio a disegnare e dipingere le mie sensazioni, le mie surreltà, i miei mondi visti ad occhi chiusi, i mie mondi agoniati ad occhi aperti.

Uso l’ arte e l’immaginazione per trasformare il mondo che mi circonda, ieri come oggi, ieri quando davo vita ai suppellettili di Mamma che muti stavano dentro le vetrine del soggiorno colorandoli e rendendoli vivi, ieri come oggi incollo assemblo, taglio e cucio tutto ciò che avevo ed ho a disposizione, il mio gioco è ed era, creare il gioco! Come creare la casa, l’abbigliamento e quant’altro per le bambole con cui giocavano le mie sorelle. Oggi è gioco cesellare i gioielli sulle latte del tonno o assemblare oggetti di design, decostruire, dipingere, mettermi in gioco nelle performance o scolpire tronchi di legno, metamorfizzando materia per creare nuove forme, nuove visioni.

Ieri era trovare il sistema per farla sempre franca con Mamma e far disperare Nonna, inventarne una al momento per rendere ogni giorno memorabile, mi diceva Nonna “te una ne pensi e 100 ne fai”, oggi è il gioco della Prima Volta, un gioco che faccio da anni, fare consapevolmente ogni giorno una cosa mai fatta, mai vista, mai sentita, farla per la prima volta, ricercarla e applicarla, o vederla semplicemente materializzare cambiando a volte una piccola virgola del vissuto, le PRIME VOLTE SONO POTENTI, sono l’inizio, sono la svolta, sono una porta a tornelli.

Ieri, assaggiare di nascosto a piccole dosi tutto ciò che mi passava per la testa senza pensare al Plasil, oggi ESAGERARE col formaggio e latticini vari e se proprio il mal di testa non passa… via due dita in gola, sgarrare con moderazione a volte non basta!

A quel tempo della mia infanzia nella fretta di mangiar e fregar di nascosto dal frigo gli intoccabili, succedevano anche i drammi… quelli che ti segnano per sempre, quelli che ti faranno amare o odiare per vita natural durante qualcosa, come diceva Freud “il cibo è tabu”! Era estate ero in campagna dai nonni tutti dormivano nella siesta caldissima sicula, io sgattaiolo quatta quatta come gatto selvatico in cucina, apro il grande frigo bianco stile anni 70 portato direttamente dall’America e afferro la bottiglia in vetro dal colore indefinibile a pallini e righe a rilievo della sognata Fanta…già ne pregustavo il dolce sapore frizzantoso… ma stavolta Giovanna, Nonna Giovanna bersaglio dei mie scherzi più atroci e fantasiosi, senza volerlo l’aveva tirato a me lo scherzetto perfetto…e senza dolcetto!

Agguanto la bottiglia do una sorsata memorabile… manca poco vomito… erano tuorli crudi, avanzi della bagna per gli arancini, che attendevano li in frigo nel loro involucro inusuale prima di diventare frittata per la sera. Un DRAMMA… altra bottiglia traditrice lungo il sentiero della mia vita, ma non potevo farmi scoprire, buttai tutto giù, ancora oggi non sopporto l’odore dell’uovo crudo… per fortuna però non servì il siringone con il Plasil, ne l’incubatrice e la lavanda gastrica come quando avevo 14 giorni di vita, le uova di nonno erano imbattibili, super genuine allevate con tutti gli scarti vegetali di cucina, e granaglie varie, nessuna chimica, altro che km zero quelle erano a metro zero dal culo della gallina alla cucina in pochi passi, o forse fu semplicemente solo la paura terribile di essere scoperta che mi fece superare indenne il momento…nessun acido di reflusso… del resto ciò che non ammazza ingrassa!

Il sogno di quella notte imprecisata di un inverno del 1985, lo cerco e lo ritrovo, come regista cambio la storia che inizia nella mia testa, lo piloto nella direzione che più mi aggrada, e nella ricerca dei simboli e archetipi che esso contiene trovo vie per la mia vita, trovo spiegazioni del mio inconscio.

Cresce Simonetta e anche se donna quarentenne ogni notte ricerca quel volo, quel incamminarsi in terre inesplorate, leggendosi dentro, spalancando le porte dell’ inconscio come uno stars-gate dell’anima, ogni giorno un passo dopo l’altro sempre in bilico fra la realtà e surreale.

Quel grande volo del ‘85 ancora oggi lo ricerco con dovizia attraverso le maratone oniriche dei giorni di ozio programmato, dormite simili ad un concentrato di diverse stagioni di una Serie TV. Dormire è come farmi le carte, è come andare al cinema, è come meditare, dormire per me non è andare a letto ma è varcare porte sconosciute che mi svelano sempre di più me stessa e ciò che mi circonda, li le percezioni si dilatano il tempo non esiste, il sogno è la più potente droga allucinogena naturale che esista, ho dipinto per anni i miei sogni, ho plasmato per anni le mie allucinazioni notturne, li ho evocati con Automatismo Surrealista e li ho visti emergere potenti in macchie colorate o in blocchi di legno e d’argilla.

Si dice che chi ha un sogno non invecchierà mai, io ne ho tanti, li coltivo nel surrealtà così come nella realtà…giardiniera, coltivatrice diretta di semi magici alla ricerca della pianta che sono, dei frutti che ancora non ho raccolto, dei colori di cui ancora non mi sono tinta, dei suoni che ancora non ho udito perché giacenti in conchiglie in fondo al mare.

Come personaggio dalle mille maschere indossate e recitate cerco l’autore che è dentro di me, cerco la vertigine dell’inatteso, la scintilla divina che accenda le mie lampadine, il ritmo che tenga vivo il cuore e la mia immaginazione.

Cerco le mie mille me che sono già e che ancora non so d’essere, lo stupore del nuovo e il riconoscimento dell’antico tracciato, sentire le radici ben salde che copiose affondano nella terra mentre osservo le fronde che si lasciano scuotere dal fluire della vita.

Piegarmi senza spezzarmi! Come un giunco nella palude cerco l’aria leggera che mi scuota dentro, che mi faccia sentire la gioia della bimba e la consapevolezza della donna che sono, che sono stata e che sarà.

Spero che il cammino sia lungo, che mi doni ad ogni respiro il piacere della vita stessa, dell’ignoto visto come fucina di novità e non angoscia del non sapere, che ad ogni passo compiuto mi renda alchimista trasmutatrice del ferro impuro sedimentato nel mio cuore in oro lucente e nobile, che faccia sgorgare quel aurea protettiva d’arcobaleno per i giorni più bui di tempesta.

Il sogno, il vero sogno quello più intimo egoistico anelato è lasciare il segno, lasciare traccia non labile come orme sulla sabbia, ma incisiva come mazzuolate sull’eterna pietra scolpita resa come velluto o dipinta come la carne viva e pulsante.

Quindi … chi sa magari diverrò la più longeva donna terrestre dalle mille storie da raccontare e da ascoltare … o se proprio devo sognare magari … la prima terrestre immortale!

Sogni d’oro sognatori argonauti in ascolto, che la vita possa essere per noi intreccio su dimensioni ancora non visibili, disegno ricamato di noi intrepide anime che ci incontriamo sulla terra o nell’elettricità del campo magnetico, che come innumerevoli fili variopinti tessiamo sul broccato prezioso di questa stoffa che è l umanità relazioni, reazioni e azioni svolte volte e avvolte da sana magia creatrice.

L’immaginazione è l’atto magico che rende possibile ciò che il raziocinio della mente che mente reputa impossibile, è il potere il vero potere divino che rende materia tangibile ciò che è solo un pensiero, è una lente caleidoscopica che sfaccettando il grigio della triste banalità del NON E’ POSSIBILE crea le vie inesplorate dei pionieri e dei sognatori che hanno e che faranno della terra un posto migliore.

Sogni d’ oro non è un semplice augurio smielato da scrivere su WhatsApp, sulle bacheche dei social o da sussurrare come routine all’orecchio di chi ci sta vicino, o tramite telefono a chilometri di distanza, è il miglior augurio dal cuore al cuore, è la chiave magica che spalanca il serraglio più arrugginito, lucida la via delle stelle, è come acqua cristallina donata nel deserto che fa sbocciare i fiori variopinti dell’inconscio.

Quindi… SOGNI D’ORO e D’ARGENTO e se vogliamo proprio esagerare…tempestati di pietre preziose!

Simona Dipasquale

Il racconto ha partecipato al concorso “Raccontami una storia: parlami di te”

 

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