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Il bambino che amava un computer

“Il bambino che amava un computer”

di Anna Chiara Macina

Secondo il mito platonico di Er ogni anima sceglie un proprio compagno segreto, quello che i Greci chiamavano Daimon, i latini Genius e i cristiani angelo custode. E’ lui, nel bene e nel male, a tessere le fila del destino di colui o colei a cui è assegnato.

“Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un disegno che in seguito andremo a vivere sulla terra, e riceve un compagno che ci guida, un daimon, che ci rappresenta e si sovrappone a noi alla nostra parte più vera. Solo che ci dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. E’ la ricerca del nostro daimon dimenticato a stimolare ed ispirare tutta la nostra emozionante avventura terrena. È il daimon il portatore del nostro destino.” James Hillman

Il daimon di Leonardo è un computer, una sorta di robottino ispirato con il quale poter dialogare e giocare.

Un compagno di giochi che rispetto agli altri in carne e ossa ha un valore aggiunto: comprende ciò che gli dice, se formula un istruzione in modo chiaro e con il cuore aperto lui la esegue perfettamente e non perché non ha altra scelta ma perché così deve essere.

Leo cresce in una casa piena di testi su computer e leggi della fisica, scopre che nella certezza di questi assiomi c’è tanta poesia e verità, così come nel suo computer che diventa un compagno di viaggio fedele e unico, tanto che un giorno ormai cresciuto si trova a programmare un gioco informatico, lo mette in rete ed è battuto da un altro  nel giro di pochi minuti “un po’ come essere battuto da tuo figlio al quale hai insegnato a giocare a carte”.

Leo crescendo intraprende un percorso di studi coerente al proprio Daimon: Informatica, in una città grande e lontana dal suo paese, il giorno della laurea tra i relatori c’è l’autore del libro che sfogliava da piccolo e in quel momento comprende che veramente la vita come sostiene Steve Jobs è una lunga serie di puntini che si uniscono e lui è felice di non avere mai ostacolato ma sempre assecondato questo flusso continuo che lo sta portando a fare della sua passione la sua professione di vita: programmare un computer, un’attività che per chi non ne conosce il valore può sembrare importante si, ma noiosa e asettica  invece è intrisa di poesia e creatività.

Per lui è così.

Interagire con un computer non differisce molto dal costruire qualcosa con i lego, solo all’ennesima potenza, puoi creare programmi per creare immagini, musica, altri numeri e qualsiasi cosa ti venga in mente, una bella sfida, perché un computer fa esattamente ciò che gli dici di fare, che non coincide mai con ciò che hai immaginato di fare.

Un po’ come succede nelle relazioni umane: si parte con un input che porta lungo il suo percorso a una strada del tutto diversa da quella ipotizzata in principio.

Un’attività che lo riporta a stretto contatto con il tempo dell’infanzia, al gioco, alla progettualità sperimentata con i Lego: assemblando tanti pezzi si dà la vita a un unicum, a un sistema distinto.

La programmazione informatica è l’arte di creare istruzioni che un computer può eseguire. È un modo per comunicare con le macchine attraverso un insieme di istruzioni logiche e precise, scritte in linguaggi comprensibili sia per gli umani che per i computer.

E’ più semplice interagire con un computer o con un essere umano? Se lo chiede ogni tanto Leo, soprattutto in quei giorni in cui le istruzioni sono chiare nel suo cuore ma non elaborate in maniera altrettanto efficace e chiara dalla sua bocca, quando è la rabbia a prendere il sopravvento e la frustrazione di non essere stato abbastanza chiaro.

In quei giorni vorrebbe che il suo volto fosse illuminato solo dalla luce del suo pc ed è in lui che ritrova fiducia e coraggio per andare avanti

 Un computer è un compagno di viaggio fedele perché dà sempre la possibilità di ricominciare: “Start- stop-reset”, senza serbare rancore per ciò che nella comunicazione è andato storto ma ricominciano a interagire da capo e con fiducia.

Un bel giorno finalmente Leo conosce una persona con cui programmare è semplice e divertente:

lui dà input informazioni ed istruzioni

lei risponde allo stesso modo

lei dà input istruzioni e informazioni e lui li restituisce a lei con un sorriso e un mazzo di fiori.

“Siamo pieni di polarità: coppie di parole che si tengono per mano”

Il modo in cui si comunica e recepisce il detto e non detto è influenzato da diversi fattori, interni ed esterni: la propria storia, esperienza, emozioni, aspettativa, sentire, carattere.

Dopo un certo periodo d’interazione reciproca si finisce con l’acquisire un codice comune, un proprio linguaggio condiviso, fatto di termini usati spesso, e legato a storie ed aneddoti condivisi.

I due scoprono di avere un linguaggio comune e di poterlo continuamente utilizzare e sperimentare per rendere l’interazione più fluida ed avvincente.

Quel giorno il primo puntino tracciato quando era solo un bambino che cominciava a empatizzare con i computer si unisce all’ultimo in un giro armonico: programmare non è imporre è trovare un linguaggio giusto e coerente “Parte della disumanità del computer sta nel fatto che, una volta programmato e messo in funzione, si comporta in maniera perfettamente onesta”.

(Isaac Asimov)

A questo punto, diventa straordinariamente facile comprendere la nostra vita: comunque siamo, non potevamo essere altrimenti. Niente rimpianti, niente strade sbagliate, niente veri errori. L’occhio della necessità svela che ciò che facciamo è solo ciò che poteva essere.

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