martedì , Aprile 16 2024

Come due parti dello stesso cuore

Nelle notti buie si muovono gli animali affamati e guardano le tenebre come un libro aperto: annusano l’aria standosene dove finisce il vento e lottano instancabilmente per rimanere un giorno in più in questo mondo.

Kaya, una cagnolina bianca con la macchia nera a forma di cuore sulla testa, aveva un collare di cuoio con attaccata la medaglietta argentata che riportava il suo nome.

…un particolare che lei ignorava.

Aveva un anno quando la bambina a cui era stata regalata, il Natale precedente, l’aveva perduta in una spiaggia frequentata dai locali dell’isola.

Argiro, la bimba, era coscienziosa e sensibile: teneva Kaya all’ombra, le dava da bere con regolarità, non permetteva agli altri bambini di opprimerla con i giochi privi di cura tipici della loro età.

Dopo aver legato Kaya alla base dell’ombrellone, si era concessa il divertimento delle onde di Agios Nikolaus con le sue cugine, chiudendo il boccaporto con la realtà per alcuni minuti.

Quel tempo era bastato a suo padre, Manolis, per staccare il moschettone del guinzaglio e passare la cagnolina allo zio Stamati, il quale l’aveva caricata in macchina per partire a tutta velocità verso il monte Lastos.

La cagnolina era in attesa di cuccioli: un pensiero troppo complicato e pesante per un padre di famiglia che già sentiva di aver troppi grattacapi da risolvere.

Così, Manolis, il tappezziere di Othos, aveva deciso di disfarsi della cagnolina, facendola abbandonare tra i monti da suo cognato, Stamati.

Argiro, secondo lui, se ne sarebbe scordata dopo pochi giorni e qualche pianto sempre meno disperato.

Così, però, non era stato.

Dal momento in cui aveva interrotto il gioco con le cugine per correre da Kaya, trovando solo il guinzaglio, la bimba era caduta in una silenziosa disperazione, troppo grande per la sua età.

Aveva smesso il suo vociare allegro, di giocare con le altre bimbe e aveva preso a mangiare appena il necessario.

“Amore mio” le aveva detto il padre “sono cose che succedono: i cani si stancano e decidono di fuggire”.

Argiro aveva risposto con la condanna che gli occhi di una bimba di nove anni rendono inappellabile: “L’avevo legata con cura, il suo collare era nuovo, attorno a lei c’eravate tutti voi.”

“Non-può-essere-scappata!!”, terminò poi, scandendo ogni sillaba.

Detto ciò, si era girata allontanandosi senza correre ed aveva trovato rifugio nella sua cameretta.

Non aveva mai pianto davanti a nessuno, dal giorno in cui Kaya era scomparsa, ma lì, fissando la cuccia vuota, si lasciava spesso andare a lacrime irrefrenabili, giungeva le mani e chiedeva a Sant’Andrea Protocletos di aiutarla a ritrovare la sua cagnolina.

La quale, da quasi due mesi, vagava per i monti, aveva messo al mondo quattro cuccioli, mangiava quel che trovava per i brulli monti e lottava disperata per la sopravvivenza sua e dei suoi piccoli!

Quella sera si aggirava nei dintorni delle case dei minatori, dove tanti pericoli erano in agguato per una cagnolina indifesa.

Lascia quel boccone! Disse ad un grosso cane marrone dalle gambe corte.

Perché mai dovrei farlo?, rispose il maschio di razza indefinita.

Perché se non mangio non potrò nutrire i miei piccoli. Sono due giorni che non lo faccio e siamo tanto deboli. Ti prego.

Credi che a me possa interessare? I monti sono pieni di storie tristi, disse burbero il cagnone.

…ed io non sto certo facendo la vita del duca, non so se si noti. Manco mi ricordo l’ultima volta che ho mangiato.

Arriva lei e mi chiede di rinunciarvi. Facile così!

Beh, ragazza, benvenuta nel mondo reale: chi arriva prima, per primo si serve!

…però, sorprendentemente, non aveva addentato il boccone.

Tieni, disse spostandolo col naso, io non ne ho bisogno: il mio padrone sta venendo a prendermi!

Kaya si gettò sul pasto inatteso e mangiò con sollievo.

Grazie molte: ora potrò nutrire anche i miei piccoli, disse con gratitudine.

Come ti chiami?

Il misto segugio rispose di chiamarsi Happy.

Il mio padrone mi ha lasciato da poco, sarà qui a momenti: è meglio che tu vada. Disse accomiatandosi.

Kaya nutrì i cuccioli e decise di spostare la tana prima che la luna sorgesse facendo luce sui suoi movimenti furtivi.

Trovò un posticino sotto un albero delle farfalle e si imbatté nuovamente in Happy.

Il grosso cane stava fissando la strada senza tregua.

Non è ancora passato il tuo padrone?, gli chiese Kaya.

Avrà avuto delle commissioni, rispose Happy, sarà qui a minuti.

Quante volte hai visto il buio e la luce alternarsi da quando ti ha lasciato quassù?, chiese Kaya.

Non saprei. Rispose.

Invece lo sapeva. Non sapeva cosa fossero i mesi, ma ne erano passati quasi tre.

Se ne hai perso il conto, significa che sono molte, lo incalzò nuovamente la cagnolina.

Dimentichi che i cani sanno contare al massimo fino a dieci.

Tranne quel fenomeno da baraccone di Yorkshire della Taverna di Minas: si credeva un genio perché era di razza ed aveva studiato in Inghilterra! Bella roba, poi! Quelli sì che mangiano male.

Siamo fortunati a vivere nelle isole greche, altroché.

Come hai detto che ti chiami?

In quel momento in cui il sole rosso e la luna gialla si fissarono nello stesso cielo, Kaya corse col pensiero ad Argiro. La sua padroncina le mancava molto.

Non può essere che mi abbia davvero abbandonata, si disse Kaya. …e d’un tratto la separazione le fu insopportabile.

Quel giorno in cui una nuvola avvolgeva le vette fino a valle, la piccola cagnolina bianca con la macchia nera a forma di cuore sulla testa decise di scendere dal monte a cercare la sua padroncina.

Cominciò con corse a zigzag di dieci metri per volta; la prima con un cucciolo, la seconda senza. I piccoli, due maschi e due femmine, erano abituati a vivere in ambienti pericolosi fin dalla nascita, quindi conoscevano il patrimonio del silenzio.

Più a valle, Manolis si svegliò madido di sudore per l’ansia del sogno…

Era bimbo, non era ancora il tappezziere di Othos. Aveva nove anni. Sapeva che il suo adorato Coxie, un setter anziano che aveva la sua stessa età, doveva sopportare delle cure dispendiose, ma non era certo pronto a non ritrovarlo più, in quella triste mattina di marzo.

Era certo l’avesse fatto sparire suo padre, nei monti, come si fa con i cani del Dodecaneso.

Avrebbe voluto correre da solo lassù per ritrovarlo ed abbracciarlo. Ma non ne aveva avuto il coraggio: non l’aveva avuto nel sogno e non l’aveva avuto trent’anni prima.

Svegliò la moglie. “Dov’è Argiro?”, le chiese mettendola in allarme.

“È da Stamati, dorme con Anna!” – rispose – “Perché sei così agitato?”

Manolis le raccontò del suo sogno e di come esso ricalcasse un fatto realmente avvenuto. E le disse pure che sentiva che Argiro fosse andata in cerca della sua cagnolina.

“Ma perché??” – gli chiese la moglie – “Tu mica lo facesti”.

Manolis piegò la testa ed ammise: “Perché io sono sempre stato un vigliacco, mentre Argiro è coraggiosa e determinata!”

Chiamarono in piena notte a casa di Stamati.

Dopo una risposta sonnolenta con un “vado a controllare”, l’apparecchio restituì una voce ben più agitata: “Argiro non c’è! Anna mi ha detto che è andata sui monti da circa un’ora e che sa che io ho portato la cagnolina lassù! Glielo ha detto lei stessa”.

“Passo subito a prenderti”, concluse Manolis che, senza attendere risposta, era già di corsa per le scale.

Argiro era uscita in piena notte con del pane nero, della feta, pomodori ed una sacca di cibo per cani.

Anche se era un luglio del mar Egeo, si era portata una giacchetta più pesante, perché sui monti era sempre freddo e ventoso.

Si inerpicò per un sentiero conosciuto, ma ogni rumore le faceva balzare il cuore in gola!

Era piccola ed indifesa; ma al solo pensare a Kaya da sola lassù, lo stesso cuore le si stringeva nel petto per la pena.

Non si arrese e continuò a salire.

Nel silenzio delle alture, un grosso cane con le zampe corte le si parò innanzi, facendole prendere una gran paura.

“Ti prego, non mi fare del male, sto solo cercando la mia cagnolina”, disse Argiro cercando di sembrare coraggiosa.

Happy, che parlava e capiva solo la lingua dei cani, le disse a sua volta:

Ciao piccola, per caso hai visto il mio padrone. Forse mi sta cercando ed ha perso la strada. È un uomo, come dire, grande, grosso e con la pancia enorme. Quante ne abbiamo fatte insieme: sempre in birreria, tutte le sere con i suoi amici. Le ossa che arrivavano sotto il tavolo, avresti dovuto vedere. Una sera siamo tornati a casa con una ragazza dal pub ed io non ho più dormito sotto il letto. Anzi, non ho più dormito in casa, nemmeno se pioveva. Vabbè, che vuoi che sia; però, una sera mi ha portato quassù a passeggiare, non lo aveva mai fatto; e poi non s’è più visto. Forse s’è perso pure lui, però è tanto tempo che non mangio un pasto decente. A proposito: non è che hai qualcosa da mangiare? Perché io sto veramente crepando di fame.

Argiro, che parlava e capiva solo la lingua degli umani, aveva però il cuore di bimba che le cose dello spirito aiuta a capire prima e meglio; così prese dallo zaino due manciate piene di crocchette di salmone e ci spremette sopra un intero pomodoro fresco.

Mentre il cagnone mangiava decentemente per la prima volta da mesi, Argiro gli carezzava la testa.

Poi la piccola decise di proseguire. Avrebbe continuato la scalata fino alle vette.

In quel momento, però, sentendo Happy abbaiare, Kaya ed i cuccioli avevano girato al largo tenendosi sottovento. Una vocina aveva soffiato gentilmente al cuoricino di Kaya, ma lei era troppo impegnata coi suoi figlioli e l’aveva ignorata, continuando a scendere in fretta e furia.

Dopo tante ore di ricerca, Argiro era scoraggiata; provò a chiamare Kaya per l’ultima volta e, per raggiungere anche un piccolo prato sottostante, si avvicinò ad un cespuglio.

Qualcosa si mosse ed il suo piede fu attorcigliato da un laccio metallico che le fece male: una trappola per lepri era scattata su di lei. Non poteva più muoversi.

Nella notte buia e fredda, Argiro nemmeno sussurrò le parole stanche che pensava.

Povera me, sono solo una bimba, nessuno sa dove sono, non ho trovato la mia cagnolina e forse morirò per la sete e per la fame.

Non urlò dalla disperazione, perché non ve n’era motivo.

Cinquanta metri più sotto, invece, suo padre e suo zio l’avrebbero sentita e sarebbero corsi da lei, se avesse fatto un minimo rumore.

L’avevano cercata ovunque, sempre mancandola di poco, ed ora erano disperati e scoraggiati.

Avevano chiamato Argiro ripetutamente, ma il vento si era portato le loro grida e la piccola non le aveva udite.

Cominciarono a tornar giù, coprendo nuovi sentieri, nella speranza d’incontrare Argiro.

Senza saperlo, il babbo, che tanto l’amava, la stava abbandonando al suo destino.

Kaya vide gli uomini che l’avevano strappata alla sua padroncina. Finì di nascondere i cuccioli e, questa volta, ascoltò quella vocina che stava soffiando sul suo cuore: era la piccola Argiro…ed era in pericolo!

Balzò davanti ai due uomini e abbaiò loro contro! Poi si girò e s’incamminò verso le vette, senza fuggire.

Manolis e Stamati, inizialmente sorpresi, la seguirono.

Kaya prese ad annusare ogni arbusto, ma non trovava l’odore di Argiro; c’era solo il suo cuore a parlarle ed a dirle che la sua padroncina era vicina.

Uno dei due uomini gridò. Ed allora, pochi secondi dopo, Kaya sentì la voce di Argiro, per la prima volta dopo tanto tempo.

La raggiunse pochi istanti dopo e le due piccole esplosero in guaiti e lacrime perché i loro due cuori erano le mezze parti di uno solo.

Manolis, mentre liberava il piede di Argiro dalla tagliola che, fortunatamente, non aveva denti, assisteva alla scena con sollievo e, allo stesso tempo, con un grande senso di colpa.

“Papà” – disse Argiro – “queste tagliole non sono degne di persone che poi vanno in chiesa e parlano di amore!”

“Come può una persona far soffrire animali innocenti che cadono in queste trappole mentre sta in casa a guardare la televisione coi propri figlioli?”

Manolis, col cuore in subbuglio per gli avvenimenti della notte, accusò il colpo e fu sul punto di commuoversi mentre parlava alla piccola: “Mi spiace tanto, Argiro. Ti prometto che d’ora innanzi cambierò e parlerò con gli uomini del villaggio per rendere meno crudele la caccia. Kaya, che ha salvato la tua vita e la mia con la tua, perché non potrei vivere senza te, d’ora in poi vivrà come merita”

“Perdonami piccola mia!”

Argiro abbracciò suo padre.

Kaya era già corsa giù per il monte ed i tre umani si affrettarono per raggiungerla. Argiro era in braccio al padre, per il dolore alla caviglia causato dalla tagliola.

Videro subito il motivo della fretta di Kaya.

I cuccioli erano fuori dal nascondiglio e, vicino a loro, il grosso Happy vigilava.

Stamati ed Happy si piacquero all’istante e tutti i cani montarono sul cassone del pick-up di Manolis.

I cuccioli, Happy e Kaya, avrebbero avuto le case che li avrebbero accolti con amore, dopo le lunghe sofferenze della vita randagia.

Arrivati in paese e fermi ad un semaforo, Happy vide il proprio vecchio padrone, quello che lo aveva abbandonato.

I loro occhi si incrociarono. Erano cambiati entrambi: Happy dimagrito e scapigliato per la lotta per sopravvivere, il suo padrone, invece, era ora meglio vestito e ben pettinato per ordine della compagna.

L’uomo staccò gli occhi dal cane che per anni era stato il suo miglior amico e che lui aveva abbandonato a morire, per guardare, al suo fianco, la donna dal trucco pesante e dalle labbra a canotto che lo riempiva di ordini dalla mattina alla sera e che gli aveva prosciugato ogni risorsa.

Capì allora il significato preciso della parola “errore”.

Marco Nicolini – Storyteller

 

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