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Charles Adcock, il primo giocatore britannico con contratto da professionista in Italia

Come sa chi mi conosce, fingo un disinteresse totale per il gioco del calcio: spreco parole, se non autentici sermoni, su quanto il pallone sia immorale e mi scaglio senza freni contro la scarsità di valori sportivi dei giocatori, delle società e di quant’altro graviti attorno a quell’industria.

Ma i miei sentimenti non sono del tutto sinceri.

La verità è che sono un innamorato dal cuore irrimediabilmente spezzato e la mia bella, in questo caso, si chiama Calcio Padova: un amore durato oltre 35 anni, bruscamente raffredato da un mezzo fallimento ed una retrocessione in serie D, prodotti da un circolo vizioso di interessi privati cui il calcio italiano non riuscirà mai a sottrarsi.

Pur con pochissimi successi nel carniere, della mia squadra serbo grandi ricordi: il Padova dei primi anni novanta è quello che più ho amato, non potrebbe essere altrimenti.

Il gol di Maurizio Coppola a Cremona, con la sua successiva corsa a perdifiato fin sotto la nostra curva, è il mio ricordo più bello. Era la rete che valeva la serie A, dopo una lunga lotta durata oltre trent’anni.

Tornando indietro con gli anni, i panzer di Rocco che dominarono per un decennio la serie A, li rammento come i ragazzi che più abbiano coperto di gloria la maglia biancoscudata, nonostante mancassero vent’anni alla mia nascita.

Eppure, ogni tifoso ha un giocatore che gli entra nel cuore, senza che la scelta sia in minima parte razionale.

AdcockNel mio caso, questi è Charles Norman Adcock, ragazzo-soldato inglese che con la maglia biancoscudata, nel 1946 siglò il primo contratto da professionista di un giocatore britannico in Italia.

Sentii parlare di lui quando ero ancora bambino, da un vecchietto all’Appiani, lo storico stadio patavino: era uno di quei pittoreschi pensatori che, nel nostro vecchio stadio privo di pista d’atletica, passavano novanta minuti camminando al fianco del guardialinee, insultandolo senza soluzione di continuità. Alcuni di questi insulti erano realmente fantasiosi ed etimologicamente innovativi, finendo per costituire autentici neologismi entrati di diritto nella cultura cittadina.

Adcock, queo sì chel ièra forte: el gaveva el sangue de giasso!” (Adcock era veramente forte e col sangue freddo). Mi bastò questo per farne il mio idolo.

Scovato il suo nome negli almanacchi, chiedevo con insistenza chi fosse, ricevendo notizie vaghe e frammentarie.

Nel 1990, un anziano di stanza al bar di via Carducci, all’epoca storico ritrovo della tifoseria biancoscudata, mi disse che un suo amico di Brusegana lo aveva conosciuto bene.

L’incontro con costui fu una mezza delusione, perché l’omino, estremamente anziano, era all’ultimo stadio dell’alcolismo, eppure inspiegabilmente vivo.

Qualcosa, però, ne ricavai: il vecchio mi disse, tra un biascicamento e l’altro, che Charles Adcock, soldato dell’Esercito di Sua Maestà entrato a Padova sul finire della guerra, si fosse messo a giocare con un pallone di pezza con dei bambini in Prato della Valle, la piazza più grande d’Europa.

Innamoratosi dello scorcio di cielo azzurro su profilo millenario, regalato da cupole e piazze della città, Charles decise di sostenere un provino con la squadra più importante dell’urbe, il Calcio Padova, allora militante in serie B.

Indossata la maglia bianca con lo scudo sul petto, fece fulgore sul prato dell’Appiani e breccia nei cuori biancoscudati.

Purtroppo, non ho mai trovato altre fonti cui riferirmi.

Il suo passaggio per Padova e la sua vita agonistica all’ombra del Santo, sono riassunte dalle scarne cifre degli annali: 3 stagioni disputate, dal 1946 al 1949, 84 reti realizzate, 2 campionati di B ed uno di serie A.

Non posso non immaginarmelo mentre passeggia tra le splendide riviere, non ancora asfaltate, fermandosi nelle osterie e salutando in un italiano pesantemente arrotondato dall’accento inglese.

E’ un fatto che le sue molte realizzazioni nel 1947-48, fu infatti capocannoniere con 17 reti, contribuirono alla vittoria del campionato di B ed alla promozione nella massima serie; segnò al Verona, al Venezia ed alla Spal, dirette contendenti e storiche rivali.

L’anno successivo, in serie A, non mise la firma nel glorioso 4-4 contro il Grande Torino e nemmeno nel 3-0 rifilato alla Juventus, ma segnò in sette, importanti, occasioni, garantendo al Padova una tranquilla salvezza.

Nel 1999, mentre io ed altri tifosi biancoscudati ci trovavamo alla Taverna Danese del mio amico Marco Rinaldo, in via Gregorio Barbarigo, discutendo di quanto fossero deficitarie le notizie che riguardavano Adcock, decidemmo di scrivere al sindaco della cittadina di Boston, nel Lincolnshire, dove Adcock era nato, chiedendo della sorte del nostro grande attaccante d’oltremanica.

Alcuni mesi dopo ricevetti la risposta, al mio indirizzo di San Marino.

Con secco spirito anglosassone, l’ufficio del sindaco mi aveva risposto, laconicamente: “Charles Norman Adcock è morto nel dicembre del 1998, non prima d’aver dato grande lustro alla nostra piccola cittadina.”

Allora, trovandomi solo ed essendosi chiuso il mio cerchio di tifo per l’inglese biancoscudato, mi sedetti con la lettera fra le mani e piansi per cinque minuti buoni.

Marco Nicolini

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