venerdì , Aprile 19 2024

Tango

Sono un assassino, stanare le spie naziste è il mio mestiere e fingere di aver bisogno d’amore è la mia pausa pranzo. Cagna. Le ho portato dei fiori stamattina. Mi ha accolto con quella sua faccia asettica e m’ha gridato: “Guarda che non sono ancora morta, Antoine”. Cagna. Dovrei trattarla come una cagna e invece mi ostino a cercare l’acqua nel deserto come un beduino che ha scordato la bisaccia. Ma sono attratto dalle dune, è la mia indole da levriero Saluki. Cane. Mi sono visto schiaffare addosso delle splendide orchidee Bletilla stamattina. Le ho subite con questa mia faccia asettica e le ho gridato: “Guarda che non sono ancora morto, Justine”.

tango-grandeCane. Dovrei voltarmi e andarmene per sempre e invece mi ostino a svaporare al sole come la bisaccia abbandonata di un beduino disattento.

Cagna.

Risponde: “Vivi o morti, è solo una questione di punti di vista. Certa gente fa crescere più fiori da concime che da coltivatore”. Chissà allora quanta gente viva è morta per lasciare fiorire quel mio dono, chissà quanta gente morta vive grazie alle orchidee che ho sparse per il vestito nuovo: se n’è fregata dell’infinità dell’esistenza e della sua stessa filosofia. Cane. La lecco come fosse l’unica carne fresca del quartiere, ma come tutti i cani leccherei chiunque per ottenere sollievo. Non appena finiamo di mischiare l’anima con il corpo come fossero caffè e zucchero, ci rechiamo al La Croix per cercare la vittima ventinove. Tiro fuori un pacco mezzo vuoto e mi sforzo di vederlo mezzo pieno. “Pensavo ti fossi tolto il vizio” mi dice Justine. Un vizio non è più tale se diventa consuetudine e qui a Parigi ci sarebbe più gente in chiesa e più anime pulite se al posto dell’ostia benedissero sigarette. Prendo un Marlboro e la serro tra le labbra come una tagliola con la zampa di una lepre.“Questo locale è affollato come l’Inferno, non la troveremo mai”. “Ci finirai davvero se non la smetti con quella roba”, risponde lei con un tono materno, ma non lo sa che io odiavo mia madre, chiunque essa fosse. “Per cosa dovrei finirci?”

“Per aver violato il tuo tempio!” Faccio cenno al barista andaluso di darmi fuego e lui mi fa di no con la testa, dice che no tiene cerillas e che lo siente.

“Poco male” rispondo, “almeno lì avrò da accendere”. “Ma non avrai le tue Marlboro”. Tiro aria pura dal filtro e il risucchio mi penetra fino alla lingua, sembra nulla ma l’atto mi calma come un succhiotto in bocca ad un neonato. “Cosa ti fa pensare che non ci siano sigarette all’Inferno? Probabilmente è lì che le hanno inventate”. “Le hanno, ma quelli come te sa-ranno costretti a fumarle light e al mentolo per l’eternità”. Pago il conto a Felipe e gli lascio tre soldi di mancia. “Cristo santo, preferisco il Paradiso a quella merda”. Mi porto il pacchetto al cuore per-chè l’anima non so dove sia: verrete con me, bambine, a costo di dover-mi inginocchiare di fronte a un mo-ribondo per il resto della mia vita. E mi si presenta lei, finalmente, bel-la come dev’essere una spia, perché nessuno farebbe mai confidenze a una befana. Mi chiede se la man-gio o ho intenzione di fumarla, la mia sigaretta. Tiene la fiamma del suo fiammifero ferma sulla punta e la sposta quando quella comincia a brillare.

La farò fuori, ma prima mi fumerò una Marlboro con lei, se l’è guadagnata: lì dove la manderò tra qualche ora, non potrà mai più godere della gioia del tabacco di qualità. Cane. Non avrò pace finchè non svuoterò la mia ciotola e dopo un’istante avrò ancora fame. Cagna. Justine mi fa cenno di seguire la mia preda e di ucciderla. Non è professionalità la sua, non è lavoro, è solo ipocrita gelosia.

Alessandro Cascio

Tratto dal romanzo “Tango” – Ep. 2 (Il Foglio Edizioni)

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