venerdì , Aprile 19 2024

Raccontami una storia: “Un tempo imprevisto”

UN TEMPO IMPREVISTO

Di Sonia D’Alessio

 

 

LEI: “Addio con brio”

Nella mia vita densa e orientata, ti intrufolasti zitto zitto, scivolando forse sotto la porta chiusa a chiave. Come un profumo.

“Gli incontri arrivano quando arriviamo a un limite, quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente”

Con la mano ancora appoggiata alla maniglia, poggiavo la fronte sulla porta, le orecchie tese ad ascoltare il rumore dell’ascensore che ti portava via, gli occhi chiusi ancora a ricordare il nostro lungo bacio di addio. Mi abbandonavo alla felicità, lasciandomela scorrere addosso come un dolce veleno. Sentivo nella mia bocca il sapore di te, di quell’ultimo bacio sull’uscio della nostra storia sottile. Non ti ho chiesto mai quando… né se…saresti ritornato. Il tempo era per me un dettaglio stupido, inutile. Era importante mettere le essenze di fiori d’arancio nei pourpouri in salotto, quelle alla vaniglia in camera da letto, preparare tutte le musiche, i dettagli. Ma il tempo no. Non m‘importava. Ci dicevamo addio ogni volta. E ogni volta…non so perché… ero felice.

Lentamente riaprivo gli occhi: tutto attorno a me era il palcoscenico di te.

Da smontare.

Con cura.

Con lo stesso amore dell’inizio.

Io, il falegname e lo scenografo.

Spegnevo lo stereo. Ciao, Chet Baker.

Lentamente, svuotavo il vassoio della tua colazione. Tenevo tra le mani con estrema calma e lentezza la tua tazzina, guardavo il fondo del caffè che avevi lasciato: ci vedevo i tuoi lucidi occhi verdi assonnati. Bevevo l’ultimo sorso d’acqua dal tuo calice, come una ladra d’amore. Lavavo e posavo le tazzine del caffè e la caffettiera ancora bollente. Lavavo e asciugavo lentamente cucchiaini, piattini, calici. La crepiera nella quale avevo saltato crepes improvvisate alle cinque e quaranta del mattino. E poi le tazze da tè: mi versavo nella tua ancora un po’ della mia tisana. Mela curcuma zenzero e cannella. Con il dito giravo lentamente intorno al filo d’oro della decorazione. Tu eri lì, in quei piccoli oggetti che mi erano serviti per allestire il palcoscenico di te. Eri nelle crepes che ti avevo improvvisato, o nello zucchero caduto dai cornetti, nell’odore delle mie tisane. Sì, ne avrei preso ancora un sorso.

Ora i servizi di porcellana erano al loro posto. Al loro posto i vassoi, le brocche, la teiera, i piattini del dolce. Pulivo la tavola. I fornelli. Riponevo in credenza i biscotti, i cubetti di zenzero, le mandorle.

E c’era ancora più amore nel riporre ogni cosa, nel riordinare ogni pezzo.

Ogni pezzo era una carezza. E ora erano tutte in fila.

In camera, il letto era sfatto. Un frizzante venticello del mattino agitava lievemente le tende arancio, smuovendo nell’aria il mio profumo: non andavo a letto senza averne spruzzato sul mio collo due gocce.  Forse ero ancora lì. Lì c’era l’Anima che avevi amato.

Nello specchio dell’armadio guardavo i miei capelli sciolti e spettinati, il trucco un po’ squagliato, tanto da fare pendant col mio cuore di burro. Il babydoll di turno. Le gambe nude. Ero la donna che avevi amato. Non la bambina che aspettavi. Ma una Donna. Troppi difetti, troppo imprevista. Non la ragazza con il velo da sposa. No. Solo un’anima nuda. Qualche lacrima, una ruga ed un capello bianco.

Dal cassetto, prendevo il mio quadernodellepiccolegioie. Annotavo con cura i pensieri, ciò che ci eravamo detti, i segreti che mi avevi confidato, le emozioni che mi si erano incollate sulla pelle.

Rifacevo il letto, portavo via la bottiglietta d’acqua dal tuo comodino, riponevo le tue ciabattine bianche. E… i nostri giochi segreti. Sìììì!! Un sorriso malizioso mi rallegrava il cuore e l’anima. Sentivo un giullare saltellarmi dentro. E capriole erano i ricordi che mi assalivano. I ricordi dei nostri giochi inventati come bolle di sapone.

Ogni volta mi lasciavi così. Innamorata fino al midollo. Felice nell’anima. Profumata di te. Sapevo che sarei rimasta in questo stato, inebetita, per qualche giorno. Prima di tornare alla mia vita.

Ma ora ero lì, eri lì.

Mi accoccolavo adagio sotto le lenzuola.

E riprendevo ad amarti.

 

LUI: “Scarabocchio”

Nella lista mentale dei miei progetti per la vita cadesti come una goccia d’inchiostro, a incunearti tra gli elenchi delle priorità. Imprevista. Eterea e allo stesso tempo ingombrante. Lontana ma vicina. Inafferrabile ma presente. Piccola ma grande. Un simpatico scarabocchio.

La vita è ciò che ti accade mentre sei occupato a progettare altro, riflettei senza rassegnazione.

Arrivasti nella casa della mia anima quando le tende erano chiuse, le finestre serrate, i portoni sbarrati. Da dove fossi entrata Dio solo lo sa.

Tutto era immobile, nella casa della mia anima. Fermo a un conto in sospeso. “Chi sa guardare la tua anima merita un posto nel tuo cuore”: questa la consegna su cui dovevo riflettere. Imparare senza opporre più resistenze. Mai più.

Mi tirasti via con dolcezza, prendendomi la mano. Costruisti per me un palcoscenico immenso, spettatrice sognante e innamorata, regista precisa e creativa.

Al mio arrivo, stendevi manti di profumi, sceglievi accuratamente le musiche, accendevi le candele sulla tavola imbandita del tuo corpo gustoso, dei tuoi cibi che caldi estraevi dal forno. Per me.

Ogni cosa era al suo posto, nella casa della tua anima: lì la poesia, sul divano la capacità di ascolto, in quell’angolo l’amicizia, laggiù in fondo alla stanza una montagna di silenzio, nello stanzino proibito la fantasia, nei tuoi palmi aperti la libertà, nel bicchiere la seduzione. E seducente eri, con le tue trovate insolite, ogni volta una e più.

Imboccavi la mia anima anoressica come una rondine con i suoi rondinotti. Eri un nido. Rammendavi i miei abiti sdruciti – di chi ha sofferto – con fili colorati e resistenti. Con le tue piccole mani d’amore lisciavi la mia pelle, assetata di affetto e perdono, come un mare in tempesta su cui riportavi la calma. Massaggiavi con creme il cammino polveroso dei miei piedi stanchi.
E se mi chiudevo nei silenzi, ti mettevi seduta lì sul baratro, le gambe penzoloni, ad aspettarmi in eterno, conscia che già solo provare a infrangerli significava caderci dentro, in quel burrone buio. Eri diventata esperta dei miei silenzi.

La tua camera era la stanza dei giochi. Io e te due bambini complici e instancabili. Tu ci giocavi con i mostri che mi sbitano dentro. Ci mangiavamo come serpenti. L’uno di fronte all’altra svuotavamo l’anima dai segreti: monete preziose che spargevamo sul letto da un cuore borsellino. Tu raccattavi i pezzi che io lasciavo cadere come mai avevo fatto con nessuno. Pezzetti di carta che la tua mano di scrittrice ricuciva. Briciole di Pollicino alla luna, per ritrovare la strada che conduceva alla mia anima.

Le tue parole TI AMO tagliavano la crosta del mio cuore: respirava!

Ero intero con te. Ma vulnerabile. Facevo resistenza alla mia consegna, come un ragazzo che non capisce un’equazione. Tu non eri prevista. Eri venuta nella mia vita per insegnarmi ciò che non volevo imparare! Eri una goccia d’inchiostro a imbrattare il promemoria che con cura avevo stilato. A coprire le mie certezze. Da dove fossi entrata Dio solo lo sa.

I nostri corpi carichi di benessere si lasciavano andare a un sonno ristoratore, cullati dalle note del jazz. Ma non sono convinto che tu dormissi. Sentivo su di me la tua attenzione costante, eri LA CURA di Battiato. Una luce che non si spegneva mai.

Al mattino ti offrivi al mio sguardo di uomo in tutta la tua naturale bellezza: spettinata, ancora nuda, il trucco sciolto come una Pierrottina, gli occhi verdi carichi di passato ma anche di sogni. Le tue lingerie inventate sparse per la stanza. Il tuo profumo indelebile sul mio corpo. Quanto donna eri!

–          Sono bella?

–          Sì, sei molto bella.

Allora il tuo naso sbarazzino volava in alto con un sorriso felice. Eri felice. Felice di me. Un cestino di frutti bellissimi: gioia, creatività, dolcezza, premura.

Il profumo del forno solleticava le mie narici: avevi cotto i cornetti, fatto le tue memorabili tisane, allineato nei vassoi i tuoi sentimenti in mezzo ai biscotti e allo zenzero.

 

Il bacio sulla porta coi tuoi seni premuti sul mio cuore, il tuo sorriso pieno, il tuo profumo di donna. Lasciavo la casa dell’amore, il nido, l’accoglienza. Tornavo come sempre alla mia libertà. Il tuo regalo.

 

Breve biografia dell’autrice:

Sonia D’Alessio è nata e vive a Sarno, dove insegna da più di trent’anni Lettere. Con i suoi racconti, i romanzi, i manuali, le fiabe, è autrice di successo per l’editoria scolastica. Ha editato per Medusa Leggere e scrivere fiabe (2013), Raccontare per… (2014), il romanzo-blog Cuore2.0 (2015), Simulando s’impara (2015) e Favolando s’impara (2017). E’ co-autrice dell’antologia scolastica Garzanti-De Agostini Giovani lettori (2018). Ha pubblicato, per la varia, i romanzi Lascia che sia (2012), Storie di bulli (NorthEast 2017) e Il bambino soldato (2017). Per le sue poesie è stata selezionata da Elio Pecora, per la casa editrice Pagine, tra i primi cinquanta autori italiani (Il cammino della poesia, 2013; I poeti contemporanei, 2012). Si occupa anche di Teatro.

 

About Redazione

Prova anche

La storia di Padre Marcellino ospite del Caffè letterario del Titano

La storia di Padre Marcellino ospite del Caffè letterario del Titano Venerdì 19 aprile alle …