giovedì , Marzo 28 2024

L’inserimento al nido

L’inserimento del bambino al nido è il primo passo in un’esperienza educativa che si svolge fuori dall’ambiente familiare, è oggetto di attenta e puntuale organizzazione.

Sono seduta nell’ufficio dell’asilo nido “Il bosco incantato”, mi sento esattamente come si deve essere sentito il protagonista di PSYCO nella scena finale, quando fa appello alle residue forze della sua mente tormentata per mantenere un contegno dignitoso, pensando di essere spiato da agenti di polizia e affini, forse le maestre stanno osservando di nascosto anche me?

Sono al quarto giorno d’inserimento in comunità infantile di mio figlio, i dettami della moderna psicologia vogliono sia graduale e con il supporto di un familiare di riferimento, così dopo aver trascorso i primi tre giorni a cercare di convincere il piccolo Francesco a cantare con i bimbi e rendersi partecipe dei vari riti che scandiscono il loro tempo insieme, ora l’ho lasciato per quaranta minuti, allontanandomi di poco, sono nella stanza accanto ma fuori dal suo campo visivo, non ha pianto, mi ha però guardato come se lo avessi convogliato sopra un treno in partenza per un fronte di guerra, mi ha riservato uno sguardo minaccioso e arrabbiato, ho letto il suo labiale, mi pare mi abbia detto BRUTTA STRONZA, oppure sono io a immaginarlo?

Quest’esperienza mi sta davvero stressando, ho iscritto Franci mesi fa nelle liste dell’asilo nido statale, mi hanno detto subito di non farmi illusioni, i bambini fortunati sono quelli nati a ottobre e febbraio, l’ho poi segnato in questa struttura privata dal nome fatato, vicino a casa della nonna, sembrava non ci fosse posto, poi se ne è liberato uno, ho accolto la notizia con gioia, sebbene la retta mensile sia equivalente a ciò che servirebbe a sfamare un intero villaggio in Africa.

Questo ufficio è accogliente, ordinato, comunica un senso di efficienza, in bella vista una parete attrezzata con in fila i raccoglitori con i certificati dei bambini, le loro schede, i lavori, cerco di assumere un contegno disinvolto, comincio a leggere un giornale di annunci e pubblicità, ma sento la voce di mio figlio, il suo pianto simile ad una sirena, inconfondibile, penso di andare a riprendermelo, dire alle maestre che non siamo ancora pronti, tornare a casa, indossare una vestaglietta a fiori, calzare un paio di comode FLIP FLOP ai piedi e fare la casalinga sino a che Franci non compia 34 anni, è il pensiero di un secondo, finirei rinchiusa in un centro deputato alla cura dei disturbi psichiatrici prima che il bambino abbia imparato ad allacciarsi le scarpe da solo.

Sul tavolo vicino a me c’è un libro sull’età evolutiva, pare che la ripetizione costante di azioni, dia sicurezza ai bambini, per questo la loro giornata è scandita dagli stessi riti: le canzoncine, il gioco delle presenze, la merenda, il lavaggio… io mi chiedo se nascosto da qualche parte ci sia un quaderno con i profili psicologici dei genitori, magari le insegnanti osservano per un po’ la mamma e poi mettono crocette sotto la definizione isterica, apprensiva, degenere, io già lo sospettavo, per questo ho scelto con cura abbigliamento e trucco, sobrio, la mamma di un bimbo piccolo mica deve avere tempo per tante smancerie, ma non sciatto, che se una non riesce a sistemarsi per sé figurati se può curare un figlio.

Mi arrivano le voci di una ventina di bambini, urla, schiamazzi, chi deve fare pipì chi la cacca, chissà… magari le maestre parlano tra loro di cosa prepareranno per cena e le attività tanto favoleggiate consistono nel lasciare i bambini giocare a caso, vigilando che non si ammazzino, sempre meglio questo che quelle saccenti che ti illustrano per ore teorie sugli oggetti transizionali, il controllo degli sfinteri, le attività di manipolazione manuale e quant’altro, che tanto non mi fanno fessa, so anche io intortare la gente con i paroloni, per chi mi hanno presa.

Queste educatrici per la verità mi sembrano molto genuine, semplici e dirette, mi parlano da mamma a mamma, ecco ora Francesco mi chiama a gran voce, cosa combina? Mi sembra ieri che l’ho portato a casa dall’ospedale, sedato le crisi di gelosia di cane e sorella, imparato a interpretare il suo pianto, esultato per essere rientrata nei miei mitici blu jeans, e sono già qua, pronta a vigilare sul suo ingresso in un contesto sociale, per lui voglio il meglio.

Ora basta, il tempo non passa mai, mi do’ un tono, fingo di parlare al telefono, nel caso in cui qualcuno ascolti la mia fantomatica conversazione, la incentro su ricette di dolcetti e torte salate, una mamma che sa cucinare fa sempre buona impressione, poi un pensiero mi blocca, chissà che faccia faranno le maestre quando Franci chiederà della Coca Cola, ora ho capito perché hanno improvvisamente accettato Franci al nido: su segnalazione del Servizio Minori, per tenermi d’occhio, dopo che hanno visto la mia auto parcheggiata davanti al MC Donald’s con una certa frequenza, al primo passo falso lo affideranno a una famiglia di vegani per rieducarlo a corrette abitudini alimentari.

Altro che riti, la questione è semplice, ho imparato a contenere le improvvise crisi isteriche del pargolo, porgendogli la bottiglia di Coca Cola, la agita, la sbatte e si distrae, se ciò non è sufficiente cerco su YouTube i video di Albano Carrisi quando strilla, in extrema ratio improvviso danze caraibiche, del ventre, lap dance, non credo che in questa struttura adottino gli stessi metodi efficaci per placare piccoli spiriti irrequieti.

Che fatica crescere i figli, chi se lo immaginava? Poi magari crescono, non hanno più bisogno e arrivederci e grazie… no, no ragazzo mio, non importa se diverrai un omone grande e grosso con voce baritonale, un’ingegnere, un marinaio, io ti aspetto al varco, sarai tu, tu che mi hai fatto trascorrere le ultime vacanze in spiaggia nel tentativo di dissuaderti dal rovistare nei tredici bidoni collocati lungo la passerella che conduce al mare, che assisterai al mio graduale e progressivo inserimento in casa di riposo.

Ti chiederanno con aria seria e compunta come mai mammà durante il pranzo lanci le mutande nel pentolone dal quale gli infermieri attingono il brodo di pollo per gli ospiti, tu diglielo, spiegaglielo che la mamma ha perso il senno quel giorno che nell’ufficio dell’asilo nido attendeva trascorressero quei dannati quaranta minuti, per favorire il tuo graduale e progressivo inserimento in quella fatata struttura di maestrine strizzacervelli.

Chiara Macina

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