mercoledì , Aprile 24 2024

La pazienza del ragno

La pazienza del ragno

 di Elisa Marchinetti

La sera,  dopo cena, era il  momento  in cui si prendeva cura di me e non c’erano  preoccupazioni,  né affaticamenti che lo allontanassero da quel compito e che  gli impedissero di  dedicarmi  tutte le sue attenzioni. Dopo essersi lavato con cura le mani, quasi un chirurgo prima di un intervento, recuperava i suoi attrezzi per il pronto intervento: colla, forbici e scotch.

L’ appuntamento era in sala da pranzo, con la luce del  lampadario dal lungo stelo  che scendeva quasi sopra le nostre teste ravvicinate e che, illuminando il tavolo, enfatizzava le mie disavventure scolastiche e la mia dipendenza fisica ed  affettiva  da lui.Era quello  il nostro momento,  la  condivisione di un rapporto speciale, che si nutriva   per entrambi  di  lunghi silenzi  e di reciproci  profondi sguardi,  dove la  mia attenta osservazione di ogni suo minimo gesto captava   i suoi  taciti ammonimenti delicatamente suggeriti e quei  semplici insegnamenti tramandati più con i gesti che con le parole.

Perché  poche, anzi pochissime,  a dir la verità  erano quelle che pronunciava. Ma di peso.

Lui, che del  pragmatismo  aveva fatto la sua bandiera, disdegnava la retorica e le lunghe prediche, convinto che l’esempio contasse più dei rimproveri e dei castighi e che  il sostegno rappresentasse una vera forma d’amore. Come quella che si materializzava in quell’atmosfera ovattata, intima e seducente, nella complicità di un evento.  Io e lui, spalla contro spalla, ed  i nostri respiri a riempire l’aria.

Il resto, in quel frangente,  ci era indifferente.

“Passami la forbice”, mi bisbigliava con pacata determinazione prima di  passare  all’azione.

Con quella ritagliava sottili  strisce di scotch che posizionava con estrema delicatezza  sui  vari fori che costellavano le righe.

“ Tieni premuto qui” mi indicava, prendendomi l’indice e mostrandomi il punto dove fare pressione, mentre con  estrema cura cercava di far ben aderire il  nastro adesivo al foglio. Poi  eliminava con la forbice le parti superflue .

Mi sorprendo ancora oggi al ripensare alla sua precisione, a quelle sottili strisce che si attaccavano  senza una grinza alla pagina,  alla sua meticolosità nell’eseguire i vari passaggi  e alla sua  calma rassicurante .

Terminate le operazioni,  quasi fosse un cuscino, sprimacciava il quaderno a lungo, cercando di ridargli un aspetto quantomeno decoroso. Lasciava passare qualche minuto, infine  lentamente lo apriva e , sfogliando pagina dopo pagina , osservava il lavoro di ripiego e ripristino che aveva compiuto,   una sorta d’ intervento di  rimise en forme cartaceo;  quegli inestetici  buchi da groviera, che avevano riempito  le pagine, erano spariti, asfaltati da manti di strisce di scotch ed il dorso era stato rinforzato da dosi abbondanti di colla. Il risultato: fogli quasi plastificati ed un quaderno dalla struttura semicartonata.

Di più e meglio, sicuramente, non sarebbe stato  possibile. “ Ora sì che va bene ”, dichiarava  mio padre soddisfatto,  lasciandosi   andare contro la spalliera della sedia, mentre le volute dell’ultima sigaretta della giornata riempivano la stanza.  Lunghe inalazioni  suggellavano  la riuscita della  sua impresa.

Ed io , gongolante di felicità , gli saltavo sulle ginocchia , inondandolo di baci , con     l’immancabile  Carosello di sottofondo  che  sanciva l’ora della buonanotte per me.

E lui, che  fingeva sempre  stupore per la mia reazione di contentezza, pur aspettandosela,  liberava una grassa risata  e  si lasciava dolcemente coccolare.

Mio padre continuò a controllarmi il quaderno anche negli anni a venire, anche quando la tecnica della scrittura mi era diventata familiare e quei tratti alla  Mirò  erano solo un vago ricordo .

Accantonati i ferri del mestiere,  si sedeva  accanto a me ad  osservare i miei progressi  scolastici,  e  gli piaceva farsi leggere le parole che davano forma a semplici pensieri compiuti  e quei  racconti , popolati da Re e Regine dal lieto finale,  che la mia  fervida fantasia liberava.

Una delicata  carezza sulla mia  guancia racchiudeva il suo orgoglio di padre e l’apprezzamento per i miei risultati. Talvolta,  con  un  leggero colpe di tosse sottolineava  un mio strafalcione, grafico o linguistico,  e con  quel suo modo di  fare accomodante e paziente da grande pedagogo mi indicava  la corretta soluzione.

Col passare del tempo non perdemmo l’abitudine a quell’appuntamento.

La sera ci coglieva seduti vicino, sulla stesso divano,  impegnati nella lettura, ognuno perso nelle vicende del proprio libro. Qualche scambio di impressioni, la richiesta di  spiegazione di termini sconosciuti , poi il silenzio fra noi ed intorno a noi.  E  le immagini al televisore che scorrevano mute.

Non ho mai voluto disfarmi di quel mio primo quaderno, che ha resistito alla polvere del tempo e all’oblio dei ricordi,  forziere di un legame indissolubile fra noi.

Ora alla soglia degli ottanta anni è lui che mi aspetta, di  mattina, pomeriggio  e di sera , indifferentemente , per raccontarmi la sua quotidianità e per sottopormi i suoi problemi. A volte anche solo per salutarmi.

Ora il silenzio è fatto dalle parole che vorrebbe dire , ma che fatica a pronunciare  e  dai pensieri che fatica ad articolare  ed è impregnato  della vacuità  dei suoi occhi e della tacita, ma sofferta  consapevolezza di un lento ed inevitabile declino.

“ Sai, ultimamente fatico a scrivere. Non riesco più a compilare dei bollettini.  Come mai?” , mi chiede spesso,  scordandosi delle infinite volte  in cui mi ha posto lo stesso triste, inesorabile  quesito.

Allora un nodo  mi  chiude  la  gola,  quando  a fatica cerco di trovare  false ed illusorie parole per placare la sua inquietudine  e  lottare  contro  l’ineluttabilità di un evento .  Mentre lo osservo, rifletto sulla sostanza  della vita, un percorso di salite , discese e  passaggi tortuosi  e di capovolgimenti di ruoli che richiedono un’ umile assunzione di responsabilità. Quella cui non posso e non voglio rifuggire ora.

In breve  dimentico le mie preoccupazioni e la stanchezza accumulata perché altre e di altri sono le priorità  e mi siedo accanto a lui, spalla contro spalla, come una volta.  A ruoli invertiti, però.

“ Passami il bollettino”, gli sussurro, con tutta la dolcezza possibile, sfoderando un generoso sorriso.

Nel silenzio che segue, i suoi  occhi  seguono  la mia scrittura veloce  e a me pare di  scorgere in quel mare  blu e sconfinato  del suo sguardo  un luccichio di compiacimento .

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Elisa Marchinetti è nata a Parma e risiede a Noceto.  Laureata in lingue e letterature straniere,  insegna  Inglese  in un Istituto Superiore di Fidenza, PR. Ama leggere e scrivere e la passione per la scrittura l’accompagna sin dall’infanzia. Nel 1999, insieme a Guido Conti , pubblica” Il gioco del bla bla bla”, raccolta di testi  sulla creatività infantile.

“Soliloquio a mezza voce”, Vitale Edizioni , del 2014  è la sua prima raccolta di poesie.

Da qualche anno  si dedica alla stesura di racconti brevi,  molti dei quali hanno ottenuto risultati soddisfacenti in vari concorsi letterari nazionali.

Il racconto “La pazienza del ragno” ha partecipato al concorso letterario “Raccontami una storia: parlami di te”, organizzato dalla Carlo Biagioli srl.

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