venerdì , Aprile 19 2024

Era (caldo) di Maggio

Di Cane Luppolo
Ho caldo, egregio assistente che si crede padrone. Ho caldo. Sembra ieri che tutto era ghiacciato, invece oggi soffro, patisco, non tollero questa CAN-icola, arrivata improvvisa e inattesa come una salsiccia a un cane che si nutre di soli croccantini. E ogni riferimento alla mia pelosa persona non è per nulla casuale. Purtroppo, l’afa è anche improvvida per un pastore del Pembrokeshire, Legato al clima rigido ed uggioso della madrepatria, amante dei venti dall’Artico appena mitigati dal respiro tiepido dell’oceano, dei risvegli mattutini ammantati di brina e rugiada, delle nebbie che non si vede canessa nel raggio di un miglio e non si vede più Mosca, sotto la luna nascosta. Te lo ricordi, assistente, quando nevicava, come stavo bene? Reclamavo continuamente per uscire, mi gettavo nei cumuli più alti e quasi scomparivo nel bianco, nuotavo nel fango più lercio. A parte il cappottino da Tenente Colombo, non potevo desiderare scenario migliore. E ricordi, tu, come eri felice quando, alle 6:30 del mattino, venivo a woooooffare accanto al letto e ti costringevo ad affrontare i sottozero esterni solo con una tuta striminzita indosso, primo abito raccattato in quel tipico stato di confusione mentale appena successivo ad una russata interrotta? Ah bei momenti, che torneranno in auge solo tra un semestre.  Guardati intorno, ora, assistente. I prati sono colorati a tinte forti e omogenee di verde, gli alberi si elevano così maestosi che paiono vellicare il cielo. Oh com’è incantevole la natura che esplode: è uno spettacolo gratuito, che non smette mai di emozionare. Eh che bello, sì, soprattutto nel momento in cui, dall’erba del prato “pareggiata da falce” (Cit. più o meno Manzoni), spuntano parassiti: non porteranno la peste, ma infastidiscono anzichenò, specie quando si nascondono tra le maglie del mio vello lanoso. E che goduria, per te, uscir dalle fratte e ritrovarti pieno di “sozzi bubboni di un livido paonasso” (Cit. sempre, più o meno, Manzoni), cagionati da zanzare scassacasso, api, vespe e mosche che aggrediscono le umane pelli, ogni giorno più scoperte. Nota, assistente: spalle e caviglie sono in bella mostra, pure sui fianchi scoscesi di donne coi volti struccati di vita; a breve, anche gambe da terzino finiranno per essere ostentate, senza alcun pudore. Ah e guardali gli uomini, compressi da maglie che mettono in risalto gli stomaci avvolgenti e vestiti con pantaloni alla zuava, che presto si faranno Capri; a breve, non dubito, spunteranno anche quei cancri del buon decoro, deriva drammatica dell’uomo moderno, tutto casa, Chiesa, danze latino americane, una giornata al maaaaaaaaaaaaaaare, abbronzature ricercate, lampade e depilazioni, avulso dal calcio, dai giochi di osteria, dalle sagre popolari paesane dei cavatelli, dai fantasmini bucherellati, dalle tute e dai pantaloncini della squadra di calcio locale, dalle polo color celestino conducente autobus a lunga gittata: le o gli infradito.

Per fortuna tu, egregio assistente, porti sempre scarpe alte alle caviglie quando esci. Io perciò ti seguo sempre volentieri, gradisco venire con te. Ma con questo caldo no, giammai. Dopo qualche decina di metri, mi passa la voglia di stare fuori. E cado, come corpo morto cado, mi allungo a pelle di leone sul terreno e ti guardo con sguardo compassionevole, quasi implorando la marcia indietro. Tu, per un attimo, impietosito, fai per accontentarmi. Solo che, quando giri il guinzaglio verso la macchina, recupero la vitalità perduta; così come, se vedo una canessa, mi ridesto di colpo e scatto, con passo da bersagliere, nella direzione indicata da Cupido. Allora capisci che sto facendo sceneggiate e mi trascini lungo la via decisa. Se faccio ulteriori rimostranze, sfoderi pure l’espressione: <<Luppolo mo’ te men na zampata>>[1], che nulla ha a che fare con chi sciacqua i panni in Arno e in Volturno e ha la pretesa di scarabocchiare pagine, per farle diventare storielle.

Al termine dello sforzo, torno a casa stanco, distrutto, con la lingua che raschia la terra, desideroso solo di ronfare. Ieri ho scelto di coricarmi in una posizione diversa dalla solita, in un punto della casa ben più fresco rispetto a quello occupato per l’intero inverno. Partendo dalla tua stanza, mi sono spostato con discrezione nel luogo suddetto, senza farmi sentire, quasi danzando sulle corte zampotte. Sfortunatamente, assistente, ti sei destato nel corso della notte. Percorrendo il corridoio, hai urtato una ossuta palla di pelo che, all’occorrenza, può fungere da paraspifferi o poggiapiedi, e sei caduto a terra. Hai pure farfugliato qualcosa di incomprensibile. Invece, un povero pastore che dormiva, si è buscato (involontariamente eh) una bella zampata sul muso, quella che aveva evitato durante la passeggiata.

 

Cane Luppolo – Carmine Tedeschi

Note
[1] Cane maledetto, adesso ti assesto una pedata.

About Redazione

Prova anche

La storia di Padre Marcellino ospite del Caffè letterario del Titano

La storia di Padre Marcellino ospite del Caffè letterario del Titano Venerdì 19 aprile alle …